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venerdì 4 dicembre 2009

Il sogno nel cassetto

Dimmi con chi vai...
Berlusconi in Bielorussia: la fascinazione per i dittatori.

Dai giornali online - Peace Reporter, Luca Galassi, 1 dicembre 2009.

Chi pensava che il nostro Paese ormai da tempo languisse nelle paludi di una politica estera vetusta, mediocre, provinciale, deve oggi ricredersi, e salutare l'avvento del pioniere Silvio Berlusconi, navigatore delle rotte geopolitiche più tempestose, primo politico occidentale in visita a Minsk da 15 anni a questa parte.
Gheddafi è un problema per l'Unione Europea? Ci pensa Berlusconi a legittimarlo, promuovendolo al ruolo di statista al recente G8 con un obolo da 5 miliardi di dollari. Che poi la contropartita sia l'applicazione di disumane politiche sull'immigrazione poco importa agli euroburocrati, che da un lato le condannano, dall'altro le implementano con lo scudo navale anti-clandestini Frontex. Putin deve ripulirsi la suola delle scarpe dai diritti umani calpestati nel suo Paese, con la ferocia e gli abusi sui ceceni, la repressione della stampa ostile, delle opposizioni politiche e degli oligarchi scomodi? Berlusconi se ne fa garante, eleggendolo a partner privilegiato e 'amico intimo', offrendogli dorate villeggiature e visitandolo 'privatamente' a San Pietroburgo. La Bielorussia preme con insistenza alle porte dell'Unione Europea, nonostante le manifeste attitudini antidemocratiche del suo presidente? Ci pensa lo sdoganatore Berlusconi a oliare i cardini e stendere il tappeto, con la sua politica estera fai da te.
La visita del presidente del Consiglio italiano a Minsk è solo l'ultimo capitolo in una lunga serie di relazioni diplomatiche artigianali e avventurose, fondate esclusivamente su robusti interessi economici o personali. Missioni dove il visitante è incurante, ignaro, o indifferente alla situazione civile e morale del Paese visitato, del suo grado di democrazia, del suo passato. La Bielorussia è il luogo che più di ogni altro ha conservato la propria identità sovietica. Dettagli trascurabili, per un Premier che all'estero si fa amici tutti, mentre in Italia continua a parlare del complotto comunista. Il leader dell'opposizione bielorussa ha definito Berlusconi un businessman puro, uno capace di vendere qualsiasi cosa, anche i valori europei in cambio di un tornaconto. In questo caso, ricche commesse per le aziende italiane, Finmeccanica in testa. "Con Lukashenko - ha detto Anatoly Lebedko, capo del Partito civico unito - Berlusconi non ha parlato di democrazia, libere elezioni o prigionieri politici". Anzi, il Premier ha candidamente elogiato il presidente bielorusso, un uomo "amato dalla sua gente, come dimostrano tutti i risultati delle elezioni che sono sotto gli occhi di tutti, che noi conosciamo e apprezziamo". Forse la superficialità di una simile dichiarazione è solo apparente: Berlusconi sa che un presidente eletto con l'80 percento dei voti nel '94, il 75,6 nel 2001 e l'82,1 percento nel 2006 non è un uomo 'amato' dalla sua gente, ma un uomo che obbliga la sua gente a votarlo. Perché non c'è alternativa. Lukashenko soffoca la stampa libera monopolizzando le televisioni di Stato, sottopone al diretto controllo del governo la magistratura, imbavaglia e incarcera gli oppositori politici, modifica la Costituzione per potersi candidare a un terzo mandato. Tutte le elezioni dove Lukashenko ha ottenuto la grande 'prova d'amore' da parte della sua gente sono state censurate dagli osservatori dell'Ocse e condannate dall'Unione Europea.
Una superficialità apparente, quella di Berlusconi, che sicuramente conosce le risoluzioni di condanna dell'Unione Europea, oltre alle sanzioni che Bruxelles ha prorogato giusto tre settimane fa contro "l'ultima dittatura d'Europa" (secondo la definizione di Condoleezza Rice). Siffatta dichiarazione di stima ("Lukashenko è un uomo amato dalla sua gente") rivela probabilmente gli inconfessabili sogni di un Premier che ha sempre ammirato chi governa con pugno di ferro, desiderando, non solo in segreto, mutuarne metodi e personalità, emularne le caratteristiche autocratiche, invidiando le circostanze storico-politiche che rendono ancora possibile la sopravvivenza di una dittatura nel cuore del continente. Purtroppo, per sua sfortuna, la Costituzione italiana non si cambia per decreto presidenziale.

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