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sabato 19 settembre 2009

Obiettivo «par condicio» e legge elettorale

Sette Giorni.
Berlusconi-Fini. Un faccia a faccia dopo lo scontro.

Rassegna stampa - Corriere della Sera, Francesco Verderami, 19 settembre 2009.

Sono stati prima alleati e poi cofondatori di un partito. Ma quando Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini si vedranno, sarà un incontro tra poteri che perseguono ormai obiettivi diversi, consapevoli però di dover trovare un'intesa, quantomeno un compromesso. Sarà elettricità pura. Sarà vietato il cortocircuito.
Da un paio di giorni il premier e il presidente della Camera avevano capito che non era più il tempo di farsi la faccia feroce, che era giunta l'ora di vedersi. L'altro ieri Fini ha dato un segnale, dalle colonne del Messaggero si è detto pronto all'incontro, e a tarda sera il Cavaliere l'ha chiamato per concordare l'appuntamento.
Fuori i secondi, sarà un faccia a faccia senza mediatori. L'intesa dovranno trovarla da soli, chiedendo e offrendo garanzie che solo loro possono assicurarsi: sulla struttura del partito, sull'azione di governo, sul ruolo delle istituzioni e su alcune riforme. Nessuno potrà gridare scandalizzato al baratto, è la politica con le sue regole e i suoi rapporti di forza. Se è vero che Berlusconi ha le chiavi d'accesso su tutte le questioni poste da Fini la scorsa settimana, è altrettanto vero che solo «Gianfranco» può aprire a «Silvio» la strada per superare delle difficoltà finora insormontabili per il presidente del Consiglio. Nulla di segreto, è già tutto pubblico. I due ex alleati, che oggi sono due poteri, non hanno mai smesso infatti di lanciarsi dei messaggi.
L'ha fatto Fini a Gubbio, quando dopo aver chiesto una sorta di rifondazione del Pdl, in un inciso ha offerto a Berlusconi una delle contropartite: «...E per quanto riguarda la riforma dei regolamenti parlamentari, sono pronto a metterla all'ordine del giorno dell'attività della Camera...». L'ha fatto Berlusconi a Porta a Porta, quando - dopo aver detto che tra lui e Fini ci sono «due visioni diverse» - ha dato la propria disponibilità a istituzionalizzare gli incontri con un «caminetto».
Chiaro, no? Talmente chiaro che il presidente della Camera non se l'è presa per l'epiteto che il premier gli ha rivolto: «Gianfranco è un professionista della politica». «Silvio l'ha detto per difendersi».
I due poteri hanno bisogno l'uno dell'altro in questa fase. L'ex capo della destra si era sentito tagliare «l'erba sotto i piedi» nel Pdl, perciò chiede la consultazione permanente tra «cofondatori», la codificazione delle riunioni di partito e dei vertici di maggioranza, «che garantirebbero peraltro a Berlusconi di proporsi come il baricentro dell'alleanza con Bossi». Traduzione: c'è da riequilibrare l'assetto interno del Pdl e da ridimensionare il ruolo della Lega, «a cui finora è stato concesso più di quanto il suo peso politico le consentirebbe». Per esempio, offrire il candidato governatore al Carroccio in Veneto, vorrebbe dire «sopravvalutare la forza dell'alleato». Così com'è impensabile non decidere «insieme» il candidato governatore nel Lazio.
Berlusconi potrebbe convenire, anche perché il tema delle Regionali è per lui cruciale. Il Cavaliere deve vincere nel 2010 per evitare che le fibrillazioni mediatiche a cui è sistematicamente sottoposto diventino vere e proprie «scosse» politiche nel governo. E per vincere, oltre alla Lombardia e al Veneto, dovrà conquistare i più grandi bacini elettorali del Centro-Sud: Lazio, Campania e Puglia. Se così fosse, non ce ne sarebbe più per nessuno, almeno fino al 2013.
L'impresa non è semplice. Intanto perché la legge elettorale, il Tatarellum, rischia di far disperdere il voto nei rivoli delle liste locali. Eppoi perché mettere la propria faccia nella campagna elettorale di tante regioni, è più complicato di quando in Sardegna Berlusconi si scelse il candidato e lo portò al successo.
E allora il premier getterà sul tavolo della trattativa la riforma del sistema di voto, con l'introduzione dello sbarramento al 4% e, soprattutto «almeno la modifica» della par condicio, una legge «illiberale», che - fosse per lui - andrebbe abolita. Una settimana fa ha sollevato nuovamente la questione con i dirigenti del Pdl. Tutti conoscevano a memoria il ragionamento di Berlusconi: «Non è possibile che un partitino dell'1 per cento possa avere in tv lo stesso spazio della prima forza politica in Italia». In molti gli hanno fatto notare che «non sarà facile» cambiare le norme in pochi mesi. Nessuno immaginava quale sarebbe stata la controreplica del premier: «E se lo facessimo per decreto?».
Il tema della modifica della par condicio è stato messo in agenda da Berlusconi, che da giorni tiene nella propria cartellina la dichiarazione con cui il leader del Pd, Franceschini, ha rifiutato l'invito di Vespa al Porta a Porta delle polemiche: «La mia presenza sarebbe da intendere come una sorta di par condicio, per coprire l'incredibile scelta della Rai di stravolgere il palinsesto. Ma io non mi renderò complice di questa operazione». Per il Cavaliere è come se il capo dell`opposizione avesse sconfessato la legge, sdoganando di fatto la sua operazione. Se però la pratica non è stata ancora istruita, è perché c'è prima l'incontro con Fini, «e Berlusconi - sosteneva giorni fa il presidente della Camera - deve comprendere che è anche nel suo interesse se si pone termine a una politica barricadera. Deve capire che il dialogo può venirgli utile, che può essere funzionale anche all'attività del governo in Parlamento». Un ragionamento che sembra valere per la riforma dei regolamenti, per la modifica del sistema di voto e magari anche per una nuova par condicio.
Fuori i secondi: sarà un incontro tra poteri. Sarà domani o lunedì?
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