Proposta al Pd, donne e giovani in cima di lista.
Rassegna stampa.
Indovina dove sono... le donne del Pd? Sicuramente non nei bagni di palazzo Grazioli, ma non sono neanche dove dovrebbero: nei banchi del Parlamento Italiano (dove sono meno di un terzo dei parlamentari Pd) e in quelli del Parlamento Europeo (dove sono meno di un quarto). Come erano poco presenti nell’ultimo governo Prodi che aveva 6 ministre su 26, tutte, eccetto una, concentrate nei ministeri senza portafoglio. A differenza di quanto avviene ormai da anni in molti paesi europei e non, nessuna donna era presente nei ministeri di prima fascia (Esteri, Interno, Difesa, Tesoro).
Quali sono i motivi per questa eclatante assenza? Forse le donne sono meno capaci. Improbabile, visto che, mediamente, le donne italiane hanno superato i loro colleghi maschi nell’istruzione, nelle conoscenze delle lingue, nelle esperienze all’estero. Infatti, quando il partito ha pensato di candidare donne colte e capaci, queste hanno raccolto notevoli consensi, come illustra il caso di Lilli Gruber, prima assoluta degli eletti nelle Elezioni Europee del 2004, con più preferenze di Berlusconi.
Allora, se non sono meno capaci, forse le donne sono meno interessate ad impegnarsi in politica? Improbabile anche questo. Qualsiasi persona abbia mai frequentato uno dei tanti circoli del Pd sa che pullula di donne, spesso giovani, preparate, con una gran voglia di fare politica. Inoltre, le poche donne presenti sui banchi del parlamento hanno un indice di attività decisamente superiore a quello dei loro colleghi maschi (indice calcolato tenendo conto della presenza tra i firmatari di un atto, tra i relatori di progetti di legge, e dal numero di interventi nel dibattito).
Allora come si spiega l’assenza di donne nella gerarchia del Pd? La spiegazione più probabile è che siano assenti all’interno del Pd – come nel resto del paese – (a) un vero criterio di merito e (b) una regola contro la concentrazione del potere politico e decisionale in mano ad un unico gruppo sociale. Diversamente da molti altri paesi (incluso l’Afganistan!) in Italia non è mai stata fissata una percentuale massima di rappresentanza politica, né a livello nazionale, né all’interno del Pd. Solo così si spiega come mai i maschi ultra-cinquantenni rappresentino il 55% dei parlamentari, pur essendo decisamente una minoranza, il 17%, nella popolazione italiana.
La nostra proposta: per riequilibrare la rappresentatività dei diversi gruppi, in particolare di donne e giovani, all’interno del PD proponiamo di sfruttare la legge elettorale “porcellum”, che pur essendo discutibile sotto tutti gli altri punti di vista, è uno strumento potente per contrastare la concentrazione del potere nelle mani di un unico gruppo (i maschi ultra cinquantenni). Proponiamo una regola semplice e concreta che si può applicare ad ogni elezione nazionale, locale ed europea: il 2+3. Ogni lista elettorale del PD dovrà avere una donna ogni secondo posto e un giovane (inteso come under 40) ogni terzo. Per evitare che donne e giovani finiscano, com’è tipico, in fondo alle liste, uomini e donne si dovranno alternare e ogni terzo posto dovrà essere occupato da un/a candidato/a under 40. Fa eccezione il Senato dove, purtroppo, i giovani sono esclusi per legge e il limite di età per essere considerati “giovani” potrebbe essere posto a 45 anni.
Ovviamente, per un eventuale Governo dovrà valere una regola analoga (con 50% dei ministeri, pesati con un loro coefficiente di importanza, alle donne e il 33% ai giovani). Il 2+3 costituisce un modello semplice, immediatamente implementabile, ed efficace per dare una possente spinta al rinnovamento del PD, per promuovere la partecipazione e per far rinascere l’entusiasmo di fare politica in gruppi finora artificialmente esclusi. Come sostenitrici/tori di questo partito e suoi, potenziali, elettrici/elettori ci rivolgiamo ai tre candidati: chiediamo di impegnarsi ad applicare in futuro, in modo rigoroso il principio 2+3.
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