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venerdì 4 settembre 2009

Col sorriso del Caimano

Chiudiamo questa rassegna odierna ancora ampia sulle vicenda, come l'abbiamo chiamata, dell'armageddon mediatico, riprendendo dal suo blog il commento di Concita De Gregorio, direttrice de l'Unità, pubblicato ieri sera, il cui titolo è stato usato per titolare un altro nostro post.
Delitto perfetto.

Non sono stato io, dice ora il killer (per l'azione di risarcimento di questo numero del giornale, di certo prossima, preciso fin d'ora che si tratta di una citazione. Da «azione di killeraggio», cfr. Gianfranco Fini, 2 settembre). Dice anche che se «il Vaticano ha accettato le sue dimissioni ci sarà un buon motivo» dando per scontato che le dimissioni corrispondano ad un'ammissione di colpa. È la logica dei killer. Se te ne vai è perché sei colpevole. Dei gregari, fra i killer. Perché i capi e i mandanti restano sempre, anche da colpevoli. Restano quando sono condannati in tutti i gradi di giudizio e si fabbricano leggi apposta per non farsi condannare. Restano lì col sorriso del Caimano e più sono al sicuro dalla legge, più attaccano quelli che non hanno nessun lodo Alfano a tutelarli, onnipotenti e impunibili. I gregari no, i gregari sono stipendiati. Quando la Federazione nazionale della stampa ha chiesto a Vittorio Feltri se corrispondesse a verità che Silvio Berlusconi lo ha ingaggiato con 15 milioni di euro di buonaentrata e 3 annui, ha risposto sprezzante che la smettessero di bere. Nel suo linguaggio significa no. Ma ha fatto proprio quel che oggi lui e Belpietro rimproverano a Boffo: non ha «detto subito» come stanno le cose.
Non è questione di soldi? Certo che lo è. Perché poi la circostanza che il tuo datore di lavoro si dissoci da te pochi giorni dopo averti ingaggiato, e di seguito conceda un'intervista al tuo/suo giornale tre giorni dopo essersi dissociato, rende tutto grottesco, paradossale e alla fine insultante per l'intelligenza degli italiani. In ogni caso Berlusconi ci guadagna. Ha ottenuto la testa di colui che, dal giornale dei vescovi, lo attaccava sull'immigrazione, sulla condotta privata, sulle alleanze internazionali. Ha anche ottenuto che il suo giornale di famiglia guadagnasse copie dallo scandalo. Ha ottenuto soldi e silenzio, come sempre. Le dimissioni, si diceva. In questo paese sono inconsuete e sono, di norma, un gesto di dignità. Certo si fa fatica a spiegarlo a casa del Sultano, perché la dignità non si compra e non si vende. La ragione, e bisogna leggere la lettera di Boffo con attenzione, è che l'omicidio mediatico esiste. Uccide senza lasciare cadaveri. Boffo ha esposto le sue ragioni, ha ottenuto la solidarietà del Papa e solo quando è stato in condizione di non farlo ha deciso di dimettersi. «C'è qualcosa che non torna», dicono Feltri e Belpietro. Certo, dal loro punto di vista non torna. Detto questo, Boffo non ha voluto farsi eroe suo malgrado e non lo faremo noi al posto suo. Abbiamo fortissimamente dissentito dalle posizioni del suo giornale (sul testamento biologico, per dire l'ultima) e siamo ogni giorno a denunciare le ingerenze vaticane e i baratti col governo. Siamo stati denunciati dal premier anche per questo. Non ci sfugge la battaglia in corso tra Cl e quel che resta dei ruiniani. Comprendiamo bene come la resa dei conti sia anche interna alle gerarchie ecclesiatiche. Cionondimeno: il metodo usato con il direttore di Avvenire è criminale, indegno di un paese democratico e civile. Senza paura, con gli occhi spalancati e il mondo che ci guarda aspettiamo il prossimo delitto.
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