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lunedì 23 novembre 2009

Parliamo di acqua

Economia e società.
«L’acqua? Pubblica, privata... o non profit».

Senn: «No a battaglie ideologiche, conta il servizio. Un ruolo anche alle fondazioni».
Rassegna stampa - Avvenire, Paolo Viana, 22 novembre 2009.

Entro il 2015 la distribuzione dell’acqua pubblica sarà gestita dai priva­ti. Lo prevede la riforma dei servizi pubblici locali approvata questa settimana. Tutti i servizi affidati dai Comuni a proprie aziende («in hou­se») dovranno essere affidati con gara pubblica per rispettare la normativa europea: potranno mantere le attuali concessioni le società che cederanno almeno il 40% ai privati; se quotate in Borsa, il pubblico dovrà scendere sot­to il 30% entro la fine del 2015. Un emendamento ha previsto che l’acqua re­sti comunque un bene «pubblico»: si sta progettando un’authority che lo garantisca. Una rivoluzione imposta dalla maggioranza con un voto di fiducia ma sostenuta discretamente da ampi settori dell’opposizione, come quelli che, attraverso le amministrazioni locali, controllano i colossi delle utilities. Iride (Torino e Genova), Hera (Bologna e mezza Emilia Romagna), Enia (l’al­tra metà, cioè Parma, Piacenza e Reggio Emilia) e Acqua Veritas (Venezia) si preparano ad aprire ai privati le società che gestiscono il servizio idrico integrato. Una privatizzazione che sarà pure forzata ma porterà milioni nelle casse comunali; le grandi manovre di Borsa sono già iniziate. Non manca chi parte in pole position: il gruppo Caltagirone e la francese Suez sono già nel capitale di Acea (Roma). Veolia, altro brand transalpino, è ben piazzato nel Sud, dove gestisce la rete di adduzione ma non la distribuzione. La Cor­te costituzionale, del resto, ha sentenziato che l’erogazione del servizio e la gestione delle reti non può essere gestita separatamente, come voleva la Re­gione Lombardia. La sentenza, curiosamente, è arrivata il giorno dopo l’ap­provazione del decreto Ronchi.

Il problema dell'acqua non va ideologizzato.
Rassegna stampa - Avvenire, Giuseppe Matarazzo, 22 novembre 2009.

«Il problema dell’acqua non va i­deologizzato. C’è pubblico effi­ciente e non, c’è privato effi­ciente e non, ci sono società miste efficienti e non. L’importante è garantire una buo­na gestione del servizio e offrire la miglio­re qualità alla minore tariffa possibile per i cittadini». Il professore Lanfranco Senn, economista della Bocconi e presidente di Metropolitana Milanese, la Spa al 100% del Comune di Milano che gestisce il servizio idrico del capoluogo lombardo, non di­fende lo status quo e non è pregiudizial­mente contrario all’ingresso dei privati pre­visto dalla Legge Ronchi. E va oltre, apren­do anche agli enti non profit: «Sarebbe u­na clamorosa innovazione nel sistema».
Professore, ma c’è davvero la necessità di far entrare i privati in un bene pubblico co­me l’acqua?
Da sempre la gestione pubblica dell’ac­qua, anche in altri Paesi, è problematica. Dove il pubblico ha fallito, il ruolo dei pri­vati può dare un contributo significativo all’efficientamento di molte imprese di ser­vizio. Dobbiamo allontanarci dall’idea che 'pubblico' voglia dire proprietà o gestio­ne pubblica. Pubblico significa che è un servizio per il pubblico, per la gente e le imprese. Se in premessa viene salvaguar­data l’idea del valore della risorsa acqua come fondamentale, arriverei a dire che è indifferente il fatto che la gestione sia pub­blica o privata. Ma non è questo il proble­ma.
E qual è allora?
È di gestione e impostazione del servizio: dare una risposta adeguata ai cittadini, con un’acqua che abbia la tariffa più bassa pos­sibile e la qualità più alta. Le due cose non sono sempre facilmente coniugabili. Il te­ma della governance si lega a questo.
Mirare al risultato anche con percorsi di­versi?
Esattamente. Prendiamo due esempi: Mi­lano e l’Acquedotto pugliese. Noi abbia­mo la fortuna di pompare l’acqua dal sot­tosuolo, in Puglia sono costretti a portare l’acqua anche da centinaia di chilometri di distanza. Gestioni ed esigenze diverse.
Milano è riuscita nell’obiettivo...
A Milano abbiamo la tariffa più bassa d’Eu­ropa: 0,55 cent a metro cubo. A Parigi si pa­gano quasi 3 euro, a Berlino 4. E garantia­mo un’altissima qualità, perché abbiamo investito nelle tubature, nella manuten­zione e nei controlli per 130 milioni negli ultimi 5 anni. E prevediamo di spenderne oltre 150 nel prossimo triennio.
Ma la riforma porterà aumenti?
È probabile. Perché se si chiede ai privati di investire, inevitabilmente devono rien­trare dall’impegno finanziario e garantir­si una componente di reddito propria. Ma oggi fare investimenti e nello stesso tem­po garantire un servizio di qualità a basso costo è problematico anche per il pubbli­co.
Quali sono i nodi critici da affrontare?
Paghiamo un’arretratezza di investimenti a tutti i livelli. Ma che li faccia poi il pub­blico o il privato, sotto certe condizioni, è indifferente. Anche se sono per tenere sem­pre una componente pubblica. La Legge Ronchi prevede che imprese in house co­me Milano vendano il 40%, rimanendo con una maggioranza pubblica: questo non mi vede contrario per principio.
Però?
C’è un problema di applicazione. Se è ve­ro che ci sono in Italia situazioni virtuose e altre viziose, è fondamentale che si cor­reggano i vizi e si esaltino le virtù. La ge­neralizzazione è sempre un errore. Quello che contesto è l’applicazione automatica per tutti. Perché per Mm la soluzione pub­blica è stata vincente.
Altra questione: gli Ato.
L’esperienza non è stata esaltante. Ci si è scontrati con molte difficoltà. Ma se l’Ato funziona realmente come regolatore, può diventare virtuoso. Ancora di più in un pro­cesso di privatizzazione.
Ma fra gli azionisti è ipotizzabile l’ingres­so del non profit?
È una delle tesi che da economista so­stengo. Se riuscissimo a far gestire molti servizi da enti o fondazioni non profit, si raggiungerebbe anche l’obiettivo di inter­nalizzare gruppi di interessi anche con­trapposti, come utenti, imprese e politica, in maniera non conflittuale. Rispondendo alle esigenze di flessibilità istituzionale sen­za ideologizzare o contrapporre il pubbli­co al privato. In Galles, per fare un esem­pio, il servizio è gestito completamente da un ente non profit.
Suggerimenti importanti, ma come si concretizzano?
Dipenderà dai regolamenti attuativi, che vanno fatti presto e bene. Ammettendo formule di gestione più flessibili e diverse, per salvaguardare le esperienze più vir­tuose.

Trento e Rovereto. Un mix di efficienza E nelle case arriva anche la «gasata».
Rassegna stampa - Avvenire, Diego Andreatta, 22 novembre 2009.

Dalle sorgenti dolomitiche sgorga un’acqua fra le migliori d’Italia, ma anche gestita con criteri di qualità. Merito della società mista (gli enti pubblici sono al 65%) che il Comune di Trento e quello di Rovereto hanno costituito dieci anni fa con la fusione delle loro storiche società (la Sit e l’Asm), la partecipazione della Provincia autonoma e alcune quote di privati come la Fondazione Caritro e l’Isa (Istituto Sviluppo Atesino). Questa società denominata Trentino Servizi, perché oltre al ciclo idrico gestiva anche gas, elettricità e il ciclo dei rifiuti, da un anno si chiama Dolomiti Energia, serve ora in tutto 200mila trentini ed è ritenuta da Mediobanca una delle venti aziende italiane più dinamiche, con 900 addetti e 2 miliardi di euro di fatturato. Gestisce oltre una cinquantina di sorgenti, 1.200 chilometri di acquedotti in 17 comuni, tariffe in fascia bassa rispetto alla media italiana, un telecontrollo 24 ore su 24 per monitorare eventuali perdite, un software di gestione esaltato dalle riviste specializzate. E con garanzie di qualità e trasparenza: sul sito si possono verificare i valori delle singole sorgenti. «La nostra formula mantiene al pubblico la regia – spiega l’a.d. Marco Merler – ma punta anche a garantire una gestione di alta efficienza e ottimi servizi di accessibilità per gli utenti». Il call center è stato premiato fra i 5 migliori d’Italia, ed è nata qui, col supporto della Cooperazione di consumo trentina, l’idea di promuovere il consumo di acqua del rubinetto, attraverso lo sconto per chi acquistava un kit gasatore. Anche la 'gasata', insomma, per molti trentini si fa in casa.
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