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lunedì 7 settembre 2009

Un partito di sinistra

Il Pd verso il congresso.
Speciale, [20].
L’ex ministro sabato a Lodi per sostenere la sua mozione al congresso del Pd ma i seguaci di Franceschini mugugnano.
Bersani invoca un “ritorno a sinistra”.
«Sogno un partito popolare e vicino ai problemi della gente».
Rassegna stampa - Il Cittadino di oggi, Matteo Brunello.


Parla di un partito che ha bisogno di ritrovare la sua carta d’identità, di riprendersi le sue radici. Un soggetto che sia in grado di lanciare messaggi nuovi, elaborare un “pensiero autonomo”. E che sia di natura “popolare”, ovvero vicino ai problemi della gente, e al contempo orgoglioso di essere anche di sinistra. «Non potrei fare il segretario se mi fosse impedito di pronunciare la parola sinistra - dice Bersani -. Un concetto inteso come promozione di uguale dignità di uomini e donne del mondo». Inoltre una formazione di impronta «liberale», capace cioè, nella sua interpretazione, di dare maggiori regole al mercato.Ecco il partito democratico che sta progettando Pier Luigi Bersani, che nel pomeriggio di sabato ha illustrato a Lodi i punti chiave della sua mozione. Di fronte ad un folto pubblico, ha esordito spiegando i motivi della sua candidatura a segretario nazionale: «Ho deciso di farlo quando c’era ancora Veltroni, nel momento in cui ho capito che un pezzo del nostro mondo non si trovava più. Non capiva dove stavamo andando». E poi ha cercato di delineare le ragioni di questo apparente smarrimento della base: «In questi anni siamo stati poco sicuri di noi stessi - afferma - abbiamo concesso troppo all’eclettismo, ovvero ci siamo un po’ annacquati, perdendo un po’ di qua e di là». Per questo ha invocato la necessità di provare realizzare un «prodotto nuovo», capace di affondare le radici le passato e, da qui, guardare oltre. «Con questo non voglio essere considerato un passatista, non è mia intenzione ricreare né la Dc né il Pci. Semmai, con una battuta, direi che voglio contribuire a realizzare l’Avis, un’associazione dove ognuno contribuisce insieme per realizzare un fine». Tema chiave poi quello delle alleanze, con l’annunciata apertura ad altre forze d’opposizione. «Vocazione maggioritaria non vuole dire chiusura in sé stessi - osserva - ma la storia insegna che se vuoi essere un grande partito devi essere generoso con gli alleati». E qui l’ex ministro ha citato il modello dell’alleanza allargata nel centro sinistra, senza proporre di tornare proprio a quella formula. «L’Ulivo è stato un grande movimento civico di riscossa». Inoltre nel corso del suo intervento ha toccato il delicato nodo del rapporto con le questioni etiche. E qui è stato abbastanza netto: «Volere un partito laico non significa annacquare le convinzioni etiche e religiose, ma rivendicare un’autonoma responsabilità della politica. Quindi se fai il parlamentare, non puoi pensare di ragionare solo per la tua coscienza, anche perché non te l’ha ordinato il medico di fare il parlamentare». E, tra i molti argomenti sviscerati (tra cui il ruolo dell’opposizione al governo Berlusconi), ha messo al centro il problema dell’organizzazione del partito, per cui ha suggerito di superare la divisione tra «elettori e iscritti». Infine, tra i molti big della politica locale e lombarda (tra gli altri anche Filippo Penati), hanno preso la parola anche l’ex sindaco di Lodi, Aurelio Ferrari, la giovane Laura Tagliaferri e il coordinatore locale della mozione Bersani, l’assessore comunale Simone Uggetti. Poi il segretario regionale, Maurizio Martina, che ha anche invitato tutti i sostenitori e iscritti Pd a cominciare a darsi da fare per i prossimi appuntamenti elettorali, tra cui le comunali di Lodi.
A margine, anche un commento critico da parte del consigliere provinciale Pd, Fabrizio Santantonio, sostenitore della mozione Franceschini: «Con queste tesi si torna indietro, è un’involuzione rispetto alla genesi del Pd. In questo modo Bersani si dimostra un passatista».


Il discorso del candidato alla segreteria.
Bersani: noi siamo un partito di sinistra.

Il Giorno di ieri, Guido Bandera.

«L’ho detto e lo ripeto, non posso fare il segretario di un partito senza poterlo definire di sinistra». Con questo biglietto da visita Pierluigi Bersani, dopo la visita di Dario Franceschini altrettanto applaudita, si è presentato ieri alle 17 alla festa del Pd al Capanno, nello stand del «tombolone» davanti a una folla che l’area dibattiti non poteva contenere. Con lui, Filippo Penati, il segretario regionale Maurizio Martina, Simone Uggetti e Gianfranco Concordati. Presente, ma defilato, anche Giuseppe Russo, segretario provinciale. Si è visto anche per qualche istante il sindaco Lorenzo Guerini. Giusto in tempo per incassare da Martina l’«in bocca al lupo» per le prossime elezioni, «sfida importante anche per la Lombardia». Bersani, intanto, è partito sui temi economici: «Non servono maghi che profetizzano la ripresa. La situazione sta in dati semplici: chiudiamo l’anno con un Pil più basso del 5 per cento. E il Governo non ha fatto nulla, se non spostare soldi come i carri armati di Mussolini: sempre gli stessi». Punto nodale del discorso, però, l’organizzazione del partito e il suo modello. «Il nostro è un dibattito alla luce del sole, tutti i partiti fanno congressi, tranne quelli con un padrone».
Quello che Bersani propone è «un partito di sinistra, popolare e liberale e laico». Bacchettata inevitabile ai cattolici, «quando uno diventa parlamentare non decide sulla sola base della sua coscienza, ma su quella di tutto il Paese». Bersani parla anche di «dare un’identità certa. Qualcuno — dice — mi accusa di volere rifare il Pci o la Dc: io voglio fare l’Avis. Gente pronta ad accettare disciplina a muoversi sempre per un’idea, con le orecchie a terra, per sentire i bisogni della gente. Un partito che è capace di andare a Ballarò, ma non sa mettere un volantino in una fabbrica è inutile. Bisogna recuperare lo spirito civico di coinvolgimento che apparteneva al primo Ulivo». Da ripensare — secondo Bersani — il meccanismo delle primarie: «Bisogna ripartire col tesseramento. Sembra quasi che dopo le primarie a quei quattro milioni di persone che sono venute a votare noi abbiamo detto arrivederci e grazie. Invece dobbiamo superare l’idea che elettori e tesserati siano cose distinte».
(20 - continua)
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