Ma il Pdl può permettersi uno come Fini?
Rassegna stampa - Il Riformista, Peppino Caldarola, 12 settembre 2009.
Il Pd è stato logorato da una leadership eccessiva che voleva abolire le sezioni, i militanti e i congressi. Il PdL rischia di farsi male per la ragione opposta, perché il partito accetta solo una leadership esagerata e mal sopporta il dualismo. Il problema Fini è tutto qui. E ha un nome preciso, molto in voga di questi tempi: "contagio". Se il metodo Fini dilagasse che cosa resterebbe in piedi del Pdl? Ovvero il Pdl può permettersi il lusso di riconoscere ad un suo leader lo statuto di oppositore permanente?
Lo sconcerto che accompagna ogni esternazione del presidente della Camera rimanda a questa paura di fondo: se si mette in discussione la leadership si indebolisce il progetto politico. Berlusconi ha abituato il suo mondo a vivere in un fortino assediato. In verità è ben più che un fortino, è un vero castello operoso in cui vive molta gente, con una variegata divisione dei compiti, con una gerarchia riconosciuta, i suoi sacerdoti, un apparato culturale e uno militare (penso, in entrambi i casi, ai giornali e alla tv) e un popolo disposto a combattere all`ultimo sangue ogni volta che sente l`aria della battaglia finale. È un partito moderno che ha riciclato tutta la plastica delle origini. Nel castello ogni dignitario ha una sua corte di seguaci. C`è l`algido Tremonti, odiato e temuto guardiano della cassaforte, ci sono i ministri laici e quelli che cercano sponde nella Cei, la massoneria sta come a casa propria, ci sono i nuovi capi (anche di sesso femminile) selezionati avventurosamente e uno per uno dal grande leader che si stanno mettendo in proprio, ci sono quelli che in periferia prendono i voti. C`è tutta quanta la destra italiana. È un mondo immenso che ha preso coraggio, che combatte nella società, che spera di far fortuna grazie ai nuovi potenti, che sogna ricchezza e successo, che odia la sinistra, che esibisce i suoi giornali di combattimento come i militanti del Pci esibivano l`Unità. È un mondo di interessi e di passioni. È un mondo vero. Questo mondo fa capo a Silvio Berlusconi.
Mentre tutti noi, iene dattilografe, ci esercitiamo sul dopo-Berlusconi, lui riceve il tributo quotidiano da questo suo mondo di fedeli. All`improvviso spunta Fini. E un politico di razza che ha tirato fuori dalle catacombe la destra storica e che adesso vuole dargli un nuovo profilo culturale. Dice cose ragionevoli di destra che eccitano la sinistra e deprimono i suoi compagni di partito. Perché lo fa è oggetto di discussione. Se ha ambizioni fa bene ad averle, se vuole trovare un nuova visibilità ripercorre altre carriere. Tuttavia lo fa, con tenacia e con cattiveria. L`invincibile armata mediatica del Cavaliere lo sottopone ad un massacro pressocchè quotidiano, i militanti si interrogano su quale sia il suo disegno, i suoi ex compagni di partito si sono dati alla fuga, in tanti gli chiedono di fermarsi o di sparire via ma lui va avanti imperterrito.
Molti si chiedono se questo Fini sia ancora un leader della destra o se non stia pensando ad altre avventure politiche. La mia idea, che ho già raccontato su queste colonne, è che Fini è di destra ma che stia costruendo il profilo di una leadership pronta per il giorno della successione. È lui l`uomo pubblico più popolare dopo Berlusconi, ha mostrato di avere la schiena dritta, si è tolto la cattiva fama del politico pigro e scarsamente combattivo. Quando Berlusconi cederà il passo, Fini avrà tutti i titoli per fare un passo avanti. I malumori che accolgono oggi le sue intemerate saranno altrettanti titoli di merito.
Ma, è questa la domanda, il Pdl può permettersi uno come Fini? Il problema non è il partito plebiscitario che ha un capo solo e mal sopporta dualismi. Il problema è che il Pdl è il primo tentativo vero di trasformare in un partito l`enorme e moderno aggregato elettorale della destra. Questa trasformazione si regge su un allargamento senza precedenti dei confini (nel Pdl l`assemblaggio di culture diverse andrebbe indagato perché è una cosa seria e profonda), su un forte radicamento sociale, su una classe dirigente locale diffusa che da un quindicennio fa l`esperienza di governo, su un ceto dirigente nazionale accuratamente selezionato.
Fini contesta la leadership nelle sue scelte, ma soprattutto lo fa con parole spesso sprezzanti alludendo ad un`altra visione del mondo. In un partito tradizionale la questione si risolverebbe in un congresso. Il Pdl non può farlo.
La lenta costruzione di questa formazione politica di massa non prevede la democrazia. Ovvero non prevede la democrazia classica, quella delle maggioranze e delle minoranze. In verità non la prevede neppure Fini che si guarda bene dal chiedere verifiche congressuali e si accontenta di fare l`oppositore solitario. Ma se il contagio Fini dilagasse, l`intero Pdl rischierebbe di esplodere.
Quanti casi Fini potrebbe tollerare la periferia del partito? La mappa del potere interno al Pdl racconta di divisioni profonde - appena poche settimane fa si è parlato addirittura della minaccia di un partito del Sud - ma la struttura del partito non prevede uno scontro politico fondato su alternative culturali. Tutto va dentro il cappello del berlusconismo. Se qualcuno vuole metterci un altro cappello, il progetto va per aria. La leadership assoluta può accettare il dissenso, la fronda, persino la congiura, non può sopportare l`alternativa culturale. Se la "sindrome Fini" diventa una pandemia, non c`è vaccino per il Pdl.
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