Speciale – parte quinta.
Un’intervista di Riccardo Barenghi a Piero Fassino, l’ultimo segretario Ds, pubblicata su La Stampa del 12 luglio.
“Il Pd con Bersani rischia di cadere nell’effetto nostalgia”.
Fassino: Franceschini capace di unire le due culture.
Tra dieci giorni si chiudono i giochi delle candidature e si apre la vera e propria fase congressuale del Pd, che culminerà in ottobre con l’elezione del segretario. Piero Fassino fin da ragazzo è stato un militante e poi un dirigente del Pci, del Pds, infine segretario dei Ds per sette anni. E da questa postazione ha contribuito con parecchie energie a fondare il Partito democratico. Oggi, sorprendendo parecchi suoi ex compagni della quercia, si è schierato con Dario Franceschini che invece proviene dalla Dc e dalla Margherita. Mentre dall’altra parte c’è Bersani, sostenuto da D’Alema e da molti ex comunisti o diessini.
Fassino lei è addirittura coordinatore della mozione Franceschini: questa sua scelta non è incoerente con la sua storia politica?
«Se continuiamo a guardare al passato non faremo mai un passo in avanti. La mia scelta è coerente con il progetto del Partito democratico, ossia un Partito che vuole e deve mescolare le culture, le storie, le provenienze, le biografie. Altrimenti tanto valeva non farlo e rimanere con Ds e Margherita separati».
E perché secondo lei Franceschini sarebbe più adatto di Bersani a guidare questo progetto?
«l’ha dimostrato in questi quattro mesi di segreteria, tenendo la barra del timone dritta su temi fondamentali come la laicità, la nuova alleanza progressista con i socialisti in Europa, e imponendo in campagna elettorale i temi giusti che interessano gli italiani, a cominciare dalle risposte che si dovrebbero dare alla crisi economica e che il governo fa solo finta di dare».
E perché Bersani invece non andrebbe bene?
«Proprio perché abbiamo scelto in Europa un rapporto privilegiato con socialisti e socialdemocratici, se in questa fase il leader del Pd diventasse un dirigente proveniente dai Ds, come è Pierluigi, si correrebbe il rischio di omologare il Partito a una sola delle due culture e storie che l’hanno fatto nascere. Mentre con Dario, che ha con coraggio compiuto la scelta europea, possiamo mantenere il profilo plurale e largo del Pd».
Tuttavia Franceschini ha perso due elezioni di seguito: oggi il Pd è al 26 per cento…
«È francamente ingeneroso addossare a Dario la responsabilità di queste sconfitte, le elezioni le abbiamo perse tutti noi. Le ha perse il Partito intero».
Però D’Alema e Bersani dicono che il Partito non c’è e che l’idea di Veltroni, il Partito liquido tutto basato sulle primarie che eleggono la leadership, è stata disastrosa.
«Figuriamoci se io voglio un Partito liquido. Non lo voglio io e non lo vuole neanche Franceschini. Mi pare di aver dimostrato negli anni in cui ho fatto il leader dei Ds quale sia la mia idea: un Partito forte, radicato nel territorio, ben strutturato. Con un profilo largo e che soprattutto sia proiettato in avanti e non rivolto al passato».
In questa proiezione verso il futuro non le sembra che Franceschini abbia esagerato quando si è candidato «per evitare che tornino quelli di prima»? In fondo prima c’era anche lei…
«Quella è stata una frase infelice, ma se mettessimo insieme tutte le nostre frasi infelici riempiremmo un’intera biblioteca».
D’Alema non ha gradito e lei lo ha attaccato…
«Ho replicato alle sue dichiarazioni, punto e finito. Né io né lui abbiamo interesse a tenere aperta questa polemica, considerata anche la nostra storia comune».
Passiamo allora alle differenze programmatiche tra Franceschini e Bersani, al momento è francamente difficile capire quali siano.
«Lo capiremo quando presenteranno le loro piattaforme. Per ora quello che noto è la percezione diversa che suscitano i due. Franceschini viene considerato come colui capace di tenere insieme culture diverse, mentre Bersani rischia di essere il candidato di chi rimpiange quello che c’era prima. Insomma i Ds con un altro nome».
Ma il tenere insieme culture diverse non rischia di degenerare nel «ma anche» veltroniano?
«Non credo proprio, perché sia io che Dario vogliamo un partito che decida. La democrazia ha le sue regole. Si discute e poi si decide: se siamo tutti d’accordo meglio, sennò si decide a maggioranza».
A proposito di Veltroni, è finita la stagione del partito a vocazione maggioritaria?
«Non facciamo caricature, nessuno è così cretino da pensare che si possa ottenere da soli il 51 per cento dei consensi degli elettori. Il problema è come costruire alleanze che non siano una sommatoria di parti fatte a prescindere dal programma. Noi siamo la forza principale del centrosinistra e dunque spetta a noi presentare un programma su cui definire alleanze possibili e coerenti».
Cosa pensa della candidatura del terzo uomo, ossia Ignazio Marino? E già che ci siamo: come è riuscito a convincere Chiamparino a non candidarsi?
«Marino è un bravissimo medico ma francamente non mi pare abbia storia, l’esperienza e il background per fare il segretario di un partito. Chiamparino non aveva certo bisogno che io lo convincessi, ha giustamente valutato che era prioritario onorare l’impegno assunto con i torinesi che lo hanno eletto».
Senta Fassino, mentre voi vi dividete e scontrate, ci sarebbe bisogno di un’opposizione che al momento non è, si vede, gran che…
«Non è vero, noi abbiamo sempre fatto il nostro mestiere e continueremo a farlo. Ancor di più in questa fase, accompagnando il nostro dibattito con proposte in grado di rispondere alle domande e ai bisogni degli italiani».
Il G8 dell’Aquila è stato un successo per Berlusconi?
«L’evento è riuscito, non c’è dubbio. Poi vedremo se e quando gli impegni che sono stati presi saranno mantenuti».
Come mai sullo scandalo delle escort la vostra voce non si è sentita forte e chiara…
«Le priorità sono la crisi che si farà sentire pesantemente in autunno, l’occupazione della Rai, il conflitto permanente con la magistratura… E poi certo, sono venute alla luce vicende scabrose che non possono essere eluse. È ora che il premier dica una parola chiara su tutto questo, è lui che deve dare una spiegazione al Paese. anche per evitare che l’Italia diventi un gigantesco Bagaglino».
Per concludere una domanda sul suo futuro: è vero che vorrebbe fare il sindaco di Torino?
«Prima mi occupo di vincere il congresso e comunque fino al 2011 c’è Chiamparino che fa benissimo il suo mestiere. Quindi abbiamo tempo per riflettere».
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