Tasse e famiglie.
Rifiuti, la contesa dell’Iva.
Rassegna stampa.
C’è una mina vagante per i conti di molti Comuni italiani (1.193 in tutto). Ma è anche una buona notizia (parziale, poi diremo perché) per circa 6-7 milioni di famiglie italiane, se non di più. Sono le conseguenze di uno storico pronunciamento della Corte Costituzionale (passato un po’ in sordina) che, con una sentenza – la numero 238 – depositata il 24 luglio scorso, ha sancito che la tariffa d’igiene ambientale ( Tia) applicata in molte parti d’Italia per la raccolta dei rifiuti urbani mantiene la natura pubblicistica della vecchia Tarsu. In altre parole: malgrado la trasformazione, resta una tassa e non è una tariffa.
Quella che sembra una sterile disputa giuridica ha però un effetto potenzialmente dirompente: in quanto tassa, su di essa non si può far pagare un’altra tassa come l’Iva, che invece viene chiesta ai cittadini. I quali, a questo punto, hanno diritto alla restituzione dell’Iva al 10% che hanno versato in più fino a ora. È difficile fare conteggi precisi, perché la tassa-tariffa varia da posto a posto. Per dare un’idea, comunque, una famiglia di 4 persone che abita a Roma una casa di 80 metri quadri paga sui 300 euro annui, di cui circa 28 di Iva che, di fatto, sono stati sottratti illegalmente a questo nucleo-tipo. Il problema non si pone per il futuro, in quanto gli operatori che riscuotono la Tia si stanno già attrezzando per far rientrare nel costo globale chiesto al contribuente quel 10% d’Iva che non potranno più esigere in bolletta, come voce specifica. Per il passato, viceversa, la partita è aperta.
Per evitarla servirebbe un provvedimento legislativo che sancisse un aumento retroattivo della Tia, ma è difficile che il governo segua questa via. Bisogna tuttavia fare attenzione a un paio di fattori. In primo luogo, il diritto al rimborso vale solo per gli anni successivi alla trasformazione (non legale appunto, secondo la Consulta) in tariffa, in quanto è da allora che si fa pagare l’Iva. Nella Capitale, a esempio, la tariffa debuttò nel 2003, per cui è solo per gli ultimi 7 anni (2009 incluso) che si può chiedere questo arretrato. Soltanto per circa mezzo milione d’italiani la richiesta può andare ancora più indietro, fino al 1999. Inoltre va da sé che per tentare questa strada è necessaria la prova del pagamento della Tia su cui è stata calcolata la voce Iva.
Bisogna quindi aver conservato la ricevuta delle bollette pagate. Solo se sono state messe da parte, si può pensare di avviare la pratica per riavere il maltolto, presentando all’azienda comunale una richiesta scritta di rimborso dell’Iva versata o rivolgendosi direttamente alla Commissione tributaria provinciale. Una via per ora un po’ farraginosa per il semplice cittadino, che altrimenti può rivolgersi a una associazione dei consumatori.
La più attiva finora in questo campo è il Codacons, che cura l’intera pratica se però ci si iscrive per due anni (un’iscrizione che costa 100 euro, quindi conviene valutare prima il rimborso cui si ha diritto). Altri consigliano invece gli utenti di mettere in mora il Comune (inviando una raccomandata A/R in cui si cita la sentenza), in attesa degli eventi. Bisogna infatti tenere presente che l’iter potrebbe durare qualche anno, a meno che la politica non decida di venire incontro al cittadino.
Prima di Ferragosto, a esempio, a Latina, città del Lazio, il locale assessore al Bilancio, Marco Gatto, è stato netto al riguardo: «Che la popolazione debba ottenere il rimborso del 10% è sicuro». Gatto ha però aggiunto che per questo si attende una circolare del ministero dell’Economia, dato che dovrebbe essere l’Agenzia delle Entrate, in prima battuta, a rimborsare quella quota di Iva alle società che gestiscono i servizi di raccolta e smaltimento rifiuti. La vicenda è ancora agli inizi. E i cittadini devono armarsi di pazienza.
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