Rassegna stampa - Liberazione, Dino Greco, 11 settembre 2009.
Berlusconi, il sedicente «torero» e «superuomo» ancora digrigna i denti, intimidisce, minaccia, ricatta, esibisce come virtù i suoi vizi e le sue perversioni, convinto che parlino al ventre profondo del Paese, al quale direttamente si rivolge. E ne ha per tutti. Ma la sua non è più la sicumera dei giorni migliori, quando tutto si riduceva ad uno scontato gioco del gatto col topo, con gli avversari - ovviamente - ma soprattutto con gli alleati, lesti a rientrare nei ranghi non appena il capo ringhiava, senza neppure dover percuotere il tavolo col pugno di ferro. I santuari del potere lo sostenevano, più o meno convintamente, o lo subivano, persuasi di poter trarre il massimo beneficio dall'uomo che più di ogni altro ha tentato di dimostrare che tutto e tutti possono avere un prezzo. Del resto, come ognuno può constatare, ciò si è ampiamente verificato. I conti, ora, non tornano più. Quel sodalizio si è logorato profondamente e su troppi fronti, perché il dispensatore di prebende non finisca per rappresentare un ingombro, un residuo antistorico, persino per una destra che vuole continuare a governare conservando integri i rapporti sociali esistenti. Berlusconi, in qualche modo prigioniero del suo atto politico di nascita e vittima del delirio onnipotente che ne accompagna il declino senile, è divenuto indecente e impresentabile, anche per le forze a lui alleate o contigue, per i poteri che dei suoi favori si sono sino a ieri avvalsi tappandosi naso e bocca. C'è la devastazione dell'immagine pubblica, l'insostenibilità del baratto patologico fra prestazioni sessuali e carriere politiche, c'è l'isolamento internazionale che travalica i tradizionali confini fra destra e sinistra, fra progressisti e conservatori, per divenire un unanime coro dileggiante. C'è, soprattutto, un sistema di potere che ha ammutolito il parlamento e fatto dell'esecutivo una muta di cortigiani. C'è l'attacco frontale alla magistratura e a ciò che resta della libera stampa. Ogni limite è stato ampiamente oltrepassato. Non solo la Costituzione è stata stracciata e vilipesa. L'inquilino di palazzo Chigi è ben difficilmente inscrivibile persino dentro le coordinate del più tiepido pensiero democratico, della stessa cultura liberale. La sindrome di Caligola lo ha portato al di là della soglia oltre la quale egli è divenuto un pericolo per i suoi stessi sodali, i più avvertiti dei quali colgono il rischio di essere travolti con colui che fino a ieri l'altro era l'osannato e indiscusso leader. C'è da scommettere - essendo già avvenuto tante volte nella storia patria - che, al dunque, non pochi dei fedeli ascari scenderanno dal carro con la stessa disinvolta rapidità con cui vi sono saliti. Sono ormai molti gli indizi che rendono chiaro come i poteri forti stiano coalizzandosi per "mutare spalla al proprio fucile". Gli uomini pronti alla bisogna ci sono già. I loro nomi e le loro mosse sono già visibili, le diplomazie trasversali in piena fibrillazione. In quanto «occorre cambiare tutto, perché nulla cambi», affinché la transizione post-berlusconiana avvenga senza troppi scossoni, senza che gli equilibri politici vengano alterati, contando anche sul sostegno silenzioso e senza pretese di un'opposizione parlamentare che non riesce - né prova - a toccare palla. Berlusconi lo capisce, sente che il cerchio si stringe, e si dibatte nell'arena come un animale ferito. L'arroganza di cui ha sempre fatto sfoggio è ora intrisa di visibile paura. Come tutti i dittatori nella fase del crepuscolo, egli tende a non fidarsi più di nessuno. Questo - occorre averne contezza - lo rende estremamente pericoloso. Berlusconi ha ancora dalla sua un enorme potere politico, economico, mediatico ed il sostegno per ora non incrinato della Lega. Non è un cane morto e forse non è imminente il suo 25 luglio. Per mantenersi in sella userà tutti i mezzi possibili ed inimmaginabili, ivi compresa quella che fa già balenare come la soluzione estrema: le elezione anticipate, concepite - oggi come non mai - come un plebiscito sulla sua persona con annessa, implicita richiesta, direttamente rimessa nelle mani del popolo, di disporre di un potere assoluto, privo di qualsivoglia condizionamento.
Questa è «l'arma ti tistruzione ti mondo» che Berlusconi-stranamore non esiterà ad usare, giocandosi tutto per ricondurre all'obbedienza chi vorrebbe disfarsi di lui e per assestare un colpo letale alla nostra più che traballante democrazia.
Nel breve volgere di un mese, eventi di diversa natura ed entità renderanno il clima politico incandescente: l'audizione di Massimo Ciancimino sui rapporti tra Stato e mafia e, in particolare, fra Provenzano e Dell'Utri, cofondatore, con Berlusconi, di Forza Italia; l'inizio del processo d'appello al medesimo, già condannato in primo grado a nove anni di carcere e all'interdizione perpetua dai pubblici uffici per concorso esterno in associazione mafiosa; la manifestazione promossa dalla Federazione nazionale della stampa per il prossimo 19 settembre in difesa della libertà di informazione; la sentenza della Consulta chiamata a pronunciarsi sulla costituzionalità del Lodo Alfano.
Ebbene, il combinato disposto di questi appuntamenti può avere un effetto dirompente sulla situazione politica del Paese. Rimane il fatto paradossale che la possibile, rovinosa caduta di Berlusconi non sarà il prodotto di una rivolta sociale, montata per la totale incapacità del governo di dare risposte adeguate alla crisi, per il drammatico stato di abbandono in cui versa il Mezzogiorno, per l'accentuarsi oltre ogni limite prima conosciuto delle diseguaglianze, per la distruzione progressiva del welfare, per le condizioni disperate in cui versa una generazione consegnata ad una precarietà economica ed esistenziale senza via di uscita, per l'attacco sistematico al lavoro e ai diritti sindacali, per la persecuzione razzista scatenata contro i migranti. Tutto questo ed altro ancora è totalmente fuori dalla scena.
Il Pd è pateticamente inerte, autisticamente immerso nel proprio duello interno, senza che si intraveda su quali progetti si svolga la contesa, giacché - per dirla con Franceschini - «chi oggi vota Pd non sa che cosa vota». Il sindacato, l'altro attore potenziale di una svolta di impronta sociale, o è consegnato - come Cisl e Uil - alla più docile subalternità alla Confindustria e al governo oppure, come la Cgil, traccheggia da troppo tempo, con il motore imballato, sostanzialmente ininfluente tanto nella crisi quanto nella vicenda politica del Paese. Quanto alla sinistra, a noi, per essere più espliciti, fra i pochi a stare nei modi possibili dentro le lotte che si accendono e si spengono in ogni dove, compete provare a mettere in campo una proposta, produrre uno scatto, che aiuti a rompere questa mortifera coazione al silenzio che abbandona le sorti del Paese all'esito di un conflitto tutto interno al blocco sociale e politico dominante. Da qualche parte bisogna pur cominciare. Il primo appuntamento è quello del 19, promosso - come più sopra ricordato - dalla Federazione della stampa. E se fossimo capaci di trasformarlo in una manifestazione di popolo, capace di dire, insieme, che l'Italia non può più essere governata da un caudillo, e che serve tornare alla lettera e alla sostanza della Costituzione antifascista?
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