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mercoledì 4 novembre 2009

Oggi i funerali di Alda Merini

Merini. Domani [oggi, ndr] a Milano funerali di Stato.
Rassegna stampa - Avvenire, 3 novembre 2009.

Si è spenta domenica alle 17,30 nel reparto di oncologia dell’ospedale San Paolo di Milano la poetessa Alda Merini; aveva 78 anni ed era considerata una delle maggiori voci liriche del Novecento italiano, tanto da essere stata proposta anche per il Nobel. La sua generosa produzione ( la sua prima raccolta è del 1953) si era sempre distinta per gli accenti di umanità calda e la religiosità passionale, spesso intrecciati. La camera ardente è allestita oggi [ieri, ndr] dalle 9.30 alle 20.30 nella Sala Alessi a Palazzo Marino. I funerali di Stato saranno celebrati in Duomo domani [oggi, ndr] alle 14. Quindi la salma sarà tumulata al Famedio del Cimitero Monumentale.

«È morta con padre Pio». Il ricordo.
Quasi con una premonizione, aveva «prenotato» proprio per il 1° novembre la presenza di un cappuccino mai visto prima. E il frate le ha messo in mano la reliquia del confratello santo.
Rassegna stampa - Avvenire, Lucia Bellaspiga, 3 novembre 2009.

Se n’è andata da vera artista, con un colpo di scena. Convocando al suo capezzale – come quando chiamava gli amici nella sua casa sui Navigli e li riceveva a letto – l’ultima per­sona che ha voluto conoscere in vita, un frate cappuccino. Lo ha scelto oculatamente e ocu­latamente lo ha convocato. «Non ci eravamo mai incontrati – racconta adesso padre Gian­luigi Pasquale, frate a Venezia, docente di Teo­logia fondamentale alla Lateranense di Roma –, ma in agosto lei chiese di conoscermi, dopo aver letto i miei volumi su Padre Pio: aveva scrit­to un libro di poesie sul santo e voleva la mia prefazione. Io ero molto impegnato e dovetti ri­mandare l’invito, ma Alda Merini mi rispose si- cura: 'Lei verrà certamente da me'. Poi più nul­la fino al 28 ottobre...». È quel giorno, infatti, che padre Pasquale rice­ve una chiamata da Giuliano Grittini, fotografo personale e amico della poetessa: «La Merini la vuole assolutamente vedere il primo novembre, giorno di Ognissanti». Un appuntamento pre­ciso, di fronte al quale il frate, spesso in viaggio tra Italia ed estero e poco incline a improvvisa­zioni, 'sente' di non potersi sottrarre: «Ho im­mediatamente fatto il biglietto elettronico del treno. Non mi riconoscevo neppure io». Quando arriva a Milano sono le 10 del mattino del primo novembre, l’ultimo giorno che Alda Merini trascorrerà su questa terra, ma lui non lo sa. In realtà non sa nemmeno che la poetes­sa sta male ed è ricoverata. «Credevo di anda­re a casa sua, invece Grillini mi porta all’ospe­dale San Paolo», racconta ancora profonda­mente commosso. Entrato nella camera della Merini, che appare serena, è colpito subito dal gran numero di oggetti religiosi che la circon­dano, dalle bruciature di sigaretta un po’ o­vunque, e dalla richiesta che la Merini fa all’in­fermiera: vuole lo smalto rosso sulle unghie. «Dentro di me ho sorriso e mi sono detto che quella grande donna era una vera esteta, anche nella malattia». Il frate si presenta e la Merini, sotto la maschera dell’ossigeno, ripete due vol­te «Ah sì, Padre Pio, Padre Pio», poi fa cenno di restare sola con lui e riceve i sacramenti. Quello che la poetessa e il padre francescano si sono detti resterà per sempre tra loro. «Dopo abbiamo recitato insieme l’Ave Maria e le ho fatto un segno di croce sulla fronte con il dito. Infine le ho dato un buffetto sulla guancia: so­lo allora ha fatto un grande sorriso, limpido, da fanciulla. Infine mi ha indicato il comodino, dove c’era la reliquia di Padre Pio che conser­vava fin dall’infanzia, gliel’ho messa sul palmo e lei ha chiuso dolcemente la mano... Pensavo che sarebbe vissuta ancora parecchio». È in treno sulla via per Venezia quando, alle 17, gli telefonano la notizia, Alda Merini è morta. «È allo­ra che ho capito – spiega turbato e contento –, col pretesto della prefazione al libro mi aveva ingiun­to di essere lì il primo novembre e non oltre. Sape­va quello che tutti noi ignoravamo. L’eredità che mi porterò sempre dentro sono quegli occhi verdi con cui mi ha parlato molto più che con le parole».

Poetessa d’amore e di Dio.
Rassegna stampa - Avvenire, Bianca Garavelli, 3 novembre 2009.

I ricordi più lontani tornano più il numero degli anni aumenta. Così anche per Alda Merini, na­ta il primo giorno di primavera e morta il giorno di tutti i Santi: in Uo­mini miei (Frassinelli, 2005) aveva riunito racconti della sua infanzia, e degli amati familiari. Diceva di esse­re stata «una bambina cattivissima» e che la nonna in punto di morte av­vertì di stare attenti alla «piccolina», perché era «completamente matta». In realtà libera e impulsiva, in fuga dalle regole sociali. Alda Merini era nata nello stesso an­no di uno dei libri meno tradiziona­li della poesia italiana: il 1931, data di uscita de L’Allegria di Giuseppe Ungaretti. Anche il suo destino poe­tico sarebbe stato quello di un’asso­luta libertà formale, di un percorso originale e precoce, fin dal secondo dopoguerra, quando iniziò a scrive­re poco più che adolescente. Un de­stino di poesia «da lei mai tradito», scrive Maria Corti nella prefazione a Fiore di Poesia (Einaudi 1998), ma anche il destino di una donna che rinasce dalle proprie ceneri. La poe­sia di Alda Merini rinasce nel 1984, grazie alla mediazione della stessa Corti e di Paolo Mauri, col volume La Terra Santa (Scheiwiller). Un ca­polavoro che ha aperto la strada a molti altri libri, fino a fare di lei la vo­ce poetica più popolare dell’ultimo Novecento, insignita di riconosci­menti prestigiosi, come i premi Li­brex Montale e Viareggio, e candi­data al Nobel. Ma già trent’anni pri­ma aveva riscosso le lodi di critici e scrittori, tra cui Giacinto Spagnolet­ti, primo in assoluto a scoprirla, Gior­gio Manganelli e Carlo Betocchi. Ra­gione di un silenzio così lungo è la tragica parentesi del manicomio, in cui fu internata nel 1965 per uscirne definitivamente solo nel 1972 con al­terni ricoveri e dimissioni. Quasi die­ci anni di sospensione dalla vita che spezzano a metà la biografia della poetessa. Merini parla del manico­mio come delle «mura di Gerico», con la nuova forza che le conferisce la poesia rinata, proprio ne La Terra Santa : la scrittura poetica era diven­tata per lei una via di salvezza. Grazie a un’esperienza così dram­matica e feconda, è come se esistes­sero due Alda Merini: la giovanissi­ma, che scrive a 16 anni ( La presen­za di Orfeo , 1953) poesie fluide e complesse, cariche di intuizioni co­smiche sul rapporto tra la vita uma­na e quella dei sistemi fisici e stella­ri. E la matura, musa della Milano dei Navigli, dell’amore per uomini famosi e per barboni, autrice di poe­sie in cui la vita appare più spoglia, come i versi più spogli di metafore. Entrambe hanno una forza poetica unica: la capacità di leggere il mon­do come un negativo fotografico pronto per la stampa, ma ancora un evento mentale, esplosivo, difficile da condividere. La traccia lasciata dal manicomio è quella della vita che travolge, nella sua provvisorietà e ap­parente casualità. Ma l’esperienza della follia era prefigurata dalla poe­sia precedente, in cui sono più im­portanti gli eventi affettivi di quelli storici, della guerra che pure ha sconvolto la sua famiglia e la città a­mata, Milano, in cui era nata «insie­me alla primavera». È una poesia di sentimenti concreti, tangibili, da pronunciare con nomi precisi, nei primi e negli ultimi testi. Come in Nozze romane del 1955 (Schwarz), dove ansie per la vita coniugale con il primo marito Ettore Carniti si al­ternano a immagini religiose, in cui l’autrice si identifica con la Madda­lena e dedica testi a Cristo portacro­ce e a Giovanni Evangelista. E in Tu sei Pietro del 1961 (Scheiwil­­ler), l’ultimo li­bro prima del­l’internamento, dove l’amore non corrisposto per il medico Pietro De Pa­schale si carica di toni mistici, diviene presen­timento del do­lore attraverso il «cuore trafitto dal­l’amore ». Ma non c’è solo l’amore terreno: in Paura di Dio del 1955 (Scheiwiller), un’angoscia profonda si mescola all’attrazione, vertigino­sa e terribile, per Dio. Che è Padre, ma di un amore che sembra troppo grande alla donna che teme la sua «ascesa simile all’abisso». Un ugua­le istinto d’amore la spinge a scrive­re versi per Michele Pierri, il poeta di Taranto che sposò nel 1983, e per Titano, barbone in cui vede un eroi­co cavaliere in miseria ( Titano amo­ri intorno , La Vita Felice 1994). Negli ultimi anni, in cui aveva rac­colto la sfida del genere noir con La nera novella (Rizzoli 2007), era tor­nata a un’ispirazione cosmica e reli­giosa, la cui urgenza è attestata da li­bri come l’intenso Superba è la not­te (Einaudi 2000), dove l’amore co­me un presentimento della fine si in­treccia con le «tenebre sicure» della morte che pulisce da ogni male, Mi­stica d’amore (2008), che riunisce ben cinque precedenti opere di ispirazione religiosa, e Padre mio (2009, entrambi Frassinelli), in cui torna la figura del Padre divino, an­che incarnata nei grandi padri uma­ni della letteratura e della vita, tra cui David Maria Turoldo, «che diradava le tenebre». E da un libro che uscirà da Einaudi alla fine del 2009: Il car­nevale della croce. Poesie religiose. Poesie d’amore, di nuovo con dop­pia anima, amorosa e religiosa. Un libro che purtroppo lei non vedrà.
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