La falsa notizia che abbatté il muro.
Il 9 novembre del 1989 migliaia di berlinesi si ammassarono ai varchi di frontiera e si diedero da soli il diritto di attraversare la barriera di cemento [come si vede in uno dei filmati proposti in un altro post, quello relativo alla Bornholmer Strasse]. I tg occidentali avevano dato l'annuncio che il muro era aperto, ma la notizia ancora non era vera.
Rassegna stampa - il manifesto, Guido Ambrosino, 8 novembre 2009.
La «caduta» del muro di Berlino, 20 anni fa, non era stata né prevista né voluta dalla direzione della Sed, il partito di unità socialista. Per lo storico Hanns Hermann Hertle (Chronik des Mauerfalls, Ch. Links Verlag) si trattò di una «conseguenza non intenzionale dell'agire sociale», in cui i media ebbero un ruolo decisivo.
Günter Schabowski, portavoce della Sed, prese fischi per fiaschi, annunciando come già operativa una liberalizzazione del regime di concessione dei permessi di viaggio, che invece avrebbe dovuto essere applicata solo il giorno dopo. I telegiornali delle reti occidentali, visti anche da molti berlinesi dell'est, annunciarono - sbagliando - che il muro era «aperto», e tanto bastò per indurre miglia di persone a uscire in strada e a dirigersi verso i varchi. Dove però nulla era cambiato, perché nessun nuovo ordine era stato trasmesso agli agenti.
Al varco della Bornholmer Strasse alle 23.30 si erano raccolte 20.000 persone che gridavano «aprite, aprite». Il comandante di quel posto di frontiera nel quartiere di Prenzlauer Berg, il tenente colonnello della Stasi Gerhard Jäger, esasperato per la mancanza di disposizioni e non sapendo più che altro fare, decise di propria iniziativa di aprire la barriera. Poco dopo mezzanotte anche negli altri 6 varchi della città divisa si andava liberamente avanti e indietro.
I berlinesi il permesso di passare se lo diedero da soli il 9 novembre 1989, senza timbri e formulari. E sebbene la barriera di cemento fosse rimasta fisicamente intatta, il muro, come simbolo del principio d'autorità realsocialista, cadde così davvero.
«La Rdt apre il confine». Il titolo della Tagesschau, il telegiornale della prima rete occidentale Ard, si avverò 4 ore più tardi grazie alle reazioni a catena scatenate dalla sua diffusione. Secondo Hans-Hermann Hertle, «la caduta del muro è il primo evento della storia che si verificò in seguito a un'anticipazione dell'annuncio alla radio e alla televisione». «La realtà - prosegue l'autore della più completa ricostruzione di quella vicenda - superò perfino la finzione dei media. I cittadini della Rdt non avevano più paura del muro. Smisero di rispettare il confine del 'loro' stato e imposero il passaggio incontrollato».
Ultimatum cecoslovacco
L'Ungheria e la Cecoslovacchia avevano già aperto le loro frontiere verso l'Austria e verso la Repubblica federale tedesca ai cittadini della Repubblica democratica che chiedevano di uscire, con la sola carta d'indentità e senza passaporto. Nel fine settimana dal 3 al 5 novembre 23.200 tedeschi dell'est lasciarono la Cecoslovacchia diretti in Baviera. L'8 novembre a Praga l'ambasciatore della Rdt fu convocato al ministero degli esteri. Gli fu posto un ultimatum: se Berlino non avesse messo fine a quel drammatico pellegrinaggio, consentendo gli espatri dal proprio territorio, la Cecoslovacchia avrebbe chiuso la sua frontiera.
Egon Krenz, che aveva preso il posto di Honecker il 18 ottobre alla guida della Sed, si rendeva conto che, per porre fine allo «scandalo» della fuga di massa attraverso i paesi vicini, bisognava promettere il passaporto a chi voleva lasciare il paese. L'ambasciatore russo, consultato, aveva trasmesso l'assenso di Mosca. Solo un cittadino su quattro, i «quadri» più affidabili, aveva allora un passaporto: per concederlo a chi ne avesse fatto richiesta ci sarebbero volute 4 - 6 settimane. Ciò avrebbe consentito di diluire nel tempo l'esodo e canalizzarlo.
Viaggi privati
Il compito di disinnescare il «problema cecoslovacco» fu affidato a quattro funzionari del ministero degli interni e del ministero per la sicurezza dello stato, che si riunirono la mattina del 9 novembre. Gerhard Lauter, che coordinava quella commissione, aveva sul tavolo una bozza titolata «Proposta di regolamento per modificare la situazione dell'espatrio permanente di cittadini della Rdt diretti nella Rft attraverso la Cecoslovacchia». Sebbene il mandato fosse solo quello di togliersi dai piedi gli aspiranti all'emigrazione, Lauter, dirigente del servizio passaporti, pensava che fosse assurdo consentir loro di andarsene mentre si continuava a negare ai berlinesi dell'est di andare a prendere un caffè in un locale dell'ovest. Propose perciò di aggiungere un capoverso sui viaggi privati: «Si potrà fare richiesta di viaggi privati all'estero senza che ricorrano le condizioni finora previste...». Gli altri funzionari furono d'accordo, anche se non erano affatto sicuri che questa innovazione sarebbe stata accettata dal vertice politico.
Il comitato centrale della Sed era riunito per una lunga sessione cominciata l'8 novembre e conclusa il 10. Il primo giorno era stato nominato un nuovo ufficio politico. Si discuteva se convocare una conferenza straordinaria del partito, incombevano riforme radicali. Nella pausa del pranzo si riunì il Politbüro, che approvò senza grandi discussioni il foglio dattiloscritto redatto da Lauter e compagni, recapitato da un messo. Egon Krenz lo lesse poi al comitato centrale, presentandolo come soluzione al «problema cecoslovacco» e senza nemmeno commentare l'estensione della liberalizzazione ai «viaggi privati». Ci fu una sola proposta di modifica, accettata: meglio parlare di «regolamento» e non di «regolamento provvisorio», per non dare l'impressione che, passata la nottata, si potesse tornare alla normativa precedente. Il consiglio dei ministri approvò la bozza.
Embargo per la stampa
Il nuovo regolamento sarebbe entrato in vigore il giorno seguente. Il comunicato stampa già predisposto aveva un embargo fino alle ore 4 del 10 novembre. Quella mattina ne avrebbero parlato radio e televisione, mentre il testo sarebbe apparso sui giornali. Durante la notte le disposizioni applicative sarebbero state mandate alla guardia di frontiera, alla polizia politica (la Stasi) e, alla polizia «normale», la Volkspolizei. Nei commissariati della Volkpolizei i cittadini muniti di passaporto avrebbero potuto mettersi in fila nel corso della giornata per chiedere permessi di espatrio o visti per uno o più viaggi (per un massimo di 30 giorni di permanenza complessiva all'estero, nell'arco di sei mesi). Di regola i permessi sarebbero stati concessi «in tempi brevi», non meglio definiti e quindi suscettibili all'occorrenza di qualsivoglia dilatazione burocratica. Come tutti i «permessi», avrebbero anche potuto essere negati (per motivi relativi alla «sicurezza nazionale», per appartenenti a corpi militari, per persone sottoposte a inchieste o procedimenti penali), senza bisogno di spiegare i motivi e senza possibilità di ricorso. Si poteva insomma sperare di mantenere il controllo sui flussi, e quindi di salvare l'«autorità» del regime, ora più benevolo, ma ugualmente convinto che occorra vigilare sui cittadini.
Regole e eccezioni
Insormontabile il muro non lo era più da tempo. Nel 1988 si erano contati sei milioni di viaggi nella Repubblica federale tedesca e di passaggi a Berlino ovest. I pensionati potevano espatriare a loro piacimento (ammesso che avessero valuta: le banche della Rdt cambiavano solo 15 marchi l'anno e a testa al tasso uno a uno). E si ottenevano abbastanza facilmente permessi per visitare parenti in particolari occasioni (matrimoni, nascite, funerali, compleanni «tondi). Il nuovo regolamento semplificava le procedure abolendo l'obbligo di far esaminare tutte le pratiche dalla Stasi. E sollevava dall'incombenza di aspettare che la nonna dell'ovest compisse i 70 o gli 80 anni. Il governo pensava che i viaggi sarebbero raddoppiati, a 12-13 milioni (su 16 milioni di abitanti). Un grosso salto, ma senza quel pieno riconoscimento del diritto alla libera circolazione ormai rivendicato a gran voce da centinaia di migliaia di dimostranti, che avevano preso l'abitudine di sfilare per le città della Rdt al grido di «noi siamo il popolo». Un modo per ricordare al governo «popolare» quanto fosse privo di legittimazione, senza il consenso del sovrano.
Gli equivoci di Schabowski
Günter Schabowski, membro del Politbüro e da due giorni incaricato di tenere i rapporti con i media, nuova funzione all'insegna della glasnost, era a parlare con dei giornalisti quando i suoi colleghi avevano discusso i regolamenti alla frontiera. Tra le 17 e le 17.30 passò di nuovo al comitato centrale per raccogliere le ultime informazioni. Egon Krenz gli diede il foglio col decreto sui viaggi, dicendogli che si trattava della «notizia mondiale», e dimenticandosi di avvertirlo che, nel comunicato stampa allegato, era previsto di darne notizia solo alle ore 4 del 10 novembre. Alle 18 Schabowski, che in auto aveva potuto solo leggere in fretta quel foglio, si presentò alla conferenza al centro stampa internazionale. La televisione della Rdt, anche questa una novità, trasmetteva in diretta. Il portavoce si soffermò a lungo sulla decisione di convocare una conferenza del partito, sull'impegno a consentire libere elezioni. Aspettò una domanda del corrispondente dell'Ansa, Riccardo Herman, per tirar fuori la «notizia mondiale», alle 18.52. «Abbiamo deciso oggi di adottare un regolamento che consente a ogni cittadino della Rdt di andare all'estero dai varchi di frontiera della Rdt». Un altro giornalista chiede a partire da quando. «Per quanto ne so da subito». Fruga tra le sue carte, cerca il testo, conferma: «Sì, da subito». Non era vero, ma divenne vero.
Cronologia.
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