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sabato 24 ottobre 2009

Annotazioni riguardo la «Chiesa dei no»

Dibattito. No della Chiesa, riflesso di domande mal poste.
Rassegna stampa - Avvenire, Stefano Galletta, 23 ottobre 2009.

Caro Direttore, un vaticanista italiano, in una recente pubblicazione, si lamenta di una cosiddetta «Chiesa dei no», sorda alle richieste provenienti dalla modernità e da una parte consistente (così dice lui) dei fedeli. Una contestazione certo legittima, anche se non molto originale. Ma, a parte la scarsa originalità, ciò che mi lascia più perplesso sono due presupposti che trovo alla base del suo ragionamento: primo che questi lasciapassare siano di per sé innegabili, in quanto legati a parole come progresso, libertà, diritto; secondo, che le richieste di riforma dottrinaria (perché di questo si tratta) provenienti da laici credenti siano automaticamente buone e appropriate. Riguardo al primo punto mi viene da obiettare che la Chiesa, e con lei ogni cattolico, dovrebbe sempre chiedersi se ciò che è presentato e percepito come progresso, libertà, diritto sia veramente tale anche alla luce del Vangelo. Questo è il filtro che deve usare la Chiesa: chiederle di rinunciarvi è invitarla a rinnegare a se stessa, a non servire più la Verità e la Carità per sottomettersi alla mentalità e alle convinzioni transitorie del mondo. Riguardo al secondo punto mi sorge una domanda: i laici credenti possono dare un contributo di Verità? Io direi di sì, ma a certe condizioni: ad esempio che si conosca il Vangelo, che lo si ami, che si preghi, che si invochi lo Spirito e che da esso ci si lasci ispirare, che si ami la Chiesa. Se manca ciò, rischiamo solo di sottomettere la Verità al nostro arbitrio, o peggio al nostro interesse, e la dottrina della Chiesa non può nascere da questo. È la riproposizione della chimera della «fede fai da te», che avrà certo portato più libertà, ma anche tanto smarrimento, confusione, divisione.
Infine una piccola provocazione.
Forse i no della Chiesa sono solo il frutto del modo in cui le domande vengono poste. Basterebbe una formulazione diversa e quei no diventerebbero altrettanti sì. Il no all’aborto è un sì alla vita, in quanto dono di Dio che ci crea con la collaborazone dei genitori. Il no alla selezione degli embrioni è un sì alla dignità di ogni creatura chiamata dal Signore alla vita. Il no alla pena di morte è un sì alla possibilità di redenzione di un uomo e all’intangibilità della sua persona. Il no alle pratiche omosessuali è un sì all’amore che conserva le sue potenzialità «creatrici» che di generazione in generazione fanno esistere l’umanità. Il no al preservativo è un sì al disegno e alla volontà di creazione di Dio, un sì all’amore che non si riduce a semplice appagamento dei sensi. Il no al matrimonio dei sacerdoti è un sì alla vita religiosa basata su un rapporto totale e totalizzante con Cristo e la sua Chiesa.
Stefano Galletta
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