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mercoledì 25 novembre 2009

Anziani e lavoro

Anche il lavoro va adattato alla società che invecchia.
Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Pennisi, 25 novembre 2009.

Dal «Rapporto Nazionale 2009 sulle condizioni e il pensiero degli anziani: una società diversa», presentato nei giorni scorsi, si evince che già il 20% degli italiani ha più di 65 anni (nel Nordest si sfiora il 30%), il 60% degli ultra­65enni sono donne e un terzo dei lavoratori attivi è nella 'terza età'. «Il welfare – conclude il documento – necessita di urgenti interventi per adeguarsi ai bisogni di queste nuove generazioni di anziani» in una società in cui nel 2050 l’aspettativa di vita raggiungerà gli 86,6 anni per gli uomini e gli 88,8 per le donne.
Gli interventi più importanti, a nostro avviso, riguardano l’adattamento del mercato del lavoro ad un processo di pensionamento graduale, l’implementazione di alcuni meccanismi previdenziali specifici e il sistema sanitario nel suo complesso. Tali interventi potranno essere compiuti dopo il superamento della crisi economica in corso ma occorre cominciare a rifletterci da ora. In materia di lavoro, la priorità è facilitare l’occupazione degli anziani che possono e vogliono restare attivi.
Negli Usa il risultato si è prodotto anche grazie a una sentenza della Corte Suprema che ha giudicato discriminatori, e incostituzionali, i 'limiti di età'. Rientrando in Italia, sarebbero probabilmente da ripensare norme recenti che, con l’obiettivo di svecchiare la dirigenza pubblica, hanno reso più stringenti tali 'limiti'. Lo scopo di poter disporre di una dirigenza giovane e nel contempo mantenere gli anziani al lavoro (se possono e vogliono farlo), si può raggiungere ponendo alle posizioni dirigenziali 'tetti di età' anche inferiori a quelli attuali (nelle organizzazioni dell’Onu, ad esempio, sono fissati a 57 anni) ma facendo sì che i dirigenti 'giovani' siano affiancati da 'anziani' in posizione di staff, magari anche a part-time, della cui esperienza possano avvalersi. Ciò potrebbe favorire anche la posposizione dell’età effettiva di pensionamento.
Ancora, da noi è di queste settimane l’accordo secondo cui gli avvocati non potranno fruire di pensioni di vecchiaia prima dei 70 anni di età e di 35 anni di contributi. Pur se il meccanismo 'contributivo' per il computo dei trattamenti previdenziali induce a ritardare l’età della pensione, è auspicabile che misure come questa vengano generalizzate al fine di evitare lo scenario di un’Italia in cui il 30-40% della popolazione sarà composta da anziani indigenti a causa di pensioni raggiunte troppo precocemente e di assegni che col tempo perdono troppo valore.
La revisione di alcune norme lavoristiche e previdenziali dovrebbe poi essere accompagnata da misure specifiche attinenti all’indicizzazione dei trattamenti. Quando il meccanismo 'contributivo' sarà pienamente in vigore, il rapporto tra ultimo stipendio e primo assegno pensionistico sarà attorno al 50%.
Tale livello può essere considerato adeguato dato che molti pensionati disporranno di capitali accumulati in vita attiva. Smentendo il teorema per il quale Franco Modigliani ebbe il Premio Nobel, infatti, un’analisi dell’Università di Chicago avverte che nell’America in cui il saggio di risparmio di individui e famiglie è rasoterra, solo gli anziani hanno tassi positivi di risparmio, sia per il desiderio di lasciare un’eredità a figli (il 25% degli anziani risparmia a questo scopo) sia per la preoccupazione di spese elevate quando non saranno autosufficienti. Negli Usa chi nel 2009 va in pensione a 65 anni deve accantonare, a seconda del reddito e del genere, tra i 135.000 e i 400.000 dollari per premi assicurativi sanitari e spese sanitarie non assicurabili.
L’invecchiamento sempre più elevato implica però la necessità di un maggiore tasso d’indicizzazioni delle pensioni a partire dai 75 anni e una politica mirata al miglioramento dei servizi sanitari per gli anziani.
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