Nel Pdl problemi veri e un tema sbagliato.
Rassegna stampa - Avvenire, 11 settembre 2009, Sergio Soave.
Con il discorso molto puntuto tenuto ieri a Gubbio il presidente della Camera ha reso inevitabile l’avvio di una nuova fase nella vita interna del Popolo della libertà. Un partito finora placidamente assopito nella contemplazione dei successi vantati dall’esecutivo. Dalla sua fondazione il Pdl non ha deciso nulla, ha detto in sostanza Silvio Berlusconi a Gianfranco Fini per rassicurarlo sul fatto che non sarebbe stata compiuta alcuna azione contro di lui o i suoi sostenitori. Ma proprio questo è il problema, ha replicato il presidente della Camera: un grande partito deve decidere. In questa cronaca della telefonata di mercoledì scorso tra i due c’è il succo di un’incomprensione profonda e destinata a non sciogliersi.
Questo non mette in forse l’unità del partito, ma apre un confronto serrato sulla sua struttura, sui sistemi di dibattito interno e di decisione, sulla sua stessa funzione. Che per Fini non può esaurirsi nel sostegno al governo.
L’ex leader di An chiede di discutere su una serie di problemi di prospettiva, dal principio di cittadinanza alla condizione reale del Mezzogiorno, invita polemicamente a non apparire riluttanti a ricercare la verità sulle stragi di mafia, chiede una maggiore attenzione alle fasce di popolazione che soffrono le conseguenze della crisi, ma rifiuta con sdegno le vociferazioni che lo dipingono come convertito alla sinistra e – ultimo, ma non ultimo tema – insiste nel criticare il testo di legge sul fine vita così come è stato approvato al Senato. Il suo scopo è quello di aprire una contraddizione all’interno del Pdl, di esprimere un dissenso permanente, sfidando Berlusconi a rendere le strutture del partito adatte a gestire democraticamente questo confronto.
Il problema di metodo, quello che riguarda l’assenza di sedi di confronto interno o la paralisi di quelle formalmente esistenti, è propedeutico a problemi di merito, sui quali Fini prospetta soluzioni e proposte spesso alternative e chiede si raggiunga «un equilibrio». Anche a costo di farlo saltare su questioni di grande delicatezza.
Non si può fare a meno di notare, infatti, che il presidente della Camera ha sostenuto che sul tema del fine vita questo «equilibrio» non solo non sarebbe stato raggiunto ma neppure cercato, e ha rincarato la dose, avvertendo che non è sufficiente raggiungere un’intesa nella maggioranza, perché sarebbe preferibile realizzare un accordo anche con le opposizioni. A scopi interni, e rivolgendosi alla grande platea dell’intera opinione pubblica, Fini ha glissato su particolari decisivi: il ruolo dell’Udc, che ha sommato i suoi voti a quelli della grandissima parte della maggioranza, e il voto di coscienza a favore del testo Calabrò di non pochi senatori del Pd manifestatosi ogni qual volta a Palazzo Madama si è votato a scrutinio segreto. L’esatto contrario di quanto si aspettavano alcuni.
Detto questo, è evidente che oggi è difficile prevedere come proseguirà un confronto che non potrà certo più ridursi a una discussione tra il premier e il presidente della Camera, né tantomeno essere concluso con qualche pacca sulle spalle. Ma è altrettanto chiaro che da oggi il Pdl sarà la sede di un confronto a tutto campo, che non potrà essere delimitato a priori e che già investe questioni di principio e visioni politiche complessive.
Siamo alla polemica "futurista" di Fini nei confronti del pragmatismo di Berlusconi. Ed è forse in questo senso (non in quello di un’improbabile battaglia immediata per la guida del governo o del partito) che si può dire che la prospettiva dell’ex leader della destra tende a porsi sul terreno del post-berlusconismo.
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