Dai blog - Movimento Antilega, Blog del Movimento Antilega per l'Italia, 8 ottobre 2009.
La lega è una peste, catalizza i sentimenti di cattiveria di rancore e di intolleranza per etnicizzare la crisi sociale presente. Questo è il succo dell’analisi lucida e spietata che snocciola il poeta Andrea Zanzotto durante la trasmissione “L’infedele” su La7.
Zanzotto è l’anima della sua terra, quel Veneto che il poeta vede sempre più associato al razzismo e alla degenerazione etica voluta dalla lega. Il suo è uno sfogo accorato proprio perché come giustamente sostiene, la lega catalizza sentimenti che in fondo “non appartengono alla tradizione veneta”. È un modo per affrancarsi, per marcare con forza il suo totale distacco dai deliri del Carroccio. Lui che, con la sua letteratura radicata nella tradizione locale, con quel linguaggio vicino al dialetto della sua gente potrebbe rappresentare l’essenza del pensiero identitario, delegittima la lega con chiarezza e senza ipocrisie.
Zanzotto affonda con evidente efficacia su quei temi che sono i punti di forza della lega. Quando sostiene che la lega “vuol convincere ogni paese che è meglio di quello vicino” esprime uno dei limiti principali del partito di Bossi. L’identità intesa come chiusura a spirale dove il localismo viene portato all’estremo, dove l’identità viene costruita sulla distruzione dell’appartenenza ad una comunità ad una storia più ampia di quella del proprio cortile.
Ma il passaggio più significativo è quello relativo al pericolo che la memoria sia minacciata “dalla falsa difesa delle radici”, Zanzotto dice che la tipicità di un popolo non è qualcosa di immobile o immutabile, ma è un processo in continua evoluzione. La lega invece sembra volere fermare il percorso della storia o riportala a momenti che servono esclusivamente a legittimare la sua presenza politica. La lega interviene sulla memoria della propria gente come a volere cancellare tutto ciò che è scomodo.
In un’analisi frettolosa e semplicistica che solo un leghista può fare, il ministro dell’agricoltura, il leghista Luca Zaia stizzito sostiene che Zanzotto “avrebbe voluto che i veneti rimanessero per sempre quelli che erano. Poveri, magari ignoranti”. Niente di più sbagliato. Zanzotto vuole riportare ai leghisti la memoria di quando erano poveri ed ignoranti proprio perché un popolo che dimentica le proprie origini non può guardare avanti. E’ un operazione opposta a quella della lega che tratta le popolazioni del nord come quei benestanti parvenu che per adeguarsi al nuovo ceto sociale dimenticano la provenienza e la miseria. Quella della lega è “una falsa difesa delle radici” perché sono radici artificiali, sapientemente create per sottolineare un’appartenenza forzata ad una “razza” di eletti. Non molto diversa dall’operazione che fecero i nazisti in Germania. E così in questo quadro si collocano le manifestazioni rituali di ampolle magiche, la rimozione delle targhe dedicate ai martiri della mafia o i deliranti proclami di prosindaci veneti che invocano la salvaguardia dei cani non stranieri. Sarebbe tutto grottesco se non fosse terribilmente serio.
E così mentre la lega pretende che lo Stato finanzi un colossal sul Barbarossa un teppista sradica un ulivo dedicato a Peppino Impastato. Le radici scomode devono essere rimosse e la memoria ricostruita.
Zanzotto ha toccato un nervo scoperto della lega, parlando da settentrionale e da veneto. Sicuramente l’ha fatto anche da italiano.
Questa storia ha per sfondo Riese, un piccolo paese nel trevigiano, dove una maggioranza bulgara (oltre il 70% degli elettori) garantisce il governo del paese ad una giunta monocolore leghista. Alla gara d’appalto per l’assegnazione del servizio di trasporto alunni del Comune è risultata vincitrice una ditta della provincia di Napoli. E qui è scoppiata la rivolta dei cittadini di Riese che non riescono a sopportare la presenza di autisti napoletani al servizio dei loro bambini e nello stesso tempo che un’azienda “straniera” abbia superato la storica ditta locale di trasporti che da più di dieci anni in paese si era assicurata l’appalto del trasporto scolastico.
È scesa in campo la stessa ditta trevigiana risultata sconfitta nella gara appalto, che ha accusato la ditta napoletana di avere vinto l’appalto presentando un ribasso maggiore in quanto beneficia di agevolazioni da parte della Regione Campania. La ditta trevigiana è stata spalleggiata dal Presidente regionale dei bus operator della confartigianato del Veneto che ha richiesto chiarimenti sugli appalti nel trasporto accusando “È ora di smetterla. Ci sono giri di denaro strani attorno a questi appalti”. Vediamo nel dettaglio come stanno i fatti.
Il sindaco, leghista, è stato costretto a concedere l’appalto alla ditta che aveva presentato il prezzo più basso, come avviene in tutte le parti d’Italia senza dover far pesare nella sua scelta (suo malgrado) l’aspetto etnico e razziale, ma non è detto che prima o poi questi saranno parametri indispensabili nelle gare d’appalto nei paesi leghisti. Incalzato dai suoi concittadini il sindaco si è difeso e poi ha assicurato: «Certo che li terremo sotto controllo. Se sbagliano, pagheranno ».
C’è necessità di sgombrare il campo da ogni dubbio. I leghisti ci devono dire se intendono rispettare le leggi dello stato o se ritengono di dovere creare mille repubblichette a seconda dell’occorrenza. Non mi risulta che in questi anni i parlamentari della lega, tanto dediti alla tutela dell’identità locale in riferimento alla scuola, alla pubblica amministrazione, abbiano mai chiesto con forza la priorità nell’assegnare gli appalti pubblici a ditte locali. Sarebbe stato legittimo e avrebbe dato credibilità ad un movimento che si richiama (almeno a parole) ai principi federalisti. Ma sicuramente questo avrebbe contrastato con l’interesse dei tanti, tantissimi imprenditori del nord che riescono a vincere ben più appetibili appalti nel resto dell’Italia. Non è giusto pestare i piedi a chi ci garantisce il consenso ed il federalismo lo preferisce “fai da te” del genere “decido io a casa mia e faccio quello che gli… amici mi permettono di fare a casa degli altri”. Paolo Borsellino lo sapeva bene.
Ma ai leghisti ci sentiamo di dire «Certo che vi terremo sotto controllo. Se sbagliate, pagherete e anche caro».
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