Il ministro non si pente delle bordate alla sinistra. Il Pdl lo appoggia.
Rassegna stampa - QN, Andrea Cangini, 21 settembre 2009.
C'è chi lo chiama «golpe» e chi «élitismo», ma il concetto è lo stesso: vogliono sovvertire il risultato elettorale. Poiché anche in politica la lingua batte dove il dente duole, non c'è da stupirsi che siano proprio gli ex socialisti al Governo a denunciare il rischio di oscure manovre volte a rovesciare Berlusconi.
«Nel '92 - dice Gianni De Michelis - pur avendo una maggioranza più ampia di quella attuale successe quel che successe e noi non fummo svelti nel capirlo, è dunque comprensibile che chi ha vissuto sulla propria pelle quella stagione abbia oggi antenne più sensibili degli altri». Renato Brunetta, ad esempio, che ieri si dichiarava nient'affatto pentito di aver denunciato un «golpe» strisciante e al quale è giunta la copertura politica del coordinatore del Pdl, Sandro Bondi: «Brunetta ha squarciato il velo di ipocrisia e ha dato voce alla maggioranza finora silenziosa degli italiani». E l'ex socialista Maurizio Sacconi, che in verità fu il primo. Era maggio quando il ministro del Welfare se la prese col «capitalismo di relazione parassitario» e con la «borghesia élitaria» che mal digerisce la presenza al Governo di un outsider come Berlusconi: «Se vogliono comandare, facciano un partito e si presentino alle elezioni», disse allora. Ieri, poi, ha avuto un sussulto. Gli è bastato leggere l'editoriale del Corriere con cui Tommaso Padoa-Schioppa, ex banchiere centrale europeo, ex ministro di Prodi e attuale tecnocrate in proprio, raccontava di un'Italia dove la democrazia è ormai «gravemente minacciata». Se la minaccia c'è, ha risposto Sacconi, «viene da coloro che pensano ricorrentemente di sovvertire i risultati elettorali, cioè quelli voluti dal popolo». I poteri forti, dunque, e più in generale i membri di un establishment autoreferenziale al quale Padoa-Schioppa non è certo estraneo. «È gente - ha recentemente osservato il ministro dell'Economia Tremonti, altro ex socialista - a cui della parola democrazia piace solo la seconda parte, il kratos, e considerano il demos come un optional». Nel '92, la Prima repubblica cascò sotto i colpi della magistratura e dei giornali.
Nel '94, magistratura e giornali acuirono la spaccatura con la Lega e portarono alla crisi il primo Governo Berlusconi. «E oggi - riflette De Michelis - sembra scattato il medesimo meccanismo». Gli attacchi di Repubblica al premier, le inchieste di Bari, il prossimo giudizio della Consulta sul lodo Alfano: secondo l'ex ministro craxiano «ancora una volta l'Italia si dimostra un Paese anomalo perché ancora una volta un Governo forte che poggia su una maggioranza ampia rischia di cadere per ragioni che nulla hanno a che vedere con il suo operato e con la politica».
Anche se gli assetti di Mediobanca sono diversi da allora e i giornali confindustriali non sembrano sul piede di guerra, la tesi del complotto ordito dai padroni del vapore è assai diffusa. Captata per prime dalle «antenne» degli ex socialisti, è stata poi rilanciata dal leghista Calderoli ed appartiene ormai alla retorica di buona parte dei dirigenti del Pdl. Sembra però un'alzata di scudi preventiva. C'è la consapevolezza che la storia delle escort, gli umori del premier e il suo rapporto con Fini offrano del Governo un'immagine di debolezza e, come dice il ministro Matteoli (mai stato socialista), «quando la politica si mostra debole entrano regolarmente in gioco altri e per nulla democratici 'poteri'».
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