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mercoledì 19 agosto 2009

La Ercole Marelli come l'Innse

Dal 24 luglio in lotta, caso gemello dell'Innse.
Ercole Marelli, presidio permanente mentre si attende il compratore.
Rassegna stampa - Fabrizio Salvatori, Liberazione di ieri.

Contrariamente a quanto ha annunciato l'attuale amministratore delegato Ermes Giuffrè, non sarà oggi il giorno in cui si presenterà il "mitico" compratore della Ercole Marelli, azienda che nei tempi d'oro dava lavoro a più di settemila tute blu. Tuttavia, i ventuno dipendenti, continueranno a tenere in piedi «a oltranza» l'assemblea permanente che ormai va avanti dal 24 luglio. Salvare l'impianto dalla bancarotta per debiti ormai è diventata una sfida che ognuno di loro vive come una sfida personale, oltre che sindacale. I grossi macchinari per produrre generatori per centrali idroelettriche sono fermi ma il lavoro, almeno per il momento, non mancherebbe. Le commesse sono per grandi aziende del settore energetico, come Edison, Enel e General Electric. A fare la differenza fino ad oggi è stata una cattiva gestione delll'azienda. Gestione che, secondo alcune stime, potrebbe aver prodotto un buco non inferiore ai dieci milioni di euro. «Finora ci hanno accreditato tutti gli stipendi, senza però versare i contributi pensionistici», spiega Fabio Palumbo, che ha lavorato alla Innse di Milano fino al 2002, prima di approdare alla Ercole Marelli. Sugli stipendi di agosto, tuttavia c'è un grosso punto interrogativo. La loro è una protesta corale e trasversale, che coinvolge operai generici e specializzati, ingegneri e personale amministrativo. Tutti nel capannone, dove dormono a turno per impedire lo sfratto e dove hanno appena trascorso il Ferragosto con una grande grigliata alla quale hanno partecipato amici e parenti. «La proprietà per anni ha accumulato debiti», continua Palumbo. «Con lo Stato italiano, con i fornitori, con le banche e con la Alstom», la multinazionale francese del settore energia che affitta il capannone alla Ercole Marelli e che l'11 giugno ha fatto notificare lo sfratto. «Il lavoro ci sarebbe - spiega Luca Calciolari, da otto anni dipendente della Ercole Marelli - quello che manca è una dirigenza seria. Per questo abbiamo deciso di occupare, e di andare avanti a oltranza fino a quando non arriverà un nuovo compratore». A Sesto San Giovanni le fabbriche che solo trent'anni fa davano lavoro a migliaia di persone hanno chiuso i battenti. Attorno ai capannoni sono spuntati palazzi, uffici e sedi amministrative di grandi aziende, in quello che era uno dei più grandi poli industriali del Nord Italia. Le vie portano ancora i nomi delle storiche aziende che hanno esportato la tecnologia made in Italy in tutto il mondo. Falck, Breda e, appunto, Ercole Marelli. «Speriamo in bene, la storia dell'Innse ci ha dato un filo di speranza. E, se andrà male, anche noi abbiamo i nostri carri ponte», conclude Calciolari.
Secondo Franco Arrigoni, segretario generale, la Ercoli Marelli è una azienda «fortemente danneggiata da una gestione dissennata». «Ha comunque il diritto a continuare a vivere - aggiunge - perché esegue produzioni pregiate e con un mercato sicuro. I lavoratori e il sindacato vogliono che la Ercoli Marelli stia in piedi».
Alla fine degli anni '50 il gruppo contava 7 mila dipendenti, produceva ventilatori e motori elettrici per navi, aerei, centrali elettriche. Negli anni ' 80 la crisi, irreversibile, con la chiusura dei vari rami d' azienda. «Gli operai hanno rinunciato alle vacanze - spiega Marco Giglio, sindacalista della Fim Cisl - pur di restare in fabbrica a difesa del posto. Questa azienda ha futuro, chiuderla sarebbe una beffa, oltre che un danno per l' economia».
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