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sabato 12 settembre 2009

Fini non è Brancaleone

Mafia, Alfano non fa sconti: «Sulle stragi si va in fondo».
Il guardasigilli è d'accordo con Fini: «Siamo con i pm che cercano la verità».

Rassegna stampa - Il Secolo d'Italia, Antonio Marras, 12 settembre 2009.

Le parole di Gianfranco Fini sulla mafia non potevamo cadere nel vuoto. Ma se qualche giornale ha interpretato quel monito sulla necessità di fare chiarezza fino in fondo sulle stragi di mafia come un attacco indiretto a Berlusconi, ieri sono arrivare le dichiarazioni del Guardasigilli Alfano e di Marcello Dell`Utrí a fare giustizia delle dietrologie malevole.
Chi ieri ha cercato di gettarla in rissa, strumentalizzando il pensiero del presidente della Camera, ha volutamente ignorato la parte del discorso di Gubbio in cui Fini si dichiarava convinto che né Berlusconi né persone a lui vicine avrebbero avuto nulla da temere con l`eventuale riapertura delle indagini sui massacri di Cosa nostra. Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ieri, proprio alla scuola di formazione politica del Pdl, a chi gli chiedeva un commento sulle dichiarazioni del presidente della Camera Gianfranco Fini, ha risposto: «Fini ha ribadito l`accanimento giudiziario contro il premier. Se c`è un uomo di governo che più di ogni altro può vantare straordinari risultati nella lotta alla mafia è Berlusconi che lo ha fatto non con parole straordinarie ma con fatti. Non nascondiamo che la nostra valutazione è che vi sia una componente della criminalità organizzata che abbia ragioni di rancore e ostilità nei confronti del presidente del Consiglio». Alfano ha ricordato i risultati ottenuti nella lotta alla criminalità organizzata e rivendica come questa sia una priorità del governo: «Se vi saranno elementi per riaprire i processi sulle stragi, i magistrati lo faranno con zelo e coscienza e siamo convinti che nessuno abbia intenzione di inseguire disegni politici, ma solo un disegno di verità». Alla domanda se le inchieste possano minare la credibilità del governo, Alfano risponde: «Non abbiamo queste preoccupazioni, riteniamo che il governo si sia qualificato per l`esatto contrario, per il contrasto alla criminalità organizzata, un contrasto con esiti straordinari».
A stretto giro sono poi arrivate le dichiarazioni di Fini, a commento della posizione del Guardasigilli: «La inequivocabile dichiarazione del ministro Alfano, che condivido al cento per cento, e che indica chiaramente l`auspicio del governo, spazza via le strumentali interpretazioni e le false dietrologie circa quanto ho affermato ieri sulla necessità di giungere alla completa verità sulle stragi mafiose degli anni `90», ha fatto sapere in una nota il presidente della Camera.
Del resto, era stato lo stesso Marcello Dell`Utri, chiamato in causa per un possibile ruolo nelle vicende legate alla mafia, a interpretare correttamente le dichiarazioni di Fini, in un`intervista a Libero. «Vedo un fallimento della magistratura ordinaria sulle cosiddette stragi. Con tutti i processi svolti, ora passati in giudicato, non si è risolto nulla, e adesso viene fuori che era tutto sbagliato», dice il senatore del Pdl Marcello Dell`Utri, che si dice «d'accordissimo» con Fini: «Trovo assolutamente corretta e anche adatta al suo ruolo istituzionale la presa di distanza di Fini dal Pdl. Non ci vedo nulla di cattivo dietro. Io stesso propongo la commissione d`inchiesta. Occorre procedere e cercare la verità». Sulle nuove prove emerse nel processo d`appello di Palermo, che lo vede imputato, il senatore afferma: «Vogliono colpire me per colpire Berlusconi. È un`operazione evidente, un rigurgito giudiziario, l`estremo tentativo di abbattere il capo del governo».
Nel Pdl, a parte qualche attacco isolato a Fini, sono in tanti a sottolineare come il presidente della Camera non avesse alcuna intenzione di sollevare un polverone contro Berlusconi, sollecitando invece la massima trasparenza sulle indagini di mafia. «Leggendo i giornali sembrerebbe che Gianfranco Fini si sia recato a Gubbio con l`elmetto per dichiarare guerra al Pd1, peraltro dando manforte a coloro che si esercitano quotidianamente nell`arte di pescare nel torbido. Credo che una risposta intelligente sia venuta da Marcello Dell`Utri nell`intervista a "Libero", cui rimando», dice il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli. Sulla stessa lunghezza d`onda anche Italo Bocchino, vicecapogruppo del Pdl alla Camera: «L`intervista di Dell`Utri a "Libero", le parole forti e chiare del ministro Alfano e la condivisione soddisfatta del presidente Fini fanno chiarezza su quanto detto da quest`ultimo sulla necessità di spronare la magistratura a ricercare sempre con zelo eventuali altri responsabili delle stragi di mafia, ponendo contestualmente fine a quella che lo stesso presidente della Camera ha definito persecuzione giudiziaria nei confronti dì Berlusconi». «Spazzata via ogni dietrologia dell`intervento di Fini a Gubbio - ha aggiunto l`esponente del Pdl - restano l`invito ad un più ampio dibattito nel Pdl e la proposta di ricercare un punto di incontro su questioni importanti come l`immigrazione e la legge sul fine vita. Questioni sulle quali tutto il Pd1 non può che essere d`accordo».
Anche Fabio Granata, vicepresidente della Commissione Antimafia, ritiene che le parole del ministro Alfano «rappresentino un importantissimo segnale politico e spazzano via ogni possibile strumentalizzazione» dell`intervento del presidente della Camera Gianfranco Fini. «Il governo e il Parlamento intero - ha detto Granata - devono sostenere l`azione della magistratura e auspicare che sulle stragi del '92 si accerti finalmente la verità e si individuino i responsabili». Fa dei distinguo, invece, il coordinatore del Pdl Denis Verdini, che spiega: «Quando ieri abbiamo sentito le parole di Fini abbiamo pensato che non era il caso, tutti, anche quelli di An». Sulle stragi di mafia «tutti vogliono la verità, ma c`è un gioco politico e non sulla verità quanto all`utilizzo. Più libertà per i pm di aprire e riaprire i fascicoli non ce n`è, dal `92 sono passati 17 anni e sono tanti per un`indagine. Quello che viene fuori dai giornali - ha sottolineato Verdini - ci sembra un`operazione strumentale».
Categorico e senza sconti sulla lotta alla mafia, è stato anche l`intervento tenuto da Renato Schifani, dal palco del seminario di Gubbio, che però ha detto no alle Procure che «tendono a riproporre teoremi politici» sulle stragi di mafia. Il presidente del Senato ha comunque espresso il «massimo rispetto» per l`autonomia e l`indipendenza della magistratura.
La tesi di Umberto Bossi è invece che anche l`affare-veline sia stato messo in piedi dalla mafia. «Abbiamo fatto leggi pesantissime contro la mafia - ha spiegato Bossi - e quindi l`ho detto anche a Berlusconi guarda che qui c`entra la mafia. Chi ha in mano le prostitute è la mafia, sono convinto ché è la mafia che ha organizzato tutta questa cosa qui». Per ritorsione contro il governo? Chiedono i cronisti. «Esatto», ha concluso Bossi.

Non così conciliante il Giornale di Feltri che in un articolo enumera le colpe dell'ex leader di An.
II confronto. Punto per punto, ecco come Fini tradisce il programma.
Il Giornale
, Emanuela Fontana, 12 settembre 2009.

Programma del Popolo della libertà, elezioni 2008. Ricerca per parola o frase chiave. Tasto del computer Control F. Voto agli immigrati: «Impossibile trovare il testo!». Cittadinanza agli stranieri dopo 5 anni di permanenza regolare: «Impossibile trovare il testo!». Norme per i diritti delle coppie di fatto: «Impossibile trovare il testo! La ricerca è molto frustrante e anche un po` noiosa: condivisibili o meno, sagge o demagogiche che siano, delle idee nuove di Gianfranco Fini nelle undici pagine del patto sottoscritto dalla coalizione di centrodestra con gli elettori un anno e mezzo fa non se ne trova traccia, accenno, indicazione approssimativa. Non esistono. Non pervenute.
È questo adesso il problema. La capacità di cambiare le opinioni può essere una dote e un motivo di fascino, «una perfetta contraddizione resta misteriosa ai savi come ai pazzi» scriveva Goethe. Ma nel caso del presidente della Camera Gianfranco Fini la dialettica con se stesso significa la sconfessione di un contratto messo per iscritto: chi vuole rendere conto a Fini lo farà - e lo sta già facendo, ad esempio la Lega - trascinando il presidente della Camera di fronte a quel testo che lui stesso controfirmò.
Il giorno era bisestile: 29 febbraio 2008. Data fausta: due mesi dopo il governo Berlusconi giurava fedeltà alla Costituzione nelle mani del presidente Giorgio Napolitano. Quel 29 febbraio di un anno e mezzo fa, dunque, Berlusconi lesse il programma elettorale in sette punti - missioni furono chiamate - all`Auditorium di via della Conciliazione a Roma.
In prima fila sedevano Gianfranco Fini, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, Stefano Caldoro, Alessandra Mussolini, Giuseppe Pizza e Raffaele Lombardo: gli alleati. Tutti avevano condiviso le promesse con gli elettori. Punto per punto, missione per missione. La coalizione vinse sulla base di quel piano di azione articolato in sette obiettivi primari: sviluppo, famiglia, sicurezza-giustizia, servizi ai cittadini, sud, federalismo, piano straordinario di finanza pubblica.
Proprio la presenza di quel documento consente di mettere a confronto nel dettaglio le idee di programma e le «idee nuove» del presidente della Camera.
Missione terza del programma elettorale, punto 5: «Apertura di nuovi Centri di permanenza temporanea per l`identificazione e l`espulsione dei clandestini». Gianfranco Fini, 27 agosto, festa del Pd di Genova, venti giorni dopo l`entrata in vigore dell`ultima legge sulla sicurezza che allunga i tempi di permanenza nei Centri di espulsione: «Se si parte dal presupposto che l`immigrato è una persona, alcune politiche non dovevano essere inserite in un provvedimento legislativo».
Missione terza, punto 6: «Contrasto all`immigrazione clandestina». Gianfranco Fini, 1luglio, al quotidiano spagnolo El Mundo: «Sarebbe immorale dire subito "sei clandestino, ti rimando al tuo Paese". In alcuni casi, questa sarebbe una condanna a morte».
Missione seconda, principi generali: «La famiglia è al centro del nostro programma; per noi la famiglia è la comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna». Gianfranco Fini, Il Foglio, 9 maggio (dichiarazioni confidenziali mai smentite): «Dobbiamo necessariamente prendere atto che nella nostra società ci sono forme di convivenza non assimilabili alle famiglie ma che vanno tutelate».
Anche il pensiero laico di Fini sul testamento biologico è in antitesi.
Missione 2, comma 3, punto 13. Così dice il documento del Pdl: «Esclusione di ogni ipotesi di leggi che permettano o comunque favoriscano pratiche mediche assimilabili all`eutanasia».
Infine l`aborto. Missione seconda, comma 3, punto 12: «D`intesa con le regioni, individuazione delle risorse finanziarie necessarie a garantire credibili alternative all`aborto». A questo proposito, Fini 1`8 agosto ha dichiarato: «Trovo originale pretendere che il Parlamento si debba pronunciare sull`efficacia di un farmaco (la RU 486, ndr). Ognuno ha le sue opinioni, anche io ho la mia, ma non è oggetto di dibattito politico».

E vediamo come il giornale di Feltri sberleffa gli ex-An che sono con Fini (articolo di Francesco Cramer, "La Russa si smarca da Fini, col «capo» solo 40 fedelissimi", 12 settembre 2009).

Ma quanti e chi sono quelli perfettamente sintonizzati sulla nuova lunghezza d`onda finiana, che trasmette messaggi contrastanti col programma del Pdl, premiato dagli elettori nel 2008? Pochini, per la verità. Una minoranza che, seppur nella peggiore delle ipotesi decidesse di sbattere la porta di via dell`Umiltà per fondare qualcosa di nuovo, non sarebbe determinante per le sorti della maggioranza di governo.
A Montecitorio, su 276 onorevoli pidiellini, quelli eletti in quota An sono stati 83. Di questi, i finiani doc sarebbero 28 o 29, non di più. Stando così le cose lui, l`ex capo della brigata aennina, alla Camera avrebbe perso per strada circa un terzo della sua truppa. A Palazzo Madama, invece, su un totale di 146 seggi pidiellini, quelli eletti in quota An sono stati 47. Tra questi, i più vicini a Fini sarebbero 12 o 15. Una fetta che rappresenta un quarto del suo vecchio partito.
Rimanendo l`incognita sul drappello di onorevoli alemanniani, per la sua corsa Fini potrebbe contare su una quarantina di onorevoli stampellle.
Eccola la minoranza interna al Pdl: un manipolo di parlamentari che giurano fedeltà alla terza carica dello Stato al grido di «Salvate il soldato Gianfranco». Oggi i finiani fino al midollo sono senza dubbio guidati da Italo Bocchino, Fabio Granata e Adolfo Urso. Il primo, ex portavoce di Tatarella, ex candidato alla Regione Campania, è quello che più fa da megafono alle richieste di dibattito interno. Il secondo, ex vice segretario del Fronte della gioventù, ex vice presidente della Regione Sicilia, nonché ex vice sindaco di Siracusa, è il supersupporter di Gianfranco. E solito ripetere che «il futuro del Pdl è Fini» e c`è lui dietro il disegno di legge sulla cittadinanza agli immigrati. Poi il terzo, Urso: natali a Padova, promotore della fondazione Osservatorio parlamentare, vicinissimo a Gianfranco, ex vice ministro alle Attività produttive nel 2001 ed ex vice ministro di Claudio Scajola, schierato con Fini soprattutto sul tema del biotestamento: «La posizione di Fini è maggioritaria nel Paese», giura. Accanto a questi anche Carmelo Briguglio, Luca Barbareschi, Giulia Bongiorno, Donato Lamorte, Flavia Perina, Souad Sbai, Giuseppe Scalia e Marco Zacchera.
Tra questi anche un neo-finiano, lontano mille miglia da An: Benedetto Della Vedova. Ex dirigente radicale, allergico alla sinistra ma insofferente verso quella che giudica «una deriva moralista e integralista intrapresa dal Pdl sui temi etici».
Al Senato, invece, Fini potrebbe trovare sponda nell`emiliano Filippo Berselli, nel sardo Mariano Delogu, in Domenico Gramazio, quello che stappò una bottiglia di champagne in aula quando cadde il governo Prodi e venne richiamato all`ordine dal presidente Franco Marini con l`oramai celebre «Collega, non siamo mica all`osteria!». Ma anche in Vincenzo Nespoli, Pasquale Viespoli e Maurizio Saia.
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