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venerdì 30 ottobre 2009

Nell'era di insicurezza globale

L'Onu: «Acquistati 30 milioni di ettari in tre anni».
Il club dei paesi ricchi sta divorando le terre del Terzo mondo.
Rassegna stampa - Liberazione, Mark Rice-Oxley, 30 ottobre 2009.

Entrati in un'era di insicurezza globale, i paesi ricchi e le loro imprese si affannano nel comprare le terre fertili nelle nazioni in via di sviluppo, in particolare nell'Africa. Secondo il relatore dell'Onu sul dititto all'alimentazione Olivier de Schutter, almeno trenta milioni di ettari (l'equivalente delle Filippine) sono stati acquistati dalle compagnie straniere negli ultimi tre anni. La Cina, la Corea del Sud e l'arabia Saudita sono la rampa di lancio di questo movimento, con la loro aspirazione a comprare le terre di Congo, Sudan e Tanzania, ma anche di paesi asiatici come la Cambogia. «È un fenomeno in crescita, molti paesi si sono accorti che i mercati internazionali sono deboli e instabili, quindi si premuniscono acquistando terreni all'estero», spiega de Schutter.
Jacques Diouf, direttore generale della Fao, parla di un «patto neocoloniale», mentre Duncan Green, portavoce dell'Ong Oxfam denuncia «la privatizzazione dell'Africa». L'idea è semplice: sfruttare la produzione agricola e poi riportarla a casa. In particolare per le coltivazioni di riso, soia, canna da zucchero e lenticchie.
Secondo i dati raccolti dall'International Food Policy Research Institute, i sauditi hanno recentemente concluso decine di contratti in Tanzania per 500mila ettari di terra coltivabile. Quanto alla Repubblica democratica del Congo sono pronti a comprare 10 milioni di ettari. Società indiane, sostenute dal governo, stanno preparando grandi spese in una mexzza dozzina di paesi africani; corporation agroalimentari britanniche e americane già lavorano a pieno regime in Angola, Mali, Malawi, Nigeria e Sudan: imprese cinesi trattano in Zambia, Congo e Tanzania, mentre la Corea del sud si è accaparrata 690mila ettari sempre in Sudan.
I primi segnali di dissenso contro questi accordi sono partiti dal Madagascar dove il progetto di un conglomerato della sudcoreana Daewoo per coltivare del mais su 1,3 milioni di ettari ha incontrato un'ostilità così forte che, lo scorso marzo, ha contribuito alla caduta del presidente Ravalomanana. il suo successore Andry Rajoelina, ha immediatamente sospeso l'accordo.
in teoria questo business dovrebbe accontentare tutti. Dopo tutto i nuovi proprietari potrebbero portare nuovi capitali nei Paesi in via di sviluppo; dei posti di lavoro potrebbero essere creati in queste zone; i contadini potrebbero usufruire di moderne tecnologie per migliorare i raccolti. Ma gli esperti ci spiegano che in realtà questi contratti sono ben poco trasparenti, quasi mai resi pubblici e vantaggiosi solo per gli acquirenti. «I rari contratti che abbiamo potuto vedere sono preoccupanti: lunghi 3, 4 pagine al massimo, stabiliscono pochissimi vincoli agli investitori. Infrastrutture e gestione durevole delle risorse naturale sono aspetti lasciati alla buona volontà di chi compra, il che è inquietante», si indigna de Schutter.
Questa fiera rappresenta una grave minaccia per delle regioni del mondo che vivono delle difficoltà croniche. i contadini locali rischiano di essere espulsi si i loro governi si lasciano tentare dais oldi facili. Privare gli abitanti delle loro terre fertili potrebbe aggravare il problema della fame. E la competizione si intensificherà intorno alla più rara delle risorse: l'acqua.
De Schutter propone una serie di principi e di provvedimenti che possono rendere più accettabile questo «accaparramento delle terre per l'agricoltura delocalizzata». Bisognerebbe in primo luogo rispettare i diritti dei contadini, negoziando i contratti a livello locale e non nazionale. Una quota di prodotti potrebbe essere venduta in loco privilegiando i bisogni dei residenti dell'Earth Policy Institute, spiega che, nonostante gli investitori sbarcano armati delle ultimissime tecnologie agricole, ciò non porterà nulla ai piccoli agricoltori locali: «Si tratterà essenzialmente di tecnologie destinate allo sfruttamento agricolo-commerciale su grande scala, ben poco adatte alle piccole parcelle famigliari che esistono nella gran parte di paesi presi in considerazione. Non credo affatto che questo modello possa servire al trasferimento e alla condivisione delle tecnologie. Ogni volta che un terreno in Africa e in Asia viene acquistato da un investitore straniero, viene sottratta della terra per nutrire gli abitanti».
"Straits Time" (Singapore)
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