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martedì 25 agosto 2009

L'Europa e i rifugiati

Asilo, l’Italia agli ultimi posti in Europa.
Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Ilaria Sesana.

Hai una casa e magari un buon lavoro. Ep­pure devi scappare perché militi in un partito di opposizione. Oppure perché professi una fede diversa da quella della maggio­ranza. O perché la tua etnìa è il bersaglio di una crudele guerra civile. Partono dall’Afghanistan e dall’Iraq, dal Sudan e dal Corno d’Africa con un so­lo obiettivo: arrivare in Europa e chiedere prote­zione. La maggior parte di loro però si ferma prima: l’80% dei 42 milioni di rifugiati politici censi­ti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si trova infatti nei Paesi in via di svilup­po, come il Pakistan che accoglie 1,8 milioni di persone.
Nei loro piani le mete privilegiate sono i Paesi del Nord Europa e il Regno Unito. Sarà il passaparo­la, sarà la presenza di una rete di connazionali, molti già sanno che il diritto d’asilo non è uguale in tutta Europa. Nei Paesi Bassi e in Francia, ad e­sempio, chi ottiene lo status di rifugiato ha diritto all’abitazione. Lo stato svedese offre alloggi, un sussidio di disoccupazione e assistenza sanitaria. In Inghilterra invece la prassi consolidata è quel­la di fornire un sussidio settimanale per avviarsi lungo un percorso di autonomia. Per tutti, all’ar­rivo, corsi di lingua e un sostegno all’integrazio­ne.
I numeri confermano la bontà di queste politiche. In Germania i rifugiati sono 580mila, in Gran Bre­tagna 290mila, in Francia 160mila e nei Paesi Bas­si 80mila, ben più delle 47mila persone accolte og­gi in Italia. Il trend nel nostro Paese è comunque in crescita: si è passati infatti dalle 11mila domande presen­tate nel 1998 alle 30mila dello scorso anno. Ma l’I­talia è l’unico Paese europeo a non avere ancora una legge organica sull’asilo: i diritti e doveri di chi cerca protezione vanno estrapolati dalle diverse leggi che, dalla Martelli alla Bossi-Fini, hanno regolato l’immigrazione.
Lacune di carattere legi­slativo e un sistema di accoglienza non all’al­tezza di alcuni casi eu­ropei: difficile che si va­da oltre all’offerta di dor­mitori (soprattutto nelle grandi città) per un pe­riodo limitato, mentre non esistono sussidi. Senza casa e senza lavo­ro, gruppi di rifugiati con tutti i documenti in re­gola finiscono spesso con l’occupare residence ab­bandonati (in 300, lo scorso aprile in provincia di Milano) o interi stabili (il caso dell’ex ospedale psi­chiatrico di Torino). Comprensibile che molti tentino di andare all’e­stero. Ma, al primo controllo di polizia in cui ven­gono rilevate le impronte digitali, sono rimanda­ti in Italia. È l’effetto di una normativa europea (il Regolamento Dublino II) che prevede per il ri­chiedente asilo la possibilità di presentare do­manda di protezione solo nel primo Paese euro­peo in cui mette piede. E per chi viene dall’Africa o fugge dai taleban, il primo punto d’approdo so­no i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Non possono andare avanti, né tornare indietro.
Il caso della Grecia, in questo senso, è tragicamente emblematico: solo il 2% di chi presenta domanda di protezione ottiene il riconoscimento dello sta­tus di rifugiato e chi ha avuto risposta negativa non può presentare domanda in un altro Paese. Migliaia di persone vivono così, tra baracche e campi profughi, nella speranza di arrivare clan­destinamente nel nostro Paese. Che però, sulla base di quelle stesse norme europee, non può che rimandarli indietro, dall’inferno da cui so­no fuggiti.
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