Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Ilaria Sesana.
Hai una casa e magari un buon lavoro. Eppure devi scappare perché militi in un partito di opposizione. Oppure perché professi una fede diversa da quella della maggioranza. O perché la tua etnìa è il bersaglio di una crudele guerra civile. Partono dall’Afghanistan e dall’Iraq, dal Sudan e dal Corno d’Africa con un solo obiettivo: arrivare in Europa e chiedere protezione. La maggior parte di loro però si ferma prima: l’80% dei 42 milioni di rifugiati politici censiti dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati si trova infatti nei Paesi in via di sviluppo, come il Pakistan che accoglie 1,8 milioni di persone.
Nei loro piani le mete privilegiate sono i Paesi del Nord Europa e il Regno Unito. Sarà il passaparola, sarà la presenza di una rete di connazionali, molti già sanno che il diritto d’asilo non è uguale in tutta Europa. Nei Paesi Bassi e in Francia, ad esempio, chi ottiene lo status di rifugiato ha diritto all’abitazione. Lo stato svedese offre alloggi, un sussidio di disoccupazione e assistenza sanitaria. In Inghilterra invece la prassi consolidata è quella di fornire un sussidio settimanale per avviarsi lungo un percorso di autonomia. Per tutti, all’arrivo, corsi di lingua e un sostegno all’integrazione.
I numeri confermano la bontà di queste politiche. In Germania i rifugiati sono 580mila, in Gran Bretagna 290mila, in Francia 160mila e nei Paesi Bassi 80mila, ben più delle 47mila persone accolte oggi in Italia. Il trend nel nostro Paese è comunque in crescita: si è passati infatti dalle 11mila domande presentate nel 1998 alle 30mila dello scorso anno. Ma l’Italia è l’unico Paese europeo a non avere ancora una legge organica sull’asilo: i diritti e doveri di chi cerca protezione vanno estrapolati dalle diverse leggi che, dalla Martelli alla Bossi-Fini, hanno regolato l’immigrazione.
Lacune di carattere legislativo e un sistema di accoglienza non all’altezza di alcuni casi europei: difficile che si vada oltre all’offerta di dormitori (soprattutto nelle grandi città) per un periodo limitato, mentre non esistono sussidi. Senza casa e senza lavoro, gruppi di rifugiati con tutti i documenti in regola finiscono spesso con l’occupare residence abbandonati (in 300, lo scorso aprile in provincia di Milano) o interi stabili (il caso dell’ex ospedale psichiatrico di Torino). Comprensibile che molti tentino di andare all’estero. Ma, al primo controllo di polizia in cui vengono rilevate le impronte digitali, sono rimandati in Italia. È l’effetto di una normativa europea (il Regolamento Dublino II) che prevede per il richiedente asilo la possibilità di presentare domanda di protezione solo nel primo Paese europeo in cui mette piede. E per chi viene dall’Africa o fugge dai taleban, il primo punto d’approdo sono i Paesi della sponda sud del Mediterraneo. Non possono andare avanti, né tornare indietro.
Il caso della Grecia, in questo senso, è tragicamente emblematico: solo il 2% di chi presenta domanda di protezione ottiene il riconoscimento dello status di rifugiato e chi ha avuto risposta negativa non può presentare domanda in un altro Paese. Migliaia di persone vivono così, tra baracche e campi profughi, nella speranza di arrivare clandestinamente nel nostro Paese. Che però, sulla base di quelle stesse norme europee, non può che rimandarli indietro, dall’inferno da cui sono fuggiti.
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