World Habitat Day: Amnesty International chiede ai governi africani di porre fine agli sgomberi forzati.
In occasione del World Habitat Day, svoltosi lunedì 5 ottobre, Amnesty International ha chiesto ai governi africani di porre fine agli sgomberi forzati, che ogni anno lasciano centinaia di migliaia di persone senza casa. Nella maggior parte dei casi, questi sgomberi avvengono in assenza di procedure corrette, di consultazione, di adeguato preavviso, di risarcimento e facendo ricorso a un uso eccessivo della forza.
"È totalmente inaccettabile che i governi di tutto il continente continuino ad agire in violazione delle norme internazionali e regionali, tra cui la Carta africana sui diritti umani e dei popoli" – ha dichiarato Erwin van der Borght, direttore del Programma Africa di Amnesty International. "I governi hanno il dovere di garantire la fine degli sgomberi forzati e di assicurare che coloro che li hanno subiti ricevano una sistemazione alternativa adeguata e possano avere accesso a rimedi giudiziari efficaci".
Amnesty International ha documentato casi di sgomberi forzati in Angola, Ciad, Egitto, Ghana, Guinea Equatoriale, Kenya, Nigeria, Sudan, Swaziland e Zimbabwe. Le conseguenze possono essere catastrofiche, specialmente per coloro che vivono già in povertà.
"Gli sgomberi forzati non significano solo perdere la propria abitazione e i propri beni ma anche rischiare di non poter più avere accesso ad acqua potabile, cibo, servizi igienici, lavoro, salute e istruzione" – ha sottolineato van der Borght.
I più recenti sgomberi forzati nel continente africano, tra luglio e agosto, hanno avuto luogo in Angola, Ciad, Kenya e Nigeria.
In Angola, tra il 20 e il 26 giugno scorso, circa 3000 famiglie sono state sgomberate dai quartieri di Iraque e Bagdad, nella capitale Luanda. Le loro case sono state demolite e i beni personali distrutti. Le 3000 famiglie sono rimaste senza un riparo.
In Ciad, dal febbraio 2008, decine di migliaia di persone sono rimaste senza tetto a seguito di una campagna di sgomberi nella capitale N’Djamena. Gli ultimi sono stati eseguiti quest’anno a luglio e altre persone vivono ancora sotto la minaccia dello sgombero.
In Kenya, nel luglio di quest’anno, 3000 persone sono state sgomberate dall’insediamento di Githogoro, nella capitale Nairobi. Gli sgomberi sono avvenuti senza adeguato preavviso e senza aver consultato gli interessati.
Molti di questi sono rimasti senza riparo, costretti in alcuni casi a vivere tra le macerie delle proprie case e senza accesso ad acqua potabile, servizi igienici e cure mediche.
In Nigeria, ad agosto, il governo dello stato di Rivers ha dato il via allo sgombero forzato di migliaia di persone per fare spazio a una multisala cinematografica. Altre migliaia di persone rischiano di subire la stessa sorte. La maggior parte delle vittime ha denunciato di non essere stata adeguatamente consultata. Il governo non ha predisposto alcuna sistemazione abitativa alternativa.
In molti paesi, tra cui Burkina Faso, Costa d’Avorio, Ghana, Kenya, Nigeria, Senegal, Togo e Zimbabwe, vittime di sgomberi forzati e attivisti di Amnesty International hanno manifestato contro questa pratica distruttiva.
"La gente non starà a guardare mentre le loro abitazioni vengono illegalmente distrutte dai loro governi" – ha concluso van der Borght.
Nell’ambito della campagna globale "Io pretendo dignità", Amnesty International chiede a tutti i governi africani di adottare linee guida sugli sgomberi, basate sui "Principi di base e le Linee guida delle Nazioni Unite sugli sgomberi e dislocamenti determinati da progetti di sviluppo" e che siano in linea con le norme internazionali in materia di diritti umani.
Amnesty International ritiene che la povertà sia una questione di diritti umani e ha lanciato, nel maggio di quest’anno, una campagna dal titolo "Io pretendo dignità", per chiedere la fine delle violazioni dei diritti umani che creano e acuiscono la povertà. La campagna mobiliterà persone di ogni parte del mondo per pretendere che i governi e le aziende ascoltino la voce di coloro che vivono in povertà e rispettino i loro diritti.
Secondo il diritto internazionale gli sgomberi forzati (sgomberi messi in atto senza le garanzie procedurali appropriate, inclusa la possibilità di chiedere un risarcimento attraverso un tribunale e senza le assicurazioni di un alloggio alternativo adeguato) costituiscono una grave violazione di una serie di diritti umani incluso il diritto a un alloggio adeguato. Gli sgomberi devono essere effettuati solo come ultima soluzione e quando tutte le alternative possibili sono state esplorate e tutte le garanzie procedurali appropriate, in linea con gli standard europei e internazionali sui diritti umani, siano state messe in atto.
Tre anni fa l’omicidio di Anna Politkovskaya. Amnesty Iinternational chiede al Presidente russo Medvedev di agire per porre fine agli attacchi contro gli attivisti per i diritti umani.
Tre anni dopo l’omicidio di Anna Politkovskaya, le violenze e le intimidazioni contro gli attivisti per i diritti umani in Russia e nel Caucaso settentrionale sono ancora in aumento. Lo ha denunciato Amnesty International, che ha scritto una lettera al presidente della Russia, Dmitry Medvedev, sollecitando misure autentiche per porre fine agli attacchi e un impegno concreto per portare di fronte alla giustizia i responsabili.
"Il fatto che chi ha commesso e chi ha ordinato l’omicidio di Anna Politkovskaya sia ancora libero è la testimonianza di quanto le autorità russe non abbiano indagato a fondo su crimini del genere" – ha dichiarato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International.
L’elenco delle persone che hanno denunciato le violazioni dei diritti umani in Russia (attivisti, avvocati, giornalisti) e che, con ogni probabilità per questo motivo, sono state assassinate o hanno subito intimidazioni, è lungo.
Quest’anno a gennaio Stanislav Markelov, un avvocato che aveva lavorato a stretto contatto con Anna Politkovskaya, è stato assassinato a Mosca. Anastasia Baburova, una giornalista, è caduta al suo fianco.
Attacchi del genere, nei confronti di persone impegnate a proteggere i diritti umani, sono comuni nel Caucaso settentrionale. Il 15 luglio, Natalia Estemirova, esponente del centro per i diritti umani Memorial, è stata sequestrata nella capitale cecena, Grozny. Il suo corpo è stato ritrovato poche ore dopo nella vicina Inguscezia. La vittima aveva ricevuto in passato numerose minacce a causa del suo impegno in favore dei diritti umani.
L’omicidio di Natalia Estemirova ha avuto luogo in un clima in cui gli attivisti vengono pubblicamente minacciati dalle autorità cecene, che li accusano di essere sostenitori dei gruppi armati illegali. All’inizio del mese, Adam Delimkhanov, parlamentare russo e stretto alleato del presidente ceceno Ramzan Kadyrov, era apparso alla Tv Cecena minacciando "i cosiddetti difensori dei diritti umani, amici dei terroristi". In un’intervista rilasciata a Radio Liberty poco dopo l’omicidio di Natalia Estemirova, il presidente Kadyrov ha definito irrilevante il lavoro della vittima, aggiungendo che si trattava di una persona "priva totalmente di onore e del senso della vergogna".
"È indispensabile che le indagini sulle uccisioni di Natalia Estemirova, Stanislav Markelov, Anastasia Baburova e Anna Politkovskaya siano condotte con imparzialità e indipendenza e che non manchino, ove emergano indizi, di investigare sulle complicità di esponenti del governo, compresi i livelli più alti" – ha aggiunto Khan.
Amnesty International continua a essere preoccupata per l’incolumità di esponenti di Memorial tanto nel Caucaso settentrionale quanto a Mosca.
Akhmed Gisaev, poco prima dell’uccisione di Natalia Estemirova, stava seguendo insieme a lei il caso di una presunta esecuzione extragiudiziale in un villaggio ceceno. Da allora viene pedinato e riceve minacce.
Zarema Saidulaeva, presidente dell’associazione umanitaria Salviamo la generazione, è stata assassinata insieme al marito, Alik Dzhabrailov, l’11 agosto. I due sono stati sequestrati di fronte alla sede dell’associazione, a Grozny, da uomini che si erano qualificati come personale di sicurezza. Poche ore dopo, i loro corpi sono stati ritrovati nel portabagagli della loro automobile.
A Makhachkala, capitale del Daghestan, è stato recentemente chiuso l’ufficio delle Madri del Daghestan per i diritti umani. Due esponenti dell’associazione, Svetlava Isaeva e Gulnara Rustamova, insieme ad altri attivisti, avvocati e giornalisti locali, sono stati additati con nome e cognome come sostenitori e fiancheggiatori dei gruppi armati illegali. Sui volantini distribuiti nella capitale si invitava ad eliminarli.
"È davvero giunto il momento che il presidente Medvedev mostri la volontà politica di stare dalla parte dei diritti umani in Russia e che agisca contro questo clima di paura e intimidazione" – ha concluso Khan.
Amnesty International chiede al presidente Medvedev di garantire indagini approfondite e processi in linea con gli standard internazionali su questi crimini. A tre anni dall’omicidio di Anna Politkovskaya, le autorità russe devono porre fine agli attacchi contro coloro che agiscono per proteggere i diritti umani in Russia.
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