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martedì 1 settembre 2009

Un lucido disegno di golpe mediatico

Ancora da Liberazione di domenica questa intervista a Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo 21, raccolta da Sandro Podda.
«Siamo all'attacco finale: sostituire l'informazione con la propaganda».
Rassegna stampa.

«Se non ora, quando?». È tempo di scendere in piazza con un blocco sociale il più ampio possibile per Giuseppe Giulietti portavoce di Articolo 21 che in questi giorni ha lanciato il suo appello per la libertà di stampa, dopo l'affondo del premier a La Repubblica. Per Giulietti non si tratta di semplice nervosismo e di reazione scomposta di un Berlusconi in difficoltà, ma l'attacco finale con cui il premier vuole chiudere tutti gli spazi di dissenso e sostituire integralmente l'informazione con la propaganda. Un attacco che riguarda milioni di italiani e che chiede una risposta di massa.
L'attacco a La Repubblica, ma anche a Famiglia Cristiana o ancora più spregiudicato all'Avvenire. Come giudica gli avvenimenti di questi giorni?
Bisogna sfrondare questa vicenda dai tanti dettagli di cui si compone. Sembra che Berlusconi all'improvviso abbia perso le staffe, che abbia avuto quasi uno scatto di semplice ira nei confronti della stampa. A mio giudizio non è così. È un disegno lucido, che Berlusconi covava da tempo e che al di là delle forme in cui si è manifestato adesso corrisponde al progetto finale di costruzione a tappe forzate di una repubblica presidenziale a "reti semiunificate" e forse tra breve anche a "reti unificate".
Berlusconi è un leader arrivato probabilmente al termine della sua parabola, che non riuscendo più a dare risposte di governo al suo blocco sociale, tenta un'operazione piuttosto torbida e inedita in Europa occidentale: sostituire completamente la politica con la propaganda attraverso le armi a sua disposizione, come il controllo delle piazze mediatiche, in particolare le televisioni.
Un fatto non del tutto inedito.
C'è però un'accelerazione in questo senso che non dovrebbe essere sottovalutata. In passato lo schema con cui Berlusconi delegittimava chiunque lo criticasse era: i miei nemici sono tutti rossi e comunisti, io guido l'assalto contro i comunisti ed espello giornalisti, scrittori autori "rossi" che mi infastidiscono. La novità è che ora inserisce nell'elenco dei nemici, di quelli che chiama i "deviati" e i "devianti", ancora prima che i direttori dei giornali, sono finiti alcuni temi sociali, i soggetti sociali che li rappresentano e i giornali che in modo diverso e spesso tenue, affrontano questi temi. Un esempio: è chiaro che Berlusconi consideri nemica Rai3 e il Tg3. Ma dove è scattata la rabbia livida e l'attacco? Una volta che, forse del tutto casualmente, il Tg3 ha deciso di aprire con gli operai della Inse e con i dati dell'Istat. Il giorno dopo Berlusconi è furioso e dichiara che ora di farla finita e che non se ne può più. Il Tg3 diventa il nemico che rappresenta la crisi, anzi che tenta di aggravarla. L' Avvenire non è certo un giornale contrario al premier, anzi ha appoggiato la sua vittoria elettorale. Come mai diventa un nemico? Non per i riferimenti alla vita privata di Berlusconi, ma per la vicenda del reato di clandestinità. Nel momento in cui Avvenire scrive che il peccato originale è il reato di clandestinità, tocca uno di quei temi che cementa l'alleanza di Berlusconi e la Lega e diventa un avversario. Così Famiglia Cristiana se affronta il tema delle mense dei poveri. A mio avviso Berlusconi sta preparando questa "campagna d'autunno" per mettere sotto silenzio Rai3, trovando magari anche due del centrosinistra da inserire che gli vadano bene dicendo "o accettate chi dico io o le nomine le faccio a maggioranza anche per Rai3". Il tentativo è quello di eliminare quegli spazi anche residuali di dissenso. Un assalto che riguarda i temi che non vuole più veder rappresentati. Lo ha detto esplicitamente mesi fa, non vuole più vedere in televisione notizie che riguardino la povertà o la crisi economica e sociale e tutto quello che può determinare «ansia». La propaganda deve invadere tutti gli spazi di informazione.
Non corre però su questioni come i migranti il pericolo di scontrarsi con quel blocco sociale dei cattolici di base, del volontariato cattolico?
Il limite di questa sua azione è proprio qui. Da una parte tenta una dimostrazione di forza estrema. Dall'altra c'è la questione con cui Berlusconi non riesce a fare i conti e con cui rischia la rottura. Dal suo punto di vista vorrebbe oscurare tutto quello che non gli piace. Ma, proprio perchè c'è una crisi economica e sociale in essere, quello che non gli piace non riguarda solo quelli che lui chiama i "rossi", ma riguarda milioni di italiani, compresi quelli che si percepiscono moderati o addirittura molte delle persone che hanno votato per lui. Questo è il grande limite della carta estrema che sta giocando.
Potrebbe uscire indebolito da questo braccio di ferro o addirittura sconfitto?
Non sottovaluterei la sua capacità di muoversi fuori dalle regole e la situazione in cui ci troviamo abbastanza "torbida", come i grandi esponenti del movimento operaio definivano in passato quei passaggi sociali poco chiari, aperti ad ogni sbocco. Sia positivo che paradossalmente peggiorativo. Non va sottovalutato Berlusconi, perché è un uomo e un politico irrituale, al di fuori degli schemi e deciso a giocare tutte le carte compresa la rottura costituzionale. Bisogna tenere conto che il Parlamento è in sostanza già chiuso, le decisioni le prende lui a colpi di maggioranza.
Ma il peccato originale di questa situazione non è in fondo il non aver mai varato una legge sul conflitto di interesse e lasciare che in Italia si generasse una situazione piuttosto unica nelle democarazie occidentali?
Sta venendo fuori il grave errore di valutazione del conflitto di interessi. Non si trattava di un dato sovrastrutturale, un epifenomeno. Attraverso di esso Berlusconi ha pompato veleno nelle arterie della comunità, alterando la percezione della società. Solo in Italia ho potuto leggere articoli o addirittura libri che sostenessero che le televisioni non influenzano i voti. Una corte di opinionisti o intellettuali che hanno scritto saggi che fanno ridere. Questo è ciò che non è stato colto, scambiato per una questione degli addetti ai lavori o una rivendicazione dei fissati con la Costituzione.
Sulla Rete però l'informazione sembra ancora poter diffondersi più liberamente. Non sarà anche questo il motivo degli attacchi previsti per bloggers e internauti in generale?
Il problema dell'indignazione che si solleva su Internet è la sua traduzione poi in fatti concreti. Un tempo, quando c'erano le grandi organizzazioni politiche e operaie in Italia, quando avveniva un attacco alla democrazia, o c'era il rischio di una rottura costituzionale, di uno stravolgimento dell'articolo 21 della Costituzione, ferme restando tutte le differenze tra le forze politiche e sociali, c'era uno scatto di tutti. E ci potrebbe essere ancora. In Francia si direbbe "Se non ora, quando". C'è bisogno di una grande manifestazione nazionale che parta dalla stampa, dalla cultura e lo spettacolo pesantamente attaccati con il taglio del Fus, dalle organizzazioni sindacali. Serve una grande manifestazione nazionale. Il titolo potrebbe essere "Sbavagliamoci", sulla difesa dell'art.21. A sfilare devono essere non solo i giornalisti, ma tutti i soggetti che rischiano di essere oscurati: il cinema, lo spettacolo, gli operai della Inse, di Bagnoli, chi si occupa di immigrazione, gli operatori della Caritas... Tutti, anche i moderati, perché quando si tratta di un valore così alto come quello della Costituzione e della democrazia vanno chiamati a raccolta non soltanto i "fedelissimi", ma tutti i soggetti espropriati da un diritto.
Il deterioramento della società è comunque palpabile. È possibile veramente tornare uniti in un piazza?
C'è un intorpidimento, quasi il senso dell'inutilità. Ma le condizioni sociali ci sono. Sarebbe meglio che non partisse da un partito, a sinistra c'è una grossa litigiosità, l'iniziativa di una componente sarebbe boicottata dall'altra. La cosa migliore sarebbe che l'iniziativa fosse promossa dalla stessa Fnsi, da economisti, dalle Arci, dalle Acli, coinvolgendo anche cinema, spettacolo e cultura. Riuscire cioè a riunire una rete associativa amplia, coinvolgendo anche le realtà del precariato culturale. Berlusconi ha esplicitato il suo piano e fatto capire che lo porterà avanti in maniera anche più canagliesca. Non serve solo indignarsi, ma bisogna organizzare una risposta di piazza magari nel giorno in cui tenteranno di approvare la legge bavaglio sulle intercettazioni.
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