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giovedì 24 settembre 2009

Verso il dibattito alla Camera sul biotestamento

Biotestamento: dibattito senza anatemi.
Una lettera inviata al premier da venti deputati del Pdl riapre il confronto politico.

Rassegna stampa - Il Secolo d'Italia, Guglielmo Federici, 24 settembre 2009.

Il dibattito alla Camera sul biotestamento è alle porte e l'impegno del presidente della Camera Gianfranco Fini è quello di far sì che la discussione parlamentare si svolga «nel doveroso rispetto del diritto di ogni deputato a esprimersi secondo coscienza». Più che un auspicio è un impegno quello che si è assunto il presidente della Camera, che ieri nel suo studio a Montecitorio ha ricevuto gli esponenti radicali Marco Cappato, presidente dell'Associazione Coscioni, Rocco Berardo, presidente dell'associazione "A buon diritto", Luigi Manconi e Mina Welby. L'auspicio ribadito da Fini è che il dibattito in aula si sviluppi «in un clima di pacatezza, scevro da ogni pregiudizio».
L'incontro è stato chiesto dai radicali stessi per consegnare a Fini un dischetto contenente oltre 3.300 testamenti biologici raccolti online in questi mesi. Questi tremila moduli consegnati e sottoscritti «sono molto più di un sondaggio», ha spiegato Marco Cappato, specificando che si tratta di testamenti biologici «già validi e vincolanti. Perché se la giurisprudenza ha riconosciuto la manifestazione della volontà, espressa in modo orale e ricostruita attraverso testimonianze, di Eluana Englaro, a maggior ragione una msposizione scritta ha valore e deve essere rispettata da un giudice che volesse ricostruire ex post la volontà del paziente. Parlano di un successo, i presidenti delle associazioni, Marco Cappato e Luigi Manconi, mentre illustrano al presidente della Camera i risultati raggiunti in neanche due mesi dalla iniziativa lanciata su internet. Dietro queste "firme" ci sono migliaia di persone che hanno espresso l'intenzione di rifiutare nutrizione e idratazione forzate, così come il ricorso alla respirazione meccanica, e hanno nominato un fiduciario per le scelte terapeutiche nel caso in cui si trovassero in stato di incoscienza.
Dal dibattito sul biotestamento, insomma, emerge la necessità di una riflessione più ampia e condivisa. Di questa esigenza si sono fatti interpreti venti deputati del Pdl che hanno firmato una lettera inviata al premier Berlusconi, pubblicata ieri per intero dal Foglio: «È preferibile e ancora possibile cambiare strada», si legge. «E preferibile fare una legge che consenta di accordarsi su ciò che accomuna gli italiani: la persuasione che il rapporto con la malattia, con le cure e con la morte appartengono a uno spazio personale». I venti deputati del Pdl chiedono al governo un passo indietro, una pausa di riflessione per modificare la legge sul testamento biologico approvata dal Senato. C'è bisogno di una legge che possa «porre dei confini senza pretendere di regolare tutto». L'iniziativa è partita da Adolfo Urso, viceministro allo Sviluppo economico e segretario della fondazione FareFuturo, insieme a Benedetto Della Vedova.
Nella lettera i "venti" chiedono a Berlusconi di evitare che la discussione della legge sul fine vita produca uno «scontro ideologico tra due impostazioni speculari» e che si produca una «lacerazione tra i partiti e dentro i partiti», con il rischio che venga approvata da una «maggioranza ristretta». La lettera fa un forte richiamo al "privato" che, spiegano i venti deputati del Pdl, «va inteso come riconoscimento dei limiti del legislatore e della sua incapacità di ordinare la complessità delle relazioni terapeutiche e di stabilire una disciplina più giusta di quella già oggi definita dal Codice di deontologia medica». La conseguenza del ragionamento è che occorra «una soft law, che ribadisca con chiarezza il no all'eutanasia e all'accanimento terapeutico e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del "fine vita", demandando al rapporto tra pazienti, familiari, fiduciari e medici, la decisione in ordine a ogni scelta di cura».
L'iniziativa dei "venti" raccoglie consensi nell'esigenza di una sintesi tra valori laici e cattolici. Un'esigenza sulla quale «ìl Pdl è unito», si dice convinto il ministro dell`Attuazione del programma, Gianfranco Rotondi, intervenendo nel dibattito. Un dibattito dai toni pacati, una discussione tranquilla e senza "anatemi" si sta infatti delinenando all`interno del Pdl. Un risultato importante, quasi impensabile se si ritorna con la mente a un mese fa, quando sembrava un atto di lesa maestà soltanto il parlare di modificare la legge licenziata da Palazzo Madama. «Ci sono cose che appartengono alla coscienza di ciascuno e il testamento biologico è una di quelle», interviene il ministro delle Infrastrutture, Altero Matteoli che a proposito della lettera aggiunge: «Io ho sempre detto che su argomenti come questi non può esserci che libertà di coscienza. Che poi ci sia un dibattito per tentare di migliorare la legge approvata dal Senato, da parlamentare sono contento che questo accada». Anche Antonio Mazzocchi, presidente dei Cristiano riformisti condivide la sostanza dell'iniziativa dei colleghi di partito. «Con i colleghi sicuramente non posso condividere nel merito alcune posizioni, ma sono d'accordo certamente con la necessità che il Parlamento abbia a disposizione tutto il tempo necessario per legiferare su questa materia».

L'appello pubblicato ieri, 23 settembre, su Il Foglio.
La legge sul “fine vita” ponga dei confini ma non pretenda di regolare tutto.
Lettera a Berlusconi per un disarmo ideologico.


Al Presidente Silvio Berlusconi
Caro Presidente, la discussione del disegno di legge sul “fine vita” licenziato dal Senato pone la Camera e ciascun deputato di fronte a un’alternativa, che è insieme civile, politica e istituzionale. Da una parte c’è la possibilità di proseguire una discussione che contrapponga, in modo frontale, sempre meno dialogico e sempre più ideologico, due impostazioni speculari: quella di chi vorrebbe riconoscere e disciplinare compiutamente le dichiarazioni anticipate di trattamento, nel senso della piena autodeterminazione del paziente; e quella, che ha prevalso al Senato, di chi ritiene che la materia del “fine vita” vada disciplinata, altrettanto prescrittivamente, in modo uguale e contrario, impedendo che le direttive anticipate dei pazienti possano pre-determinare le scelte di cura.
Se si proseguisse su questa via, per come stanno oggi le cose, una delle due impostazioni finirebbe con il prevalere con una maggioranza comunque ristretta; e solo a costo di una lacerazione tra i partiti e dentro i partiti. Ma una legge che scaturisse da questo scontro non troverebbe un punto di equilibrio che assicuri a tutto il Paese di riconoscersi in essa. È preferibile e ancora possibile cambiare strada, non fare una legge che costringa i parlamentari e gli italiani a scontrarsi su ciò che più li divide, ma che consenta agli uni e agli altri di accordarsi su ciò che maggiormente li accomuna e umanamente li affratella: la persuasione che il rapporto con la malattia, con le cure e con la morte (la propria e quella dei propri cari) appartenga a uno spazio personale di cui la legge può prudentemente fissare i confini “esterni”, ma non i contenuti “interni”, che sono interamente affidati alle relazioni morali e professionali che legano il malato al suo medico e ai suoi congiunti.
Questo richiamo al “privato” non allude all’istituzione di una sorta di zona franca, un’area eslege in cui medici, familiari e pazienti possano muoversi spregiudicatamente, anche contra-legem. Va inteso nel senso esattamente contrario, come riconoscimento dei limiti del legislatore e della sua incapacità di ordinare la complessità delle relazioni terapeutiche e di stabilire una disciplina più “giusta” di quella già oggi definita, con grande chiarezza e prudenza, anche sulla materia del “fine vita”, dal Codice di deontologia medica.
L’iper-regolamentazione giuridica del “fine vita” non contrasta solo con il senso di giustizia, ma con il senso di realtà. L’infinita e drammatica casistica materiale e morale che emerge nelle relazioni di cura non può essere infilata a forza in una legge fatta di norme astratte e generali. L’equilibrio e il senso della misura spingono al contrario verso una soft law, che ribadisca con chiarezza il no all’eutanasia e all’accanimento terapeutico, e che per il resto istituisca una sorta di riserva deontologica sulla materia del “fine vita”, demandando al rapporto tra i pazienti, i loro familiari e fiduciari e i medici – nel rispetto dei principi del codice di deontologia medica, delle norme civili e penali e del dettato costituzionale – la decisione in ordine a ogni scelta di cura. Se emergesse questa disponibilità, sarebbe possibile giungere in breve tempo a un testo più semplice, comprensibile e difendibile sul piano giuridico-costituzionale rispetto a quello approvato dal Senato. Ci rivolgiamo a Lei come leader politico, per affidarle una richiesta di cui comprenderà l’urgenza politica e il significato istituzionale.
Con rinnovata stima,
Benedetto Della Vedova, Adolfo Urso, Antonio Martino, Fiamma Nirenstein, Mario Baccini, Flavia Perina, Peppino Calderisi, Giulia Bongiorno, Mario Pepe, Enzo Raisi, Antonio Buonfiglio, Santo Versace, Silvano Moffa, Roberto Antonione, Fabio Gava, Alessandra Mussolini, Deborah Bergamini, Marcello De Angelis, Giuseppe Moles, Giorgio Stracquadanio.
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