L'improvvisa morte a 35 anni di Wolfgang Amadeus Mozart fu dovuta a faringite. Sembra così risolversi uno dei più grandi misteri della musica classica. Alcuni studiosi inglesi e olandesi hanno infatti pubblicato, come le agenzie ci informano, uno studio sugli Annals of Internal Medicine con una nuova teoria sulla morte del giovane compositore viennese: un'infezione faringea da streptococco. Non si tratterebbe dunque né di un suicidio, né di un omicidio, ma di un'infezione virale diffusa da un vicino ospedale militare.
Per trovare conferme a questa ipotesi, i ricercatori hanno esaminato la documentazione relativa ai morti di Vienna nel 1791 come sottolinea Andrei Steptoe, epidemiologo dell'University College di Londra e dello studio: “Abbiamo analizzato per la prima volta le cause di morte più diffuse durante il periodo della malattia di Mozart e questo ci ha dato delle idee sui problemi medici che erano stati diffusi in quel momento. Siamo stati così in grado di creare un collegamento con i fatti che conoscevamo circa la morte del genio austriaco”.
E sempre in tema di studi, un altro lancio di agenzia ci informa che ad ammalarsi di più è il popolo di Facebook. Se il passatempo è virtuale, la malattia è reale. Le ore trascorse a “smanettare” con il videogioco preferito o sul social network possono mettere a dura prova nervi e girovita. Lo dimostra uno studio su 500 patiti di computer tra 19 e 90 anni di età di ambo i sessi.
La prima scoperta interessante della ricerca, che sarà pubblicata ad ottobre sull'American Journal of Preventive, è che i videogiochi non sono hobby da ragazzi: l'età media dei consumatori è di 35 anni. Meno giovani e anche meno sani dei coetanei: i ricercatori statunitensi del Centers for Disease Control and Prevention (CDC), dell'Emory University e dell'Andrews University hanno passato in rassegna lo stato di salute degli appassionati di console e Internet, dalla “bilancia” alla qualità di vita, nevrosi e stati emotivi compresi. Ben il 45% degli intervistati dichiara il suo amore per la Rete e i giochi virtuali. Le donne “videogiocatrici” sono quelle che se la passano peggio tra chili in più, depressione e altri acciacchi.
Ma anche chi trascura il pc non se la passa poi bene. Il disturbo si chiama “sport-dipendenza” ma non interessa quelli che guardano partite di calcio e gare di atletica dal divano di casa. Scienziati americani della Tufts University (Massachusetts, Usa) hanno infatti scoperto che l'esercizio fisico può diventare anche una droga. L'altra faccia dello sport, che fa bene quando è moderato ma non quando diventa una mania, è stata scoperta in laboratorio e lo studio pubblicato sulla rivista Behavioral Neuroscience. L'iperattività motoria ha avuto sui topi gli stessi effetti dei farmaci che curano la tossicodipendenza.
Un tipo di relazione già osservata in una nuova malattia, la cosiddetta anoressia atletica, che associa il disturbo alimentare di chi vuole dimagrire a tutti i costi a un bisogno continuo di allenarsi per perdere ancora più peso. “L'attività fisica, come l'abuso di droghe, porta all'attivazione di neurotrasmettitori come le endorfine e la dopamina, che sono coinvolti nel senso di ricompensa”, spiega uno degli autori dello studio, Robin Kanarek. Per i pigri, invece, nessuna giustificazione o alibi. “Lo sport, come qualsiasi altra attività, va fatta con moderazione”, avvertono gli scienziati. In quel caso non c'è pericolo di diventarne drogati.
Chiudo con questa di ieri. Che le donne siano portate di più al pianto degli uomini è luogo comune, ma adesso c’è chi ha quantificato la cosa. Un anno e mezzo lo passano a piangere, mese più mese meno. La conferma che le donne hanno la lacrima facile arriva da un sondaggio “estivo” lanciato da un sito web britannico. “Quante ore piangete ogni settimana?”, hanno chiesto gli autori del blog. Hanno risposto 3.000 signore inglesi di tutte l'età. Un paio di calcoli e la statistica è pronta: una donna trascorre in media 2 ore e 13 minuti a settimana in pianti inconsolabili. In tutto, fanno 16 mesi di vita passati tra kleenex e cedimenti di rimmel. La conferma della scienza non c'è, ma l'esperienza diretta delle intervistate non lascia dubbi in proposito. A far piangere le donne ci pensano soprattutto la fine di una storia d'amore, al secondo posto ci sono i film romantici “strappa-lacrime”, al terzo la perdita di una persona cara.
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