Domani batte De Gasperi.
Sua la premiership più lunga della storia d'Italia.
Rassegna stampa - Quotidiano nazionale, Franco Cangini.
Passò quel tempo che in Italia «i governi cambiavano come il gusto del mese nelle gelaterie». Gustosa metafora usata da Clinton, presidente degli Stati Uniti, per rappresentare a un vertice della Nato il salto di qualità introdotto nella politica italiana dall'avvento di D'Alema alla presidenza del Consiglio. Voleva essere un augurio di lunga durata per il premier ex comunista, che portava in dono la partecipazione italiana ai bombardamenti sulla Serbia, ma non portò fortuna. Questione di poco tempo e la rivincita elettorale di Berlusconi avrebbe ricondotto la politica italiana al ciclo di stabilità che si credeva estinto con l'età dell`oro della Repubblica: quando De Gasperi prese il timone e lo tenne durante sette governi di formula centrista. In tutto, sette anni e nove mesi che portarono l'Italia dalla monarchia alla repubblica, dalle devastazioni belliche alla vigilia del miracolo economico, da un destino incerto al radicamento tra le liberaldemocrazie.
Quel record di durata, fin qui ineguagliato, passa ai governi Berlusconi di centrodestra. Negli incontri internazionali il decano è un premier italiano, e un intero ciclo storico del Paese reca il segno della sua personalità. La stabilità non è un valore assoluto, anche se rappresenta un grosso cambiamento per un sistema politico che durante oltre mezzo secolo ha partorito, in media, un governo ogni nove mesi. Non sempre la stabilità produce grandi risultati, come nell'età di De Gasperi, ma almeno li rende possibili con l'aiuto delle circostanze storiche. Oggi molto diverse da quelle di allora. Né gl'italiani di oggi sono come quelli di allora, usciti dalla disfatta con una gran voglia di rimboccarsi le maniche, né lo sono la forza del potere pubblico e l'interesse dell'Occidente per il successo del trapianto di democrazia nell'avamposto del mondo libero in faccia all'Oriente rosso. Ciò che hanno in comune, le diverse generazioni di italiani, è l'allergia maggioritaria verso il governo della sinistra. Ha detto bene Umberto Eco: «L'Italia è un paese a larga maggioranza di destra, dove per circostanze eccezionali ha governato una coalizione di sinistra». E soprattutto all'allergia dell'Italia profonda verso la sinistra in plancia comando che Berlusconi, come De Gasperi e la Dc prima di lui, deve l'onda del consenso che lo ha portato in alto. La repulsione per l'alternativa ha deciso il risultato.
La qualità della proposta programmatica ha avuto un'importanza secondaria. Come di De Gasperi si poteva esser certi (se non altro per la fama dei suoi sponsor: l'America, la Chiesa di papa Pacelli, quel che restava della vecchia classe dirigente liberale) che la causa della libertà avrebbe avuto in lui il suo campione, così la reputazione di Berlusconi come imprenditore di successo garantiva che avrebbe fatto il possibile per alleggerire l'iniziativa individuale dal peso tributario di uno statalismo spendaccione e inefficiente.
Che poi le buone intenzioni producano tutti i buoni risultati che ci si attendono, dipende da variabili fuori controllo. L'esperienza traumatica delle variabili che condizionano l'agire politico, è stata fatta da Berlusconi già all'indomani della sua discesa in campo, nel marzo 1994. Vittoriosa contro tutte le previsioni, comprese le sue, a giudicare dagli sforzi fatti per convincere la Dc di Martinazzoli a rialzare la diga nei confronti del Pci. Inutilmente, perché l`operazione Mani pulite aveva aperto la via al Pci tra le macerie del sistema di potere democristiano.
La decisione di improvvisarsi leader politico, presa da Berlusconi nello stupore generale, aveva ispirato la vena sarcastica di D'Alema, che pregustava il piacere di vedere il padrone di Mediaset ridotto all`elemosina e peggio. Sottovalutava la presa dell'appello di Berlusconi, spinto dalla forza della disperazione unita a una illimitata fiducia in se stesso, su una maggioranza sociale tutt'altro che rassegnata alla stranezza dell'avvento al governo dell'ex Pci nel crollo del comunismo mondiale. A sua volta, Berlusconi sottovalutava, da novizio della politica, la reazione di rigetto del Palazzo nei confronti dell'intruso armato solo del mandato popolare. Dopo sette mesi, l'illusione che la stanza dei bottoni di Palazzo Chigi fosse ancora capace di far presa sulla realtà, come al tempo di De Gasperi, era svanita. Per Berlusconi, ricacciato all`opposizione, cominciava l'apprendistato politico.
Ancora una volta, nessuno si aspettava che avrebbe superato la traversata del deserto per avere la sua rivincita. Probabilmente non ci sarebbe riuscito senza l'involontario aiuto di una sinistra rissosa e inconcludente che, alla prova del governo, ha confermato le peggiori previsioni. Da allora, Berlusconi ha potuto contare sulla maggioranza elettorale, anche se non sempre convertita in maggioranza parlamentare. Come quella, eccezionalmente larga, che sostiene il suo quarto governo di coalizione (Partito della libertà e Lega Nord). Nonostante i contraccolpi della crisi economica globale sulla dissestata finanza pubblica e su un sistema produttivo in affanno, il premier Berlusconi è ancora forte del consenso della maggioranza sociale e dello sbandamento dell`opposizione. Ma la incessante e virulenta campagna di delegittimazione condotta contro di lui ha prodotto guasti evidenti, soprattutto all'estero.
L'uomo ha la tempra del combattente, non è tipo da capitolare al linciaggio morale usato come arma impropria per compensare l'handicap democratico che rende questa sinistra soccombente nella prova delle urne. Naturale aspettarsi dal protagonista, ormai di lungo corso, della scena politica che reagisca al tentativo di bollirlo nel fango perché arrivi stremato alle elezioni regionali di primavera. La via regia di uscita da questa sorta di colpo di stato permanente è l'appello al popolo. Il ricorso alla sovranità popolare, attraverso elezioni anticipate, per farla finita con un indecente gioco di massacro. Com'è nell'interesse del Paese, nonché in quello di una straordinaria avventura umana e politica meritevole di essere avviata a una degna conclusione.
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