Rassegna stampa - Liberazione, Alfio Nicotra, 24 settembre 2009.
Devo confessare che anch'io ero caduto nella tentazione di applaudirlo. Parlo di Antonio Di Pietro e dei suoi toni fermi e risoluti a favore del ritiro delle truppe. Sarà perché con un Parlamento ridotto ad una caserma e una informazione embedded speravo (e spero) sinceramente che qualcuno avesse il coraggio di dare voce e ragione al 58% degli italiani che chiedono la fine della missione di guerra in Afghanistan. Con rammarico è invece un applauso che non ho fatto. Mi è bastato leggere la mozione presentata dall'Italia dei Valori alla Camera e sbandierata come "mozione per il ritiro" per scoprire che si tratta di una fregatura bella e buona. In quella mozione non c'è traccia del ritiro ma chiede al governo di «non prorogare i termini, anzi, a predisporre il rientro nel più breve tempo possibile degli uomini inviati come rinforzo per garantire lo svolgimento delle elezioni presidenziali dell'agosto 2009». Ovvero è la stessa posizione espressa dal ministro La Russa che ha già annunciato l'immediato rientro di quelle poche centinaia di soldati inviati in forma aggiuntiva per garantire la sicurezza dei seggi (ma non per impedire i brogli).
La prosa della premessa della mozione è un altro capolavoro d'ipocrisia quando chiede al Governo di «riferire in Parlamento se e come sia cambiata la situazione in Afghanistan» (Di Pietro crede per caso alla balle di La Russa?) e ciliegina sulla torta di «porre, senza indugi, nelle sedi internazionali, l'esigenza di un riesame (sic!!!) e di modifica dei tempi e della strategia d'intervento di ristabilimento della pace e della democrazia in Afghanistan». Del ritiro neanche l'ombra!!! Al massimo la mozione si spinge a chiedere di «verificare le reali condizioni in cui il nostro contingente si trova ad operare» in considerazione che è in corso «una guerra civile tra diverse fazioni e conseguentemente valutare anche una autonoma strategia di uscita dall'Afghanistan».
Sorvoliamo sull'amnesia che più che di una guerra civile tra fazioni diverse è in corso una occupazione militare ed una guerra da parte della Nato (non chiediamo certamente che Di Pietro diventi antimperialista). Ci saremmo però aspettati un atteggiamento conseguente alle dichiarazioni fatte all'assemblea di Vasto e sui giornali di una posizione a favore del ritiro delle truppe. Di Pietro, su "Liberazione" di ieri, si arrampica sugli specchi anche quando annuncia che l'Idv voterà per il rifinanziamento della missione «perché vogliamo che ai nostri militari siano garantite le migliori condizioni di sicurezza». Ennesimo capolavoro d'ipocrisia.
Le missioni militari hanno un limite temporale - infatti periodicamente se ne vota la proroga e il rifinanziamento - e in quel limite sono previste anche le risorse per riportare a casa il nostro contingente in piena sicurezza. Morale di questa vicenda: Di Pietro blandisce l'elettorato pacifista, intuisce che c'è una separazione colossale su questo tema tra il Paese reale e quello legale e cerca di "smarcarsi" dalla posizione ultra atlantica del Pd. Lo fa però in modo maldestro adottando una politica dei due forni: parole di pace per l' opinione pubblica da un lato e sostegno alla guerra in Parlamento dall' altro. La stessa tattica di Bossi: a parole per il ritiro, nei fatti per mantenere le truppe.
Sarebbe facile ricordare come all'epoca del governo Prodi, davanti alla sofferenza della sinistra nel voto sulla proroga delle missioni militari nei teatri di guerra, Di Pietro fu uno dei più veementi accusatori del "lassismo" pacifista e della nostra inaffidabilità politica . Saremo disposti a metterci una pietra sopra se l'Idv compisse oggi scelte coerenti con politiche di pace e di disarmo. Quello che non possiamo accettare sono le prese per i fondelli. Quel parlare in un modo alle masse e di fare l'opposto nel Palazzo. Perché è con questi metodi che - oltre a produrre vittime di guerra in Afghanistan - si uccide la residua credibilità della politica.
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