Rassegna stampa - Corriere della Sera, Francesco Verderami, 12 settembre 2009.
Berlusconi sa che non è finita e non finirà, che i media insisteranno sui festini e le donnine, che le vicende giudiziarie torneranno a lambirlo, che «i miei nemici» - come definisce l`indistinta coalizione di interessi a lui ostile - cercheranno di tenerlo sotto pressione. Ma la variabile oggi è Fini.
Perché se da una parte il Cavaliere è certo che il presidente della Camera continuerà a distinguersi - tenendo in fibrillazione governo, partito e maggioranza - dall`altra non riesce ancora a capire quale sia il vero obiettivo del «cofondatore» del Pdl. Era scontato che il premier lo accusasse di «tradimento», «ingratitudine» e «slealtà» dopo il suo discorso di Gubbio. Così com`era chiaro che l`ex leader di An avrebbe pubblicamente detto ciò che da tempo spiegava nei colloqui riservati: e cioè che «Berlusconi per difendersi si è consegnato nelle mani di Bossi», che «il Pdl è ridotto a una sorta di Forza Italia allargata», che «se spegnessero la luce nella stanza del governo e lì dentro ci fosse Tremonti non si sa cosa gli accadrebbe».
È vero che il tema sollevato da Fini sulla vita interna del nuovo partito è assai sentito, persino il capogruppo Cicchitto - subito dopo il congresso - sosteneva che «d`ora in poi la democrazia telefonica usata da Berlusconi in Forza Italia non potrà più bastare». Ma a Gubbio Fini si è spinto oltre, criticando la politica dell`esecutivo e - secondo il premier - «alimentando speculazioni» sul delicato tema delle inchieste di mafia. I tentativi di rattoppo non hanno nascosto lo sbrego, semmai l`hanno reso più evidente.
In più Bossi è tornato ad attaccare in modo veemente il presidente della Camera, con il quale - dopo il varo del decreto sicurezza - aveva tentato di stringere un accordo, se è vero che era andato a trovarlo di persona a Montecitorio: «Gianfranco, tienimi fuori dalle tue beghe con Silvio. Io non c`entro nulla e non voglio finirci in mezzo». Non è andata così.
E comunque resta senza risposta l`interrogativo del Cavaliere: dove vuole arrivare Fini? Finora sono state valutate due ipotesi. La prima è quella che il premier definisce «la sindrome da Elefantino», riferimento alla lista presentata da Fini alle Europee del '99, e con la quale l`allora capo di An provò a conquistare la leadership del centro-destra. Quell`operazione fallì. E fallirebbe anche stavolta, a detta di Berlusconi, che ha commissionato subito un sondaggio per rilevare l`appeal elettorale dell`alleato: «Se si presentasse con una sua lista e con le sue idee, non andrebbe oltre il 4%».
Ma prospettive di terzo polo non ce ne sono, anche Montezemolo ha voluto mettere a tacere i boatos. Inoltre Fini non intende «ballare da solo», sebbene si senta solo nel Pdl. Tanto che la mattina dell`attacco di Feltri sul Giornale notò che nemmeno Gianni Letta l`aveva chiamato per solidarizzare.
C`è allora l`altra ipotesi: quella cioè che Fini immagini un precipitare degli eventi per fattori al momento non noti. La sentenza della Consulta sul «lodo Alfano» è vissuta nel Palazzo come una sorta di sentenza sulla legislatura. Però non basta a spiegare tutto. Eppoi «io non me ne andrò mai, mai», ripete il Cavaliere, conscio che la sua immagine internazionale è irrimediabilmente rovinata, ma forte del consenso nel Paese. Anche i dirigenti del Pd l`hanno constatato nel primo rilevamento riservato che hanno ricevuto da Ipsos dopo la pausa estiva. Nonostante le polemiche e gli scandali, da luglio a settembre Berlusconi ha perso solo un punto nell`indice di fiducia (50,7%), restando davanti a tutti gli altri leader, anche loro tutti in calo. Di più: il Pdl, in trend positivo da luglio, è arrivato al 38,2%. E la forbice nelle intenzioni di voto per coalizioni è aumentato di un punto e mezzo, con il centrodestra oggi al 49,4% e il centrosinistra al 37,9%.
«E allora: cosa devo chiarire con Fini?», s`infuria il Cavaliere. Forse il premier dovrebbe valutare una terza ipotesi, esaminata da alcuni dirigenti del Pdl. È un altro scenario, non quello del «Fini contro Berlusconi», ma quello del «Fini dopo Berlusconi», magari logorato dagli attacchi. Ecco la sfida. Ecco la scommessa.
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