Prova di accecata sentenziosità.
Rassegna stampa - Avvenire, Francesco D'Agostino, 4 novembre 2009.
La sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che condanna l’Italia per l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, non si basa di certo su argomentazioni nuove o approfondite, ma si limita a ribadire il principio laicista, che vede in qualunque simbolo religioso cui venga dato rilievo in un’istituzione pubblica un attentato alla libertà religiosa e per quel che concerne le scuole alla libertà di educazione. La sentenza richiama sommariamente, ma con una certa precisione, le argomentazioni in base alle quali la magistratura italiana, dopo qualche tentennamento, era giunta a concludere che nella tradizione del nostro Paese il crocifisso non è un simbolo esclusivamente religioso, ma culturale e civile: in esso si condensa gran parte della storia italiana, in esso si riassume una sensibilità diffusa e presente non solo nei credenti, ma anche nei non credenti. In quanto icona dell’amore, della donazione gratuita di sé e della violenza estrema cui può soccombere l’innocente, quando le forze del male lo aggrediscono, il crocifisso è un simbolo universale, non confessionale. Gli spiriti veramente grandi l’hanno sempre compreso: se non tutti credono in Gesù come Cristo, nell’umanità sofferente dell’uomo Gesù, appeso alla croce e che accetta il supplizio, dobbiamo se non credere, almeno avere tutti un profondo rispetto, se non vogliamo ridurre la convivenza tra gli uomini a un mero gioco di forze anonime e crudeli.
Tutto questo, evidentemente, non è stato percepito dalla signora Soile Lautsi, la madre che pur di fare eliminare il crocifisso dalle aule, ha iniziato (nel 2002) una lunga, complessa (e, presumo, anche costosa) procedura giudiziaria, né è stato percepito dai giudici che alla fine hanno accolto le sue ragioni. La vicenda giudiziaria potrà riservarci ancora sorprese. Quello che non ci sorprende più, purtroppo, è l’accecamento ideologico che sorregge questa vicenda, la completa indifferenza per le ragioni della storia e della cultura, l’illusoria pretesa che la mera presenza di un crocifisso possa fare violenza alla sensibilità degli scolari e giunga ad impedire ai genitori di esercitare nei loro confronti quella specifica missione educativa, che è loro dovere e loro diritto. E non ci sorprende più, purtroppo, il fatto che i giudici della Corte europea non percepiscano di agire con queste loro sentenze contro l’Europa, contro il suo spirito, contro le sue radici, rendendo così l’Europa stessa sempre meno 'amabile' da parte di molti che, pure, ritengono l’europeismo un valore particolarmente alto. Ancora: è sfuggito alla ricorrente e – cosa ancor più grave – è sfuggito ai giudici che hanno redatto la sentenza che la laicità non si garantisce moltiplicando gli interdetti o marginalizzando le esigenze di visibilità della religioni, ma impegnandosi per garantire la loro compatibilità nelle complesse società multietniche tipiche del tempo in cui viviamo. La laicità non prospera nella freddezza delle istituzioni, nella neutralizzazione degli spazi pubblici, nell’abolizione di ogni riferimento, diretto o indiretto, a Dio. Quando è così che la laicità viene pensata, propagandata e promossa si ottiene come effetto non una promozione di quello specifico bene umano che è la convivenza, ma una sua atrofizzazione. La sensibilità religiosa, ci ha spiegato Habermas ( un grande spirito laico) non è un residuo di epoche arcaiche, che la sensibilità moderna sarebbe chiamata a superare e a dissolvere, ma appartiene piuttosto e pienamente alla modernità, come una delle sue forze costitutive: tra sensibilità religiosa e sensibilità laica non deve mai istaurarsi una conflittualità, ma una dinamica di 'apprendimento complementare', alla quale non può che ripugnare ogni logica di esclusione. Quanto tempo ancora ci vorrà perché simili verità vengano finalmente percepite dai tanti ottusi laicisti, che pensano ancora che sia dovere fondamentale degli educatori quello di indurre le giovani generazioni a vivere «come se Dio non ci fosse»?
Natalia Ginzburg: «Il Crocifisso fa parte della storia del mondo».
Il crocifisso è il segno del dolore umano.
La corona di spine, i chiodi, evocano le sue sofferenze. La croce che pensiamo alta in cima al monte, è il segno della solitudine nella morte. Non conosco altri segni che diano con tanta forza il senso del nostro umano destino.
Il crocifisso fa parte della storia del mondo.
Per i cattolici, Gesù Cristo è il figlio di Dio.
Per i non cattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed è morto sulla croce per amore di Dio e del prossimo.
Natalia Ginzburg, L’ Unità, 22 marzo 1988.
La Corte di Strasburgo: «Limita la libertà dei genitori».
Dopo la sentenza europea è "scontro di laicità" per il crocifisso a scuola.
Rassegna stampa - Liberazione, Gemma Contin, 4 novembre 2009.
E meno male che siamo uno Stato laico, aconfessionale, non integralista, non fondamentalista, e via raccontandoci balle di questo genere.
Se invece fossimo poco poco fondamentalisti, chissà cosa accadrebbe - oltre alla solita lite furibonda sui mezzi di informazione e di disinformazione di massa - a fronte della decisione della Corte europea dei diritti di Strasburgo di dare ragione a quella signora che ha chiesto un risarcimento allo Stato italiano perché i suoi figli, regolari studenti di una scuola pubblica, erano rimasti turbati da quell'uomo appeso nudo al muro con le mani e i piedi inchiodati a una croce: insomma il Crocifisso.
Ragazzi non educati alla religione cattolica apostolica romana, provenienti da una famiglia non praticante (la madre addirittura nordica, anche se naturalizzata italiana, dunque protestante per definizione) e non interessata al "verbo" di una fede di parte, ancorché regolata dal Concordato mussoliniano (i Patti Lateranensi tra l'allora Regno d'Italia e lo Stato Vaticano sono del 1929) riveduto e corretto in chiave craxiana nel 1984.
La guerra delle parole ferve, le ondate di indignazione si innalzano. E si scatenano i soliti pensatore di qua e di là del Tevere, quelli che stanno con la Chiesa, a prescindere, e quelli che stanno, o dovrebbero stare, con lo Stato. Laico, appunto, che deve garantire tutti i cittadini, dunque anche i non cattolici, anche quelli di fede ebraica che il loro Gesù ancora lo aspettano, e quelli di sentimenti ispirati al Corano, che invece hanno Maometto come massimo profeta. E tutti gli altri: buddisti, taoisti, induisti, animisti, agnostici, atei, hara krishna, bianchi, rossi, verdi, arancione.
Invece no: tutti sotto il segno del Crocifisso, del sangue sgorgante dal costato aperto, dalle ferite inferte per piantare quei chiodi, dalle spine conficcate in testa: un vero film dell'orrore.
Sicuro che i ragazzini ne sono rimasti sconvolti. Sicuro che quella madre ha chiesto l'intervento di Strasburgo. E sicuro che la Corte europea dei diritti dell'uomo le ha dato ragione; perché l'Europa avrà una qualche quota di radici cristiane, senza dubbio, ma ha anche ascendenze e sofferenze religiose acutissime: ugonotte, luterane, calviniste; e poi, giù giù fino alla Bosnia e alla Turchia e a Cipro, anche musulmane e greco-ortodosse; e lo stesso su su lungo il Danubio, fino al Baltico, fino alla grande madre Russia, prima di mettersi a riattraversare le terre mitteleuropee e i contrafforti euroasiatici.
Poteva Strasburgo dare ragione allo Stato Vaticano? Non poteva. Possiamo noi per questo uscire dalla comunità di uomini e donne che si chiama Europa o anche solo Unione europea? Non possiamo. Dunque, prima di marciare per crociate e intraprendere guerre sante, è meglio che ce ne facciamo una ragione.
A rivolgersi alla Corte è stata la signora Soile Lautsi, residente ad Abano Terme, profondo Veneto bianco e leghista. Quando i suoi due figli di 11 e 13 anni, nell'anno scolastico 2001-2002, hanno cominciato a frequentare la Scuola media "Vittorino da Feltre", nel comprensorio scolastico che annovera anche la Scuola elementare "Don Bosco", hanno notato i crocifissi appesi al muro.
Secondo la madre la presenza di quel simbolo della religione cattolica era contro la laicità dello Stato, pertanto aveva chiesto che fosse rimosso dalle aule. Richiesta ovviamente rifiutata dagli organismi dirigenti della scuola, per cui la signora aveva avviato una serie di ricorsi fino al Consiglio di Stato che nel 2006 aveva definitivamente respinto il suo appello sostenendo che «il Crocifisso è diventato uno dei "simboli laici" della Costituzione italiana e rappresenta i "valori fondanti" della convivenza civile».
Ieri la Corte europea ha detto che non è così, stabilendo che la presenza dei crocifissi nelle aule scolastiche rappresenta «una violazione del diritto dei genitori a educare i figli secondo le loro convinzioni e del diritto degli alunni alla libertà di religione».
La ministra Mariastella Gelmini, contro la sentenza europea, afferma che bisogna difendere il crocifisso a spada tratta non perché rappresenti un simbolo cattolico ma «perché ormai fa parte della nostra tadizione».
Ed ecco arrivare anche l'ecumenico Pierluigi Bersani, che deve ricostruirsi in fretta e furia una sua liaison con quel superpotere che in Italia si chiama Chiesa cattolica, senza la quale non si va, politicamente parlando, da nessuna parte. Secondo il neosegretario del Partito democratico: «Antiche tradizioni come quella del crocifisso non possono essere offensive per nessuno».
Per il presidente del Senato Renato Schifani: «L'esposizione di un simbolo radicato nella coscienza di tanti italiani altro non è se non il riconoscimento di una identità culturale che nessun tratto di penna potrà mai cancellare».
Invece il presidente del Centro culturale islamico di Viale Jenner Shaari ha detto: «L'Italia è uno stato laico e non confessionale. La religione lasciamola nelle chiese, nelle sinagoghe e nelle moschee».
Prof sospesi e giudici condannati perché chiedevano la rimozione della croce. Da Adel Smith a Soile. La lunga lotta in tribunale.
Rassegna stampa - Liberazione, Laura Eduati, 4 novembre 2009.
In principio fu Adel Smith, irruento presidente dell'Unione musulmani d'Italia che ingaggiò nel 2003 una battaglia contro lo Stato italiano per togliere il crocifisso dalla scuola elementare e media di Ofena (L'Aquila) frequentata dai suoi figli.
Poiché le maestre resistevano, cominciò coll'appendere un versetto coranico, rimosso prontamente dal preside. Sorprendentemente, il tribunale dell'Aquila gli diede ragione. E per ragioni prettamente giuridiche: l'esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, scrivevano i giudici nell'ottobre dello stesso anno, risale a regolamenti contenuti in regi decreti del periodo fascista (1924 e 1928) quando la religione cattolica era ancora considerata l'unica religione di Stato, oggi in contrasto con l'art. 3 della Costituzione che preserva dalle discriminazioni anche religiose. Il simbolo religioso, però, non venne tolto dalla vista dei bambini di Ofena perché il ministero fece ricorso e l'ordinanza sospesa.
In realtà Adel Smith, che in seguito rimediò una denuncia per aver scagliato il crocifisso fuori della stanza d'ospedale dove era ricoverata la madre e poi una condanna per avere definito la Chiesa «associazione a delinquere», era riuscito a scatenare un acceso dibattito sulla laicità dei luoghi pubblici nell'Italia ormai ospite di centinaia di migliaia di migranti di varie fedi. Smith non era il primo a ribellarsi, ma scandalizzava enormemente il fatto che fosse un musulmano.
Scavando negli archivi, già nel 1995 un insegnante in pensione di Cuneo, tale Marcello Montagnana, venne processato perché si era rifiutato di assumere l'incarico di scrutatore al seggio elettorale in quanto contrario alla presenza del crocifisso. Ritentarono la sorte gli aderenti all'Unione atei agnostici razionalisti che invano chiesero alla magistratura la rimozione della croce nei seggi elettorali: nel 2002 il Tar del Lazio respinse il ricorso spiegando che nessuna legge vigente vieta l'esposizione di oggetti sacri negli uffici pubblici, e nessuna legge impone di toglierli.
E qualcuno, nel frattempo, agiva senza ricorrere alla magistratura come quella professoressa di una scuola media ligure che aveva tolto il crocifisso dalla parete per rispetto dell'unico alunno di fede musulmana. Senza successo: fu costretta a rimetterlo dopo le forti proteste dei genitori degli altri studenti. Ma nemmeno senza conseguenze gravi sul piano disciplinare come quelle che sono piovute addosso a Franco Coppoli, sospeso per un mese lo scorso febbraio perché aveva deciso di riporre la croce nel cassetto della cattedra durante le sue lezioni all'Istituto professionale per il commercio "Casagrande" di Terni. Lo fece per ristabilire un principio di laicità, eppure erano stati gli stessi studenti a richiedere il crocifisso in classe.
Passando alle aule di giustizia, spicca la vicenda del giudice Luigi Tosti che nel 2007 si era rifiutato di lavorare in un aula col Cristo in croce nel Tribunale di Camerino. Condannato a sette mesi di reclusione per interruzione di pubblico servizio e omissione di atti d'ufficio, Tosti ha vinto la sua battaglia grazie alla Cassazione che lo scorso febbraio annullò la condanna perché «il fatto non sussiste»: era stato sostituito e dunque non vi era stata alcuna interruzione nei lavori del tribunale.
Mentre insegnanti, giudici e genitori sbattevano contro il vetro della giustizia italiana, Soile Lautsi e il marito Massimo Albertin non si perdevano d'animo. Lei, italiana di origini finlandesi, voleva eliminare il crocifisso dalla scuola media di Abano Terme (Pd), la scuola dei suoi figli. La prima battuta d'arresto era arrivata da parte del Tar del Veneto, che nel 2005 spiegava come la croce non fosse in contrasto con il principio della laicità in quanto «espressione di un sistema di valori» condivisibili. Quali fossero i valori espressi dal crocifisso lo scrisse il Consiglio di Stato nel 2006, al quale i coniugi padovani avevano fatto appello: «rispetto» e «solidarietà». Secondo i massimi giudici amministrativi, la norma che dal 1924 impone l'esposizione della croce in classe non ha impedito allo Stato italiano di adottare norme e leggi contrarie agli interessi dei cattolici - come aborto e divorzio - a dimostrazione che l'Italia rimane un paese laico. La Corte costituzionale, chiamata in causa, decise di non entrare nel merito della spinosa questione in quanto il regolamento sul crocifisso è una «norma priva di legge» sulla quale la Consulta non può ravvisare problemi di costituzionalità. Ci ha pensato la Corte di Strasburgo, dando ragione alla coppia.
Mi è capitata tra le mani questa notizia. La propongo ai nostri lettori. E' una lettera inviata ai giudici europei di ogni ordine e grado da Aristide Gabelli, educatore dell’800, positivista, anticlericale, provveditore agli studi, patriota risorgimentale. « Gentili Signori, la colossale rivoluzione di Cristo è senza esempi nella storia. O è Dio, e merita devozione in quanto tale. O è uomo, e si sente egualmente la voglia di cadere in ginocchio davanti al suo genio… » ( sintesi dai Pensieri).
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