Rassegna stampa - Famiglia Cristiana, Beppe Del Colle, 18 ottobre 2009 - tratto da MicroMega, 13 ottobre 2009.
Fra le due più notevoli notizie della scorsa settimana, una ha avuto il massimo di esposizione sui media: la bocciatura del "lodo Alfano" da parte della Corte costituzionale; l’altra è stata pubblicata in qualche pagina interna, o del tutto ignorata dai Tg: tre milioni di persone vivono in Italia sotto la soglia di povertà alimentare, fissata fra i 233 e i 252 euro al mese di spesa per comprarsi da mangiare al Nord, fra i 207 e i 233 al Centro e tra i 196 e i 207 al Sud.
La differenza fra la diffusione delle due notizie si spiega fin troppo facilmente. La prima offriva ai giornalisti e ai politici l’ennesima occasione per schierarsi pro o contro Berlusconi. La seconda induceva a ricordarsi che in Italia ci sono migliaia di persone che ogni giorno perdono il posto di lavoro (il che costituisce nel 60 per cento dei casi la ragione principale della caduta sotto la soglia della povertà alimentare, soprattutto fra le famiglie con tre o più figli) e molto probabilmente non leggono giornali. Perché parlarne?
Così il Cavaliere è stato ancora una volta al centro di tutto, e lo sarà quasi certamente almeno fino al termine della presente legislatura perché, come egli stesso ripete a ogni occasione, è "l’eletto del popolo", e ciò gli consente l’intangibilità concreta totale, checché si dica alla Consulta, nei tribunali, in Parlamento, sui giornali. Si tratta di un principio ignoto in una qualsiasi democrazia liberale dalla fine delle monarchie assolute, ma ribadito ogni giorno all’opinione pubblica italiana.
La bocciatura del "lodo Alfano" è stata commentata dai sostenitori di Berlusconi come il frutto di una "presa in giro", di un "inganno comunista", di una contraddizione con la precedente sentenza della stessa Corte a proposito del "lodo Schifani", la sospensione dei procedimenti giudiziari in corso nei confronti delle maggiori cariche istituzionali.
La contraddizione consisterebbe nella presenza, nel giudizio di incostituzionalità per il "lodo Alfano", dell’articolo 138 della Costituzione, che mancava invece in quella per il "lodo Schifani" (in quell’articolo si afferma che per modificare la Carta è necessaria una maggioranza qualificata in Parlamento). I difensori della decisione attuale della Consulta hanno fatto notare che anche l’altra volta l’articolo 138 era implicito, anzi assorbito come "ogni altro profilo di illegittimità costituzionale" in quello disegnato nell’articolo 3 – citato in entrambe le sentenze –, in virtù del quale tutti i cittadini sono uguali di fronte alla legge. Come che sia, nulla ha impedito a Berlusconi di rispondere con estrema decisione, in tutti i toni (anche la volgarità contro Rosy Bindi) non solo ai critici interni, ma anche alla stampa straniera, e infine contro il presidente della Repubblica.
Il premier è stato polemico con tutti e tre i capi dello Stato con i quali ha avuto a che fare: Scalfaro, Ciampi e Napolitano, che sintetizzano le tre culture politiche alla base della Costituzione del 1948, cattolico-democristiana, laica-liberale-repubblicana e socialcomunista.
Di quale cultura politica sia sintesi Silvio Berlusconi non è facile capire: dai progetti di riforma che va annunciando si può intravedere qualche forma inedita di presidenzialismo plebiscitario indenne da censure istituzionali. A cominciare dalla Giustizia.
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