L'analisi. Uscire adesso un favore ai talebani.
Rassegna stampa - Il Messaggero, Ennio Di Nolfo, 19 settembre 2009.
Il trauma provocato dall'eccidio di Kabul suscita - non senza ragione molte tese discussioni. È ben vero che quandosi partecipa a un conflitto certe conseguenze, anche le più infauste, sono inevitabili. Lo mostrano le centinaia di vittime appartenenti alle Forze armate degli altri Paesi dell'Isaf in primo luogo quelle americane e quelle britanniche. Lo mostrano ora le vittime italiane, la cui amara fine non può, in Patria, essere liquidata come un evento bellico fatale ma deve essere considerata come un'occasione per ripensare a ciò che gli italiani e gli altri alleati dell'Isaf stanno cercando di fare in un'area così remota e impervia.
Infatti è troppo facile liquidare ciò che è avvenuto dietro la facciata delle solenni celebrazioni funebri, in attesa di dimenticare tutto come un frutto della fatalità. È invece necessario ritornare a riflettere sul senso di un impegno italiano e internazionale proprio in Afghanistan e non in altri Paesi, dove pure l'importazione della democrazia sarebbe necessaria ma che motivi di opportunità spingono lontano dal proscenio. Perché, basta chiedersi, imporre la democrazia agli afghani e non ai birmani, che stanno all'altro estremo della stessa area geografica? L'idea che le forze internazionali siano in Afghanistan, su mandato dell'Onu, per sottrarre questo Paese alla teocrazia dei Talebani e per instaurare un regime democratico si allontana nel tempo come un'immagine in dissolvenza. È sufficiente, per capirlo, pensare che l'attacco agli italiani è stato contemporaneo all'affermazione di Karzai di essere il vincitore delle elezioni presidenziali, un'affermazione che gli osservatori internazionali si rifiutano di condividere, enumerando le centinaia di migliaia di schede elettorali falsificate o contestate. Oggi è chiaro che Karzaí non rappresenta più in Afghanistan la democrazia che l'Isaf avrebbe dovuto portare a quel Paese.
Benché la recrudescenza degli attentati possa forse essere considerata, ottimisticamente, come una risposta ai successi delle forze internazionali, è ben chiaro che Karzai appartiene solo al non ristretto numero dei capi locali che, specialmente nell'ambito dell'etnia pashtum, della quale egli è un autorevole esponente, si contendono l'esercizio del potere. Così la speranza che le forze dell'Isaf e i loro progetti politici abbiano la meglio, proprio nel momento in cui sono le stesse potenze occidentali a spingere Karzai verso un compromesso con i capi talebani moderati, si trasforma in una prospettiva controproducente rispetto al tema della democrazia afghana.
Nella ricerca delle spiegazioni di fondo appare allora più convincente quanto afferma Fareed Zakaria, il direttore dell'edizione internazionale di Newsweek, il quale spiega la scelta dell'obiettivo come frutto diretto dell'alleanza tra i talebani e al-Qaeda. La lotta non avrebbe come proprio scopo la democratizzazione dell'Afghanistan bensì il controllo e la sconfitta del terrorismo globale. Non a caso, la presenza dell'Isaf in Afghanistan avrebbe impedito un successivo dilagare incontrollato delle azioni terroristiche nel mondo.
Può dunque, in questa cornice, l'Italia decidere da sola? In linea di principio nulla lo impedisce. Invece, di fatto, una decisione unilaterale, che il senso di responsabilità pare del resto escludere, distruggerebbe la credibilità internazionale del nostro Paese. Esso invece, proprio anche per il prezzo umano appena pagato, può dare un contributo più rilevante partecipando alla ripresa o, meglio, all'intensificarsi del dibattito, già avviato da tempo anche negli Stati Uniti, sul senso, gli obiettivi e i tempi di ciò che si vuole fare. Può ragionevolmente contribuire alla ricerca di formule di compromesso che non segnino una vìttoria sempre più difficile ma rendano efficace sul piano pratico il controllo di una situazione potenzialmente esplosiva.
Zakaria suggerisce che questo obiettivo possa essere sintetizzato dalla seguente formula: rendere l'Afghanistan «un Paese inospitale per al-Qaeda e i gruppi dì terroristi... Ovviamente con la cooperazione dell'esercito e dell'Intelligence pakistani». Si tratta, come appare in piena evidenza, di un ripensamento minimalista ma anche di un ripensamento che darebbe un senso nuovo a una missione che, in caso diverso, potrebbe durare molto a lungo, senza raggiungere i risultati che essa si prefiggeva. Su questo piano, il contributo dell'Italia può essere assai più utile che non con le decisioni unilaterali.
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