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lunedì 7 settembre 2009

L'incapacità politica del premier

Dopo gli attacchi all'informazione due o tre cose su premier e stampa.
Rassegna stampa - Corriere della Sera di oggi, Ernesto Galli Della Loggia.

Se c'era bisogno di una prova dell'incapacità del presidente del Consiglio di gestire i conflitti, anche di natura personale, in cui si trova coinvolto egli l'ha data con la querela ai giornali nei giorni scorsi. Gestire i conflitti, intendo, nell'unico modo in cui un uomo politico può e deve farlo: vale a dire politicamente.
L'espressione «gestire politicamente» può significare tante cose: dal cercare di venire in qualche modo a patti con l'avversario, al pagare il prezzo che c'è da pagare, al rilanciare su altri piani con una forte iniziativa che imponga all'agenda politica di girare decisamente pagina, fino al fare finta di nulla. E invece, di fronte agli attacchi personali che gli stanno piovendo addosso da mesi, Berlusconi non ha fatto niente di tutto ciò. Anzi, con la querela alla Repubblica e all'Unità ha aggiunto benzina al fuoco della polemica. Perché? Perché egli non capisce l'importanza della suddetta gestione politica e/o,non sa metterla in opera, si può rispondere.
Ma forse c'è una ragione più semplice (e in certo senso più sostanziale): perché non è nel suo carattere, e Berlusconi sa bene che è proprio nel suo carattere, nel suo spontaneo modo di muoversi, di parlare, di reagire, che sta la ragione principale del suo successo come politico outsider. Un temperamento leggero e insieme pugnacissimo; e poi ottimista, sicuro e innamorato di sé come pochi e naturalmente disposto all'improntitudine guascona, all'iniziativa audace e fuori del consueto: questo è l'uomo Berlusconi, e questa ne è l'immagine che ha conquistato lo straordinario consenso elettorale che sappiamo.
Perché mai un uomo cosi dovrebbe preoccuparsi di trovare una soluzione politica ai conflitti che riguardano la sua persona? Che poi della sua aggressiva indifferenza possano scapitarci le istituzioni non è cosa che possa fargli cambiare idea. Se una cosa è certa, infatti, è che il presidente del Consiglio non è quello che si dice «un uomo delle istituzioni».
È l'opposto, semmai: un uomo pubblico a suo modo «totus politicus», l'uomo della politica democratica ridotta al suo dato più elementare, quello del risultato delle urne.
Ma c`è un altro aspetto della questione da considerare. Ed è che per gestire, e possibilmente chiudere, politicamente i conflitti è essenziale una condizione: bisogna che il conflitto possa concludersi alla fine con un compromesso.
Non pare proprio però che sia tale, che sia un conflitto «compromissibile», quello in cui è coinvolto da settimane Silvio Berlusconi. Un conflitto che è partito dall'accertamento di alcuni aspetti indubbiamente libertini della sua vita privata - a proposito dei quali vogliamo ricordare che il Corriere è stato il primo a dare notizia dell'inchiesta di Bari nonché delle gesta dell'ormai purtroppo famosa Patrizia D'Addario - ma che tuttavia è subito diventato motivo per decretare l'incompatibilità dello stesso Berlusconi rispetto al suo ruolo di presidente del Consiglio. Chi dubiti che di questo si tratti, ricordi come suonano testualmente alcune delle famose domande che hanno condotto alla querela contro il giornale che le ha pubblicate: «Lei ritiene di poter adempiere alle funzioni di presidente del Consiglio?», e ancora: «Quali sono le sue condizioni di salute?». Mi chiedo quale risposta sensata, anche volendo, si possa dare a domande del genere, le quali, come ognuno capisce, già in sé contengono l'unica possibile da parte dell'interessato («lo ritengo eccome», «sono sano come un pesce»). E le quali domande, dunque, non hanno valore se non come puro strumento retorico: per affermare in modo indiretto, ma precisissimo, che Berlusconi, a motivo del suo stile di vita, non sarebbe adatto a fare il capo del governo. Il che ci porta al punto più delicato: il rapporto tra la stampa e il potere, sul quale a proposito del caso Avvenire hanno già scritto ottimamente su queste colonne sia Massimo Franco che Sergio Romano.
Personalmente sono convinto che la legge debba essere di manica larghissima nel consentire alla stampa un'amplissima libertà di critica nei confronti degli uomini politici, anche ai limiti della calunnia, come accade per esempio negli Stati Uniti dove, per non incorrere nei rigori della legge, basta che anche chi scrive il falso non ne sia però espressamente consapevole.
Da questo punto di vista, dunque, l'iniziativa del presidente del Consiglio, accompagnata per giunta dalla richiesta di un risarcimento astronomico, è sbagliata e riprovevole: essa ha di fatto un innegabile contenuto di intimidazione censoria verso i giornali presi di mira.
Con la stessa sicurezza, però, si può dubitare fortemente che rientri tra i compiti della libera stampa l'organizzazione di interminabili, feroci campagne giornalistiche, non già per invocare - come sarebbe sacrosanto - che i reati eventualmente commessi dal presidente del Consiglio siano perseguiti (dal momento che nel suo libertinismo di reati non sembra esservi almeno finora traccia), ma per chiedere di fatto le sue dimissioni, adducendo che egli sarebbe comunque, per il suo stile di vita, «inadatto» a ricoprire la carica che ricopre. In una democrazia, fino a prova contraria, decidere se qualunque persona è adatta o inadatta a guidare il governo, non è compito dei giornali: è compito degli elettori e soltanto degli elettori. Anche se la loro decisione può non piacere.
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