Nell'intervista a Il Tempo il ministro delle Infrastrutture Matteoli conferma la tesi di Brunetta: «Qualcuno complotta ai danni del Premier».
«Poteri forti contro governo».
Gelmini e Bondi: manovre di palazzo per sovvertire l'esito del voto alla faccia degli italiani.
Rassegna stampa - Il Tempo, Alessandro Bertasi, 21 settembre 2009.
«Colpo di Stato? Non credo che il ministro Renato Brunetta intendesse un vero e proprio golpe. Sicuramente però, analizzando i continui attacchi perpretrati contro il presidente del Consiglio, si capisce che sia in atto una campagna di destabilizzazione contro Silvio Berlusconi e tutto il suo governo». Il Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Altero Matteoli, non ha dubbi: «I continui attacchi al Premier sottolineano che qualcuno si sta impegnando moltissimo per creare scompiglio, e mi creda, sarebbe riduttivo pensare che dietro questa campagna ci sia solamente qualche quotidiano. Nessuno ha la forza di attaccare Berlusconi a meno che, la regìa dell'eventuale complotto, non sia in mano ai poteri forti».
Ministro Matteoli, non crede che i poteri forti attentino alla solidità del governo anche perché vedono spaccature all`interno del Pdl?
«Spaccature? Se si riferisce a Fini si sbaglia e mi darà ragione dopo l'incontro di domani pomeriggio a Montecitorio tra Berlusconi e il presidente della Camera. Un meeting che hanno voluto entrambi e che porterà ad un chiarimento».
Beh se parla di chiarimento allora qualche problemino c'era.
«Allora partiamo dall`inizio. Il Pdl è nato per espressa volontà sia di Forza Italia che Alleanza nazionale. Era inevitabile che mettendo assieme due grandi partiti - non dimentichiamo che An aveva il 13 per cento dei consensi - la strada non sarebbe stata delle più facili. Ora che ci siamo uniti, dobbiamo creare un confronto democratico al suo interno. Questo è quello che vuole Fini. Creare dibattito all'interno di un partito che ha unito culture molto diverse tra loro: cattolici, laici, riformisti e conservatori».
Ma i panni sporchi non sarebbe meglio lavarli a casa propria e non a suon di dichiarazioni alla stampa?
«Certo. La storia di come Fini gestiva An ne è un esempio. Noi siamo cresciuti nelle sezioni del partito e se dovevamo discutere per non dire litigare - lo facevamo in federazione. Questo è ciò che manca nel Pdl. Non c'è ancora il confronto e così abbiamo scelto i giornali per smuovere un po' le acque».
Crede che l`unica perplessità di Fini sia allora la mancanza di dialogo?
«Quella è la sua principale preoccupazione perché è convinto che se si arriverà al dialogo allora si stabilirà anche una democrazia all'interno del partito. Solo se ciò avverrà si potranno discutere anche quegli argomenti politici decisamente minoritari - e aggingerei problematici - dentro al partito come l'immigrazione o il testamento biologico. Ci si confronta e poi si mette tutto ai voti come siamo sempre stati abituati a fare».
Riusciranno Fini e Berlusconi a trovare un accordo?
«Certamente. E ciò accadrà se Fini riuscirà a non volere un Pdl rigido come erano i partiti di ottocentesca memoria e se Berlusconi sarà disposto a promuovere una maggiore colleggialità nelle decisioni».
Colleggialità che diventerà utile nel il momento in cui si decideranno i nomi dei candidati alle Regionali.
«Questo personalmente non mi spaventa. Dal 1994 ad oggi tra An e Fi abbiamo sempre deciso tutto assieme; perché non dovremmo farlo ora che siamo tutti nello stesso partito? Mi piacerebbe però che prima di parlare di candidati pensassimo a cercare nuovi alleati».
Cercarne di nuovi o convincere i vecchi amici dell'Udc a tornare?
«Questo mi piacerebbe. Però non con accordi a macchia di leopardo, ma correndo assieme in tutte e tredici le Regioni. Un'alleanza senza ricatti e senza mediazioni al ribasso, anche perché il 95 per cento degli elettori dell'Udc preferisce il centrodestra al centrosinistra»
E poi?
«Una volta stabilite le alleanze, pensiamo ai candidati. E, spero non si voglia ricorrere al manuale Cencelli o alla spartizione delle poltrone secondo la percentuale del 70 per cento a Forza Italia e 30 per cento ad Alleanza Nazionale. Pensiamo invece a candidare le migliori personalità che abbiamo a disposizione indipendentemente dalla corrente di provenienza».
E la Lega come si inserirà in questa spartizione delle Regioni?
«Con il buon senso, come dovremmo fare tutti. Partiamo dal presupposto che anche negli altri partiti ci sono ottimi candidati. Il nostro compito però è quello di anteporre sempre e comunque l'interesse dell'Italia o delle Regioni».
Quindi il Veneto dovrebbe rimanere a Galan?
«Sarei rimasto sorpreso se la Lega non ne avesse chiesto la presidenza. La domanda però è: "Perché spodestare Galan che ha ben governato fino ad oggi?"».
Cambiando area politica, tra Bersani, Franceschini o Marini chi vedrebbe bene come leader del Pd?
«Un quarto non c'è? Bersani è un comunista che va in cerca di voti tra i cattolici, Franceschini è un cattolico che si è spinto all`estremismo rinnegando il suo essere democristiano e Marino ha solo voglia di apparire. Con questi nomi è difficile scegliere».
E se il quarto nome fosse quello di Di Pietro?
«Sarebbe il miglior alleato di Berlusconi. Fino a quando ci sarà lui Berlusconi guadagnerà sempre più voti».
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