Speciale - Parte terza.
Scatta il piano per le nuove case popolari.
Si potranno ampliare le case uni, bi o trifamiliari per il 20 per cento della volumetria delle strutture, fuori dai centri storici. Nelle zone non «di pregio», poi, si potranno abbattere e ricostruire edifici con una «volumetria premio» che sale al 30 per cento, se sono assicurati alti standard di risparmio energetico. Si può salire, invece, al 35 per cento nel caso in cui vengano previsti interventi per aumentare il verde attorno al nuovo palazzo. Nei centri storici potranno essere demoliti e ricostruiti quei palazzi «non coerenti con l’architettura storica», ma solo con il parere favorevole di una commissione regionale appositamente istituita. Alla fine, anche il piano regionale si occupa di case popolari, ma solo per prevedere ampliamenti di volumetria degli edifici fino a raggiungere la quota del 40 per cento di quella dell’intero quartiere.
All’interno di aree su cui ci sono già case popolari, lì dove c’è ancora spazio, potranno essere costruiti nuovi palazzi. Questo in sintesi quanto previsto nel nuovo provvedimento regionale. Nulla a che vedere, come già detto, con quanto invece è previsto dal Piano casa del Governo. Che in sostanza sostituisce quello già impostato precedentemente dal Governo Prodi, dopo che per decenni era stata totalmente abbandonata la politica nazionale per la casa. Gli ultimi fondi destinati alla costruzione di case a canone sociale o a edilizia convenzionata, inseriti in un piano, risalgono infatti ai tempi della Gescal. Quella famosa (e in parte odiata) trattenuta diretta in busta paga per i lavoratori dipendenti che andava a confluire nel fondo nazionale per costruire nuovi alloggi popolari. Un’idea che risale, addirittura, ai tempi di Fanfani e dei governi di fine Anni Cinquanta.
Ma, in sostanza, cosa prevede il decreto presidenziale firmato a inizio settimana dal Governo? Semplicemente, l’istituzione di un fondo di 200 milioni di euro, destinati a trasformarsi, secondo le intenzioni di Palazzo Chigi, in 550 milioni, per finanziare la costruzione di 100mila alloggi, in parte da dare in affitto, in parte da vendere a prezzi agevolati, destinati a «categorie socialmente più deboli». Il decreto ha ottenuto il via libera anche dalla conferenza Stato Regioni, dove sono rappresentanti gli enti locali, e dal Cipe, che è l’organismo nazionale che, in sostanza, decide i finanziamenti ai progetti e alle opere pubbliche. Al momento, tuttavia, non si sa ancora come questi soldi saranno ripartiti e quali ricadute potranno avere nei vari territori, fra cui appunto il Lodigiano. Si tratta, sostanzialmente, di una iniziativa solamente nazionale, e per conoscerne i particolari bisognerà aspettare che il Governo scriva i regolamenti e le linee guida che decideranno, in concreto, come i soldi saranno usati. Già, comunque, si sa che i destinatari di questi immobili «agevolati» saranno famiglie con bassi redditi, giovani coppie, anziani in condizioni di disagio, ma anche studenti fuori sede. Almeno, questo è quanto annuncia il Governo. Gli immobili dovrebbero essere costruiti su aree demaniali, di proprietà pubblica. Per cui ogni Regione dovrà in futuro individuare le aree dove le case potranno essere costruite. Naturalmente i 550 milioni non basteranno alla costruzione. Servirà, come annunciato a Roma, il coinvolgimento di privati con fondi immobiliari e cooperative edilizie. Il giro d’affari stimato sarebbe di 3 miliardi di euro.
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