30 ottobre 2009
La denuncia dei familiari del detenuto morto al repartino del Pertini.
«Chi ha ridotto così nostro figlio Stefano?».
Rassegna stampa - Liberazione, Checchino Antonini, 30 ottobre 2009.
«Ciao papà». L'ultimo abbraccio di Stefano suo padre se lo ricorderà per sempre. In tribunale, a piazzale Clodio. Il ragazzo in manette e quattro carabinieri intorno. Impossibile dirsi altro che un ciao. Però Stefano aveva già la faccia gonfia ma ancora si reggeva in piedi. Tanto che quando è stata pronunciata l'ultima parola sulla sua permanenza in carcere ha dato un calcio stizzito alla seggiola. Succedeva due settimane fa, sarebbe morto dopo cinque giorni al repartino del Pertini, il padiglione penitenziario. In galera per una ventina di grammi d'erba. Ma se perfino i carabinieri, la notte prima, avevano rassicurato sua madre che era poca roba e che magari tornava subito per i domiciliari! Anche quella notte camminava sulle sue gambe e il viso era pulito, senza i segni delle botte.
Il proibizionismo è il primo ingrediente della pozione mortale che ha ammazzato Stefano Cucchi, magrissimo trentunenne che faceva il geometra nello studio di famiglia, che soffriva d'epilessia e a cui hanno sequestrato, assieme alle sostanze, le pasticche salvavita di Rivotril.
Ieri i familiari e l'avvocato Fabio Anselmo, lo stesso del caso Aldrovandi, hanno preso parte a una conferenza stampa, promossa da Luigi Manconi, e affollata di parlamentari e cronisti a Palazzo Madama. Nel dossier consegnato ai giornalisti le foto choc scattate dopo l'autopsia perché alla famiglia è stato negato dal pm di riprendere il corpo durante il primo esame. L'ennesima porta in faccia dopo giorni passati in attesa di un permesso per visitare quel figlio sparito nell'ospedale-bunker. E senza mai poter parlare coi medici. Il direttore sanitario del Pertini trasecola. Spiega che non è mai accaduto che i familiari di un detenuto restassero così tanto tempo senza notizie. «Non c'è bisogno di alcuna autorizzazione». Da mezzogiorno alle 14 i parenti possono parlare con i dottori. A meno che gli agenti di custodia non abbiano fatto muro. I familiari confermano di aver chiesto ripetutamente di parlare con i medici. La polizia penitenziaria si lamenta dell'immagine negativa che gli deriverebbe da questo caso ma non fa nulla per scalfirla. Il dirigente di un sindacato, il sindacato Sappe, si limita a dire che la collega che ebbe a che fare con i Cucchi avrebbe detto loro che il repartino funzionava come un carcere. Ma perché negare un colloquio con i medici? Il dossier è preciso: la domenica, alla richiesta di sapere come stesse Cucchi, il piantone rinvia i genitori al giorno dopo. A mezzogiorno del lunedì stessa scena. Dopo una vana attesa viene negato l'incontro con i medici perché senza permesso del pm. Così pure ventiquattr'ore dopo. Il permesso per la visita a Stefano arriverà solo il mercoledì, sarà valido per il giorno successivo. Ma Stefano muore all'alba.
Da parte loro, i sanitari si dicono stupiti dal sopraggiungere della morte ma insistono sull'immagine di un detenuto che rifiutava le cure e che dicono di «non avere avuto modo di vederlo in viso in quanto si teneva costantemente il lenzuolo sulla faccia». Perché Stefano era invisibile?
L'opacità di certe istituzioni totali è un altro ingrediente del veleno che ha ucciso Stefano. Ma il più potente degli elementi del mix potrebbero essere state le botte, che gli hanno devastato la faccia, fatto uscire un occhio dall'orbita, fratturato una mascella, spezzato la schiena in due punti, ferito le gambe. Aveva sangue nella vescica e in un polmone. I genitori e la sorella Ilaria fanno una catena di telefonate ai parenti: «Non guardate i tg, ci sono le foto di Stefano morto». Anche la sorella Ilaria si rifiuta di prendere il dossier ma crede che quelle immagini servano a contrastare l'invisibilità a cui è stato condannato un ragazzo che pesava 43 chili prima di entrare in una caserma dei carabinieri della periferia est di Roma e 37 quando è morto cinque giorni dopo. «Non è un'inchiesta difficile - spiega Patrizio Gonnella di Antigone - ma la velocità sarà decisiva. Troppe volte le lungaggini hanno bruciato la giustizia. Facciamola subito quest'inchiesta e facciamola trasparente. E le forze dell'ordine non siano ostaggio dello spirito di corpo, per una volta». Da quel quadrante di Roma, intanto, giungono segnalazioni sui metodi "spregiudicati" delle squadre antidroga negli interrogatori e nelle perquisizioni. Si tratta di racconti piuttosto circostanziati che segnalano, in particolare, la pratica sistematica di far firmare verbali aggiustati.
Uno stuolo di parlamentari bipartisan fà passerella per annunciare missioni ispettive ma finora non l'ha fatte nessuno. Lucidamente Bonino e Perina dichiarano che è in gioco la credibilità delle istituzioni. Qualcuno tira in ballo il ministro della difesa La Russa. E' lui che potrebbe riferire sull'operato dei carabinieri, due in divisa e tre in borghese, che arrestarono Stefano e fermarono un suo amico in un parco di Cinecittà. Perché da Regina Coeli sono piuttosto netti: quel ragazzo era già malconcio quando è arrivato e fu spedito immediatamente al pronto soccorso. Ma al Fatebenefratelli, ed è un altro mistero, Stefano firmò verso mezzanotte del venerdì per tornare in cella anziché farsi i 25 giorni di ricovro che gli erano stati prescritti. L'avvocato Anselmo chiede di acquisire al più presto le foto ufficiali dell'autopsia e prevede tempi lunghi per gli esami che dovranno stabilire le cause della morte. Il pm non entra nei particolari ma gli preme far sapere che accertamenti sono scattati fin dal primo momento. E che avrebbe iniziato a indagare sulle modalità del fermo.
Parla Luigi Manconi.
«Un ragazzo, un corpo straziato e due zone d'ombra...»
Rassegna stampa - Liberazione, Paolo Persichetti, 30 ottobre 2009.
Non sapeva, Stefano Cucchi, che la sera del 16 ottobre ad attenderlo c'era un appuntamento fatale col destino. Non sapeva, Stefano Cucchi, che sulla sua strada avrebbe incontrato lo Stato, nella veste della squadretta di carabinieri che lo hanno arrestato. Non sapeva, Stefano Cucchi, che incontri del genere possono finire male, molto male, eppure sta scritto da qualche parte che non dovrebbe essere così. Negli ultimi anni si sono moltiplicati casi del genere, come quelli di Federico Aldovrandi e Aldo Bianzino, solo per citarne alcuni tra i più noti. «Quel giovane - spiega Luigi Manconi, ex sottosegretario alla Giustizia e presidente dell'associazione A buon diritto - ha attraversato ben quattro segmenti dell'apparato statale. Una stazione dei carabinieri, il tribunale, il carcere e il reparto clinico del penitenziario di Rebibbia, situato all'interno dell'ospedale Pertini di Roma. È entrato sano e integro, ne è uscito morto, col corpo straziato. All'ingresso pesava 43 kg, dopo otto giorni sul tavolo dell'obitorio era ridotto a soli 37».
I familiari di Stefano Cucchi hanno autorizzato la pubblicazione delle foto. Si vedono immagini strazianti di un corpo devastato.
Dopo averle viste, ho proposto io stesso la pubblicazione delle foto. I familiari hanno accettato dopo una lunga e sofferta discussione tra loro. Quelle immagini hanno un inequivocabile tragico accento di verità. Ci dicono che quel corpo ha subito uno strazio. Ma c'è anche un'altra circostanza inequivocabile. Dopo il fermo, all'1.30 del mattino di venerdì 16, Stefano è condotto a casa dei genitori per la perquisizione. In quel momento è ancora in condizioni integre. L'indomani, durante l'udienza per direttissima nell'aula di piazzale Clodio, ha il volto tumefatto, tanto che viene visitato alle 14 dal presidio medico del tribunale che dopo una cotrollo sommario rileva ecchimosi attorno agli occhi. Erano passate solo 12 ore. All'ingresso in carcere i medici fanno le stesse constatazioni, ma poiché l'apparecchio radiologico è rotto lo inviano al Fatebenefratelli. Lì diagnosticano le vertebre fratturate. Da quanto si è accertato fino ad ora, in questa vicenda ci sono due zone d'ombra: le ore di permanenza nella caserma dei carabinieri e il periodo di ricovero nel repartino penitenziario del Pertini. Aggiungo ancora una cosa: alle 21 di sabato 17, Cucchi è al Pertini. Alle 22 arriva la sua famiglia, che però non riesce a vederlo fino al giovedì successivo. Non riescono a parlare con lui, né tantomeno con i sanitari. Ora, in presenza di un detenuto che deperisce visibilmente, non si nutre e non beve, i medici non avvertono né familiari né autorità.
Possibile che un arresto, per giunta per il possesso di una modica quantità di stupefacente, finisca per trasformarsi in una condanna a morte?
Siamo di fronte ad un'ordinaria storia di devianza sociale. Tutti i giorni vengono arrestate persone che si trovano nelle condizioni di Stefano Cucchi. Queste persone in genere stanno in carcere per pochi giorni, addirittura molti sono rilasciati dopo la direttissima. Ora nel corso di questo doloroso e accidentato percorso accadono dei fatti sottratti al controllo pubblico. Si manifesta un'ordinaria violenza che si perpetua e riproduce all'infinito. Violenza che può dare luogo a tragedie oppure fermarsi un momento prima che queste avvengano. Queste tragedie sono il risultato di una gestione dell'ordine pubblico e di una legislazione antidroga che produce esiti di grande degenerazione sociale. Ormai gira a pieno regime una macchina che produce in continuazione fermi, celle di sicurezza, un fisiologico esercizio di violenza che tanto più si esercita se di fronte ci sono corpi inermi e indifesi, come quello di Stefano Cucchi. Colpisce la corporatura di questa persona. Penso che quel corpo così gracile abbia determinato un accanimento.
Caso Cucchi: Procura indaga per omicidio preterintenzionale.
(ASCA) - Roma, 30 ott - Il pm di Roma Vincenzo Barba ha avviato un'inchiesta per omicidio preterintenzionale in relazione alla morte di Stefano Cucchi, l'uomo di 31 anni morto dopo un fermo di polizia e la detenzione in carcere. Il magistrato ha ascoltato come persone informate sui fatti alcuni carabinieri della stazione Appio-Claudio in cui Cucchi passo' la notte tra il 15 e il 16 ottobre, subito dopo il fermo. Barba ha sentito anche alcuni agenti della penitenziaria che hanno ''seguito'' l'uomo dopo lo spostamento in carcere.
Caso Cucchi, indagine per omicidio preterintenzionale.
Dall'Unione camere penali a Ferefuturo, da don Ciotti all'unione studenti: è indignazione. La Russa: "Carabinieri corretti". Alfano: " Pieno sostegno alle indagini". Ma il caso Aldrovandi insegna che...
Omicidio preterintenzionale. È il reato ipotizzato dalla procura di Roma nell'ambito della morte del detenuto Stefano Cucchi, avvenuta il 22 ottobre scorso nel reparto penitenziario dell'ospedale Sandro Pertini. Il pm Vincenzo Barba, titolare degli accertamenti, procede per il momento contro ignoti. Alla base della configurazione dell'ipotesi di reato la tipologia delle lesioni riscontrate sulla salma.
Verificare se Cucchi abbia subito lesioni, chi gliele ha procurate e se queste abbiano provocato la morte del detenuto. Sono questi gli interrogativi ai quali il magistrato intende dare risposte. Per questo sono già stati sentiti come testimoni alcuni carabinieri della stazione Appio-Claudio in cui Cucchi passò, in una cella di sicurezza, la prima notte, quella tra il 15 ed il 16 ottobre scorsi, in seguito al fermo per detenzione di sostanze stupefacenti. Già sentiti anche alcuni agenti di polizia penitenziaria. Altri dovranno essere sentiti, compreso l'uomo al quale Cucchi cedette l'hashish prima di essere fermato. Il pm Barba attende inoltre l'esito dell'autopsia sull'uomo di 31 anni.
Il caso della morte in carcere del giovane Stefano Cucchi scuote le coscienze e la politica. Dall'esposto dell'Unione camere penali a Ferefuturo, da don Ciotti all'Unione degli studenti si leva un coro di indignazione. "Il corpo del cittadino nelle mani dello Stato è sacro, e non si può consentire che dubbi si addensino sulle istituzioni - dichiara Oreste Dominoni, presidente dell'Ucpi (unione camere penali italiane) - La vicenda Cucchi presenta ombre e sospetti che vanno chiariti. L'Unione delle camere penali italiane, chiede che sia fatta piena luce sui fatti, ma soprattutto invita gli organi istituzionali a effettuare le opportune indagini senza guardare in faccia nessuno, affinché non si ritorni agli anni bui in cui non si sapeva cosa accadesse in caserme e commissariati".
Chiede verità anche Ffwebmagazine, il periodico online della Fondazione Farefuturo presieduta da Gianfranco Fini: Uno Stato democratico non può nascondersi dietro la reticenza degli apparati burocratici. Perché verità e legalità devono essere 'uguali per tutti', come la legge. Non è possibile che, in uno Stato di diritto, ci sia qualcuno per cui questa regola non valga: fosse anche un poliziotto, un carabiniere, un militare, un agente carcerario o chiunque voi vogliate".
"La sua è una morte che non solo chiede verità, ma che impone a tutti una riflessione vera sulle implicazioni penali di certe norme di legge e sulle politiche carcerarie del nostro Paese". È quanto dichiara don Luigi Ciotti, presidente del Gruppo Abele, in merito al misterioso decesso di Stefano Cucchi, sottolineando che "in questi giorni difficili siamo vicini alla sua famiglia".
Sul caso è intervenuto anche il ministro della Difesa Ignazio la Russa: "Di una cosa sono certo - ha dichiarato a Radio Radicale - del comportamento corretto dei Carabinieri in questa occasione". E ha aggiunto: "Non c'è dubbio che chiunque, qualunque reato abbia commesso, ha diritto a un trattamento assolutamente adeguato alla dignità umana. Quello che però è successo io non sono minimamente in grado di riferirlo, perché si tratta di una competenza assolutamente estranea al ministero della Difesa, in quanto attiene da un lato ai Carabinieri in servizio per le forze dell'ordine e quindi in dipendenza del ministero dell'Interno, dall'altro del ministero della Giustizia. Non ho strumenti per accertare.
Secondo l'Osapp, sindacato della polizia penitenziaria, il giovane arrivò in carcere in pessime condizioni: "Stefano sarebbe arrivato a Regina Coeli direttamente dal tribunale già in quelle condizioni, e accompagnato da un certificato medico che ne autorizzava la detenzione, come di solito si fa in questi casi". Queste le parole Leo Beneduci, segretario generale dell'Osapp che chiede chiarezza e celerità d'indagine.
Un arresto e otto giorni per morire: le foto choc.
Stefano Cucchi, romano, 31 anni, era stato fermato dai carabinieri con pochi grammi di droga. Poi il carcere e l'ospedale, senza che la famiglia potesse visitarlo. La sua morte ricorda il caso Aldovrandi. Oggi la denuncia con le immagini del cadavere.
Caso Cucchi, il padre: "Deve rispondermi lo Stato".
"Lo Stato ci deve dire la verità su quanto è successo a mio figlio". Questo l'appello lanciato dal papà di Stefano Cucchi, il giovane trovato morto con varie lesioni sul corpo nel reparto detentivo dell'ospedale Pertini di Roma.
Sky Tg24, 30 ottobre 2009.
Cucchi, Alfano: subito verità, pieno sostegno alle indagini.
Sky Tg24, 30 ottobre 2009.
Verità. È questa la parola che riecheggia con forza nel mondo politico-istituzionale. Una richiesta forte e trasversale agli schieramenti. Al procuratore della Repubblica di Roma, Giovanni Ferrara, ha telefonato il ministro della Giustizia Alfano confermando "pieno sostegno alle indagini e celerità nell'accertamento della verità e dei colpevoli". Interviene con decisione anche il ministro della Difesa: "Non ho strumenti per dire come sono andate le cose ma sono certo del comportamento assolutamente corretto da parte dei carabinieri" dice La Russa.
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