Marina Berlusconi: «Noi e le nostre aziende meritiamo rispetto».
La figlia del premier: «Basta con la dynasty. Successione? Mio padre sta benissimo».
Rassegna stampa - 11 settembre 2009.
Milano - È stata in silenzio, in questi mesi. Tranne quando Dario Franceschini parlò di Silvio Berlusconi come di un cattivo padre. Allora, Marina Berlusconi assieme ai suoi fratelli volle far conoscere la propria indignazione. Adesso, nell’ufficio nel cuore di Milano da dove governa sul mondo Fininvest, sfoglia infastidita la rassegna stampa sul gruppo di questi mesi roventi, in un intrecciarsi sempre più confuso tra storie private, società, politica. «Guardi qua, i giornali ormai da mesi si occupano di noi, delle nostre aziende, solo come di trofei da spartire». Il suo sfogo parte da qui, ma va ben oltre. Dopo aver dribblato la prima domanda, quella d’obbligo: nei mesi scorsi non si è fatto che scrivere di divorzio, di Berlusconi dynasty... «Di queste cose non ho la minima intenzione di parlare. Tantomeno sui giornali. Se le domande sono queste, intervista finita».
No, aspetti, e allora perché ha accettato questa conversazione?
«Intanto per dire che le ventimila persone che lavorano qui, e se consente mi ci metto anche io, meritano più rispetto. Stiamo parlando di aziende quotate, che creano ricchezza, che fanno informazione e cultura. Non siamo le casette del Monopoli che si prendono e si spostano di qui e di là».
Veramente tutto è cominciato con dichiarazioni di membri della sua famiglia. Noi giornali siamo venuti dopo...
«Senta, a me non interessa chi ha parlato e chi no. Io so solo che lavoro in questo gruppo da quasi vent’anni, da 13 sono al vertice della Fininvest…».
Lo sappiamo bene, ma...
«Ma niente: sono rare le volte in cui ho visto la stampa occuparsi di noi per le cose che abbiamo fatto e per come lavoriamo. Ad esempio mi piacerebbe che si parlasse di Mediaset che produce un capolavoro del nostro cinema come Baarìa , o di Mondadori che ha appena vinto un premio del peso del Campiello, e che proprio in questi giorni ha portato anche in Francia un marchio come Grazia , vale a dire la moda, lo stile di vita, il gusto italiano. In Francia, ripeto, dove su queste cose hanno sempre dato lezioni a tutti».
Ho capito, vi sentite delle vittime, da una parte voi, primo gruppo multimediale in Italia, dall’altra il resto...
«No, solo la verità. Di noi si parla sempre o quasi per il conflitto di interessi, e ora ci mettiamo anche la dynasty. Eppure in questi 13 anni qualcosa di buono l’abbiamo fatto. Abbiamo investito massicciamente, 18 miliardi di euro, e un altro miliardo anche in un 2009 così difficile. E se 13 anni fa su 100 euro di fatturato ne guadagnavamo 4, oggi siamo quasi arrivati a cinque volte tanto».
Non c’è dubbio, a crescere siete cresciuti e anche un bel po’...
«Se è un’allusione alle aziende della famiglia del premier, allusione per allusione, visto che vanno molto di moda le residenze in Svizzera o i pagamenti in nero, voglio ricordare che in questi 13 anni abbiamo pagato tra imposte e contributi la bellezza di 7 miliardi di euro, il che significa quasi un milione e mezzo versato ogni giorno nelle casse dello Stato».
Allora la lotta per la successione se la sono inventata i giornali?
«E finiamola con questa storia della successione. Intanto, grazie a Dio, l’argomento non è sul tavolo perché mio padre gode di ottima salute. E comunque ogni decisione spetta solo ed esclusivamente a lui».
D’accordo: qui si pensa soprattutto a lavorare. Ma, come per tutti, questo non mi pare uno dei periodi più esaltanti. L’editoria, per esempio, non vi sta dando tutte queste soddisfazioni...
«Che il momento sia molto difficile e costringa chiunque, in tutto il mondo, a cambiamenti anche dolorosi, mi pare fin troppo evidente. Formule magiche non ce ne sono e non ce ne saranno. Non aspettiamoci miracoli dai nuovi mezzi. Su Internet gli editori non hanno ancora trovato un modello che permetta di guadagnare, anche se bisogna continuare a sperimentare. Detto questo, piangersi addosso o fare le Cassandre del nostro mestiere non serve a niente».
E quindi come se ne esce?
«Non ho la pretesa di dare lezioni a nessuno, ma credo che la ricetta sia sempre la stessa, quella che alla Mondadori stiamo seguendo: lavorare bene, lavorare molto sulla qualità, e continuare a investire, nonostante la crisi, sui nostri prodotti, in Italia e all’estero».
Ammetterà che è quello che dicono tutti.
«Ammetterà lei che è stata una scelta molto coraggiosa quella di lanciare, in un anno così duro, Grazia in Francia, seguendo una strategia che in pochi anni ci ha permesso attraverso il 'Grazia Network' di essere presenti con questo marchio fortissimo in 13 Paesi».
Resta il fatto che per gli editori il futuro è perlomeno tutto da decifrare.
«Guardi, le faccio un esempio magari banale ma significativo. Ai miei due figli, che hanno uno cinque e l’altro sei anni e mezzo, sto leggendo dei libri sulla mitologia greca. E loro ascoltano le storie di Teseo, Achille, Ulisse, con la bocca spalancata. Storie che hanno qualche millennio. Ma che sono in realtà senza tempo, perché sanno soddisfare l’eterno bisogno dell’uomo di emozionarsi, di far correre la fantasia, di conoscere, di capire. Fare l’editore significa saper soddisfare questo bisogno. Ed è per questo che credo sia un mestiere eterno, e anche uno dei più complessi e affascinanti ».
Da quel punto di vista allora la televisione oltre a essere affascinante produce anche un bel po’ di utili.
«Che c’entra, sono cose diverse. Sulla televisione comunque mio fratello Piersilvio sta facendo un lavoro eccellente. Si è inventato dal nulla, in pochi anni, un nuovo business, quello della tv a pagamento. E in questo modo, come fece tanti anni fa con la Rai, Mediaset sta incrinando un altro monopolio, quello di Sky. Non pretendiamo che ci dicano 'bravi', ma che a sinistra facciano addirittura un gran tifo per Sky… Buffo, no? Se c’è di mezzo Berlusconi, va bene anche saltare da Marx a Murdoch. L’importante è andargli sempre contro».
Diciamo che nemmeno suo padre ci va leggero con i giornali. Se apriamo il capitolo delle critiche, degli attacchi, non si finisce più.
«E vuole che non lo apra? Del resto — anche evitando accostamenti che non reggono — gira e rigira il punto è sempre quello. Per definire quanto hanno cercato di fargli in questi mesi mi vengono solo due aggettivi: 'indegno' e 'vergognoso'».
Ma...
«E non sono affatto sufficienti. Una cosa positiva però c’è: tutto questo ha dato ancora di più a me come figlia la misura della grandezza e della qualità umana di mio padre, e dell’enorme distanza fra lui e chi ha cercato di distruggerlo in quel modo. Guardi come ha reagito, come è riuscito ad andare avanti, a continuare a governare il Paese — e, mi lasci dire, anche molto bene— durante una crisi economica drammatica da cui l’Italia sta uscendo meglio di molti altri».
Guardi che suo padre ha reagito, e con durezza, contro i giornali. La libertà di stampa è un valore fondante.
«Questa poi di un’Italia dove la libertà di stampa è a rischio... A rischio in un Paese in cui il capo del governo viene sottoposto per mesi a un vero e proprio linciaggio? So perfettamente quanto sia preziosa la libertà di stampa, e non solo perché faccio l’editore. Semmai la questione è come e per quali scopi questa libertà viene usata. Qui qualcuno sembra essersi dimenticato che ogni libertà ha un limite ben preciso, che è il rispetto della libertà altrui. Liberi i giornalisti, ma libero anche Berlusconi. Libero, come tutti, di avere una vita privata, e libero di reagire, anche duramente, ad accuse che non sono accuse, ma calunnie infamanti. Mi pare che certa stampa faccia finta di dimenticare che la libertà non è un suo privilegio esclusivo, ma un diritto di tutti. La domanda la faccio io a lei: non crede si sia superato il limite?».
A giudicare dalla confusione, qualcosa è successo. Ma per quello che ci riguarda abbiamo sempre e solo usato, anche per le ultime carte da Bari, il metro della professionalità, dell’equilibrio e della pubblicazione di notizie, fatti e documenti.
«No, non sono assolutamente d’accordo. Quei documenti in base alla legge non erano pubblicabili. E comunque al loro interno non c’è nulla che abbia il benché minimo rilievo penale. Il dramma è che in quest’aria irrespirabile si tende a non fare più distinzioni, a considerare ammissibile quello che è e dovrebbe rimanere inammissibile. E sa da dove tutto è partito? Dal fatto che un’opposizione di cui si sono perse le tracce ha lasciato il suo mestiere, da troppo tempo, nelle mani di alcune testate ben precise e di un gruppetto di magistrati: addio politica, avanti con i dossier, i pettegolezzi, il fango. Guardi l’equazione scellerata che certi giornali applicano: libertà = dare addosso a Berlusconi = essere costretti a pensarla come loro. E se la stragrande maggioranza degli italiani non è d’accordo, vuol dire che sbaglia. Invece no, libertà vuol dire essere liberi di poterla pensare diversamente senza per questo sentirsi dare del cecchino prezzolato».
Sia esplicita, a chi si riferisce? A Feltri?
«Anche. Non sempre mi trovo d’accordo con lui, ma oltre ad essere un fuoriclasse assoluto nel suo mestiere, è un esempio lampante di giornalismo libero. Siccome però oltre che essere libero è anche controcorrente, allora va messo all’indice».
Mi pare chiaro, alla fine, che lei non abbia il minimo dubbio: quelli contro suo padre sono stati tutti e solo colpi sotto la cintura...
«A volte, più che colpi sotto la cintura mi sono sembrati veri e propri tentativi di pugnalarlo alle spalle. Ma per fortuna mio padre ha i riflessi pronti».
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