La notizia è di qualche giorno fa: Readers' Digest, la rivista delle nonne sta per fallire, vittima di Internet e del crollo della pubblicità dopo 77 anni di storia gloriosa. La lista, dunque, delle vittime del calo della pubblicità si allunga.
Il Reader’s Digest, che è la rivista più diffusa al mondo con 50 edizioni in 21 lingue in 78 Paesi, si appresta a finire in bancarotta. L’edizione italiana "Selezione del Reader’s Digest" fu già chiusa nel dicembre del 2007.
Il gruppo - ci dicono le cronache - farà ricorso volontariamente al cosiddetto «Chapter 11», l’amministrazione controllata per ristrutturare il proprio debito che ha raggiunto l’astronomia cifra di 2,2 miliardi di dollari. Reader’s Digest, dopo aver raggiunto un accordo con i creditori, punta ad uscire con un buco di "soli" 500 milioni di dollari. La bancarotta pilotata riguarderà solo le attività statunitensi. Reader’s Digest, lanciata nel 1922 da una coppia a Pleasantville nello Stato di New York, pubblicava una selezione di articoli particolarmente interessanti scritti e pubblicati da altri periodici. Attualmente circa 9 dei 94 magazine che fanno parte delle due edizioni vantano una circolazione di oltre 8,1 milioni di copie solo negli Usa. A livello mondiale le sue pubblicazioni raggiungono 78 paesi e vantano 130 milioni di lettori.
Da La Stampa abbiamo appreso ieri che La Biblioteca nazionale di Francia ha capitolato, affidando a Google la costosissima digitalizzazione dei suoi libri. E così è probabile che vada in fumo Europeana, il progetto di biblioteca digitale europea voluto da Francois Mitterand per contrastare il dominio nel mondo dei libri del gigante americano della ricerca su Internet. Sarebbe proprio l’enorme spesa dell’operazione che ha fatto cambiare idea alla biblioteca nazionale francese, per anni alla testa degli oppositori al leader americano dei motori web, che ha già messo on line 10 milioni di libri (tra i quali 1,5 milioni protetti ancora da diritti d’autore, cosa che ha scatenato numerosi processi, anche in Francia). Solo per digitalizzare le sue opere che vanno dal 1870 al 1940 - quelle del periodo della Terza Repubblica - la biblioteca dovrebbe mettere in conto una spesa tra i 50 e gli 80 milioni di euro. Evidentemente troppo: il budget annuo previsto per mettere on line il suo patrimonio è di soli 5 milioni di euro. I francesi cedono dunque di fronte a calcoli matematici: realizzare la biblioteca digitale costerebbe tra i 0,12 e i 0.74 euro a pagina ed in stock ci sono 14 milioni di libri.
«Se Google può permetterci di andare più veloce e più lontano, perchè no?», si è giustificato Denis Bruckmann, direttore di collezione della Biblioteca nazionale, parlando al quotidiano economico La Tribune, che ha reso nota la notizia. «I negoziati - continua - potrebbero concludersi tra qualche mese». Tutta la stampa francese ha parlato di questa più che probabile alleanza nello sbigottimento generale. Soprattutto perchè la biblioteca per anni si è opposta all’idea di affidare il proprio patrimonio librario, ed anche quello europeo, al motore di ricerca americano. Nel 2005 l’ex direttore, Jean-Noel Jeanneney, aveva messo in guardia il mondo culturale contro il «rischio di monopolio della digitalizzazione dei libri» da parte di Google. La Francia si è anche battuta per il progetto di biblioteca virtuale europea (Europeana) che, inaugurata nel novembre 2008, conta «solo» 4 milioni di documenti.
Il gigante americano è già molto più avanti, con i suoi 10 milioni di testi consultabili gratuitamente su Google Libri. Dal 2004 il motore di ricerca ha tessuto legami con 25.000 editori e sedotto una trentina di prestigiose università nel mondo, da Harvard a Stanford. In Europa, la prima ad affidargli il suo fondo è stata la Bodleian Library dell’ateneo di Oxford.
In Francia, la Biblioteca nazionale francese segue invece le orme della biblioteca universitaria di Lione. Per adesso, spiega La Tribune, Google non si arricchisce con queste digitalizzazioni, ma in cantiere ci sarebbe il progetto di una piattaforma di vendita di libri on line, che potrebbe far concorrenza a Amazon, un altro americano.
E dopo la cultura, veniamo al lato oscuro di Internet. Nei giorni scorsi il dipartimento della Giustizia americano ha scoperto il più vasto furto di identità della storia: un uomo di Miami, il ventottenne Albert Gonzalez, e due hacker che "vivono in Russia o vicini alla Russia", sono stati incriminati per avere rubato 130 milioni di numeri di carte di credito dalla Heartland Payment System, una delle più grosse società di transazioni elettroniche. Ad annunciarlo è stata la magistratura del New Jersey. I tre dal dicembre del 2007 avrebbero trafugato anche 4 milioni di dati dalla catena di supermercati Hannaford e un numero non ancora precisato dalla 7-Eleven, una catena di negozi presente in 19 Paesi, popolarissima negli States. La tecnica d'assalto informatico prevedeva un giro di ricognizione tra i siti delle 500 società più ricche degli Usa secondo la rivista Forbes, per esaminare i punti deboli del sistema di difesa prima di procedere con la frode. Attraverso un software riuscivano a tracciare in tempo reale i movimenti delle carte all'interno dei network delle aziende monitorate. Le comunicazioni avvenivano tramite chat. Per l'hackeraggio erano stati usati computer in California, Illinois, New Jersey, Lettonia, Ucraina e Olanda.
Il piano, che era stato ribattezzato "Get rich or at least try" (diventa ricco o almeno provaci), è stato scoperto perché i tre hanno cercato di vendere i numeri delle carte di credito ad altre bande. In alcuni casi, i tre hanno fatto sopralluoghi in centri commerciali, per studiare il sistema di pagamento usato. Gonzalez, che in rete usava come pseudonimi "segvec", "soupnazi" e "j4guar17", si può definire un recidivo: era già stato arrestato sei anni fa in New Jersey per il suo ruolo in un'altra storia di traffico e frodi con carte di credito. È stato inoltre incriminato lo scorso anno per violazioni nei database di alcune aziende. Al momento è in custodia federale a New York.
Per venire in Italia, una notizia di mercoledì. Una maxi frode fiscale a livello internazionale per 90 milioni di euro è scoperta dalla Guardia di Finanza di Roma nel settore del commercio del materiale informatico. La truffa era realizzata attraverso fatture false per un valore di 450 milioni di euro e l'utilizzo strumentale di dieci società operanti in tutto il territorio nazionale. Queste ultime, con la compiacenza di operatori commerciali esteri, hanno effettuato ingenti acquisti di materiale hardware e software in Germania, Paesi Bassi, Lussemburgo, Regno Unito, Belgio, Spagna, Slovenia e Danimarca omettendo la regolarizzazione delle operazioni nel territorio nazionale e, di conseguenza, il versamento dell'I.V.A. per un ammontare di oltre 90 milioni di euro. Il disegno criminoso è stato messo a punto dai responsabili di una società, con sede a Roma, per commercializzare i beni acquistati applicando prezzi particolarmente concorrenziali, potendo contare sull'ampio margine del 20% costituito dall'IVA evasa e determinando così, oltre all'ingente evasione delle imposte, anche una turbativa del mercato.
La ricostruzione del sistema fraudolento, effettuata dal I Gruppo della Guardia di Finanza di Roma, è stata particolarmente complessa ed ha richiesto due anni di intense indagini coordinate dalla locale Procura della Repubblica. A capo delle società erano nominati prestanome compiacenti ma queste erano gestite da un ristretto gruppo di persone con interessi commerciali nella Capitale, reali destinatari della merce acquistata all'estero. Per depistare le investigazioni, inoltre, venivano dichiarate sedi fittizie delle società e gli amministratori erano avvicendati frequentemente, rendendo ancor più difficoltosa l'individuazione dell'unico soggetto economico che ha fruito dei notevoli benefici dell'ingente evasione. Numerose sono state le perquisizioni ed sequestri di documenti effettuati in tutto il territorio nazionale. I quattro principali responsabili degli illeciti sono stati denunciati per i reati di associazione a delinquere, occultamento e distruzione di scritture contabili, emissione ed utilizzazione di fatture false finalizzata alla frode fiscale.
Internet, informatica, media. L'ultima notizia è di lunedì e riguarda alla lontana Striscia la Notizia. Max Laudadio voleva trascorrere un Ferragosto in tutta tranquillità con la famiglia ma alcuni ignoti vandali gli hanno guastato la serata. Max Laudadio si era recato con la moglie Loredana e la figlia Bianca alla tradizionale festa di Cavagnano, una frazione di Cuasso al Monte, paese dove l'inviato di Striscia la Notizia abita da circa tre anni. Qualcuno si è accanito contro la sua jeep squarciando due dei quattro pneumatici. Subito i residenti del posto si sono prodigati per dargli una mano: chi si è offerto di accompagnare a casa la famigliola, chi ha portato il fuoristrada in un parcheggio privato in attesa che oggi il proprietario tornasse per la sostituzione delle ruote. Ed ecco la seconda amara sorpresa: durante la notte qualcuno ha scagliato diverse pietre contro il veicolo danneggiando seriamente la carrozzeria. Se da un lato non si esclude il gesto vandalico di qualcuno che magari aveva alzato troppo il gomito alla festa, dall'altro neppure si esclude una ritorsione vera e propria nei confronti del giornalista che, risedente nello splendido borgo dell'Alpe Tedesco di Cuasso al Monte, da tempo si è fatto portavoce dei bisogni dell'ambiente e del territorio, promuovendo anche una petizione per la salvaguardia del monte Poncione e che ha già raggiunto settecento firme in due mesi.
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