Sarà sicuramente stracolma domani 25 ottobre la piazza del Duomo di Milano. Torna a riempirsi per don Carlo Gnocchi l’indimenticato “padre dei mutilatini” come lo fu il 1° marzo del 1956 quando centomila persone avevano gremito il Duomo e la piazza per l’ultimo saluto al sacerdote nato a San Colombano al Lambro nel 1902. Anche oggi la televisione, così come i giornali hanno ricordato in particolare due circostanze significative. La prima quando, sul letto di morte, don Carlo affidò la propria Opera a quanti gli stavano accanto pronunciando la famosa frase: “Amis, ve raccomandi la mia baracca….”. Oltre mezzo secolo dopo, quel monito è diventato una sfida che vede la Fondazione sempre più impegnata al servizio e in difesa della vita. In 28 Centri (uno anche a Lodi presso la Parrocchia di S. Alberto) in 9 regioni d’Italia, in diversi Paesi in via di sviluppo, in Bosnia Erzegovina, Equador, Rwanda, Sierra Leone la “Don Gnocchi” si prende cura di portatore di handicap: li accoglie e costruisce con loro e le loro famiglie un progetto riabilitativo che comprende assistenza, scuola, formazione professionale e sostegno alla famiglia.
La seconda quando durante le esequie un mutilatino interpretò il sentimento popolare rivolgendosi a don Gnocchi con questo saluto: “Prima ti dicevo: ciao don Carlo. Oggi ti dico: ciao San Carlo”. Parole profetiche che oggi, dopo cinquantatre anni si avverano.
Il miracolo attribuito a don Carlo è accaduto nell’agosto del 1979 a Orsenigo, in provincia di Como dove Sperandio Aldeni, elettricista, è sopravissuto incredibilmente a una mortale scarica elettrica. L’alpino Sperandio, devoto al suo cappellano della Tridentina don Carlo durante la tragica campagna di Russia prima e volontario poi tra i ragazzi disabili di un Centro della Fondazione, attraversato da capo a piedi da una potente scarica come quella di un fulmine, si appellò in quegli istanti a don Carlo. Nessuno ha potuto spiegare come ne sia uscito illeso. “Mi ha protetto don Carlo” ha sempre sostenuto l’alpino, purtroppo scomparso poco più di due anni fa. Ma il miracolo di don Gnocchi prosegue ancora oggi così come un miracolo è stata la sua vita straordinaria per fede e intraprendenza. Lo dimostrano gli appellativi con i quali è ricordato e venerato: educatore dei giovani, cappellano degli alpini, padre dei mutilatini, precursore della riabilitazione, imprenditore della carità, profeta del dono di organi per aver voluto donare, facendo scalpore in quei tempi, le proprie cornee in punto di morte quando ancora i trapianti di organi in Italia non erano regolati dalla legge.
“Seminatore di speranza” lo definì Giovanni Paolo II. Un prete che in anni assai tormentati seppe con convinzione ed entusiasmo dare fiducia ai giovani e credere fermamente nel valore “santo” del dolore, soprattutto di quello innocente dei bambini. Domani il grazie di tanti di loro e di tanta gente al santo rimasto sempre accanto alla vita e al servizio dei più fragili.
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