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mercoledì 16 settembre 2009

L'«orribile segreto»

Quei misteri d’Italia sotto gli occhi di tutti.
Rassegna stampa - l'Unità, Simone Collini, 16 settembre 2009.

La cosa va avanti ormai da settimane. Enrico Deaglio legge sui giornali estivi che Cosa nostra chiese una delle reti di Berlusconi, legge che l’arresto di Riina avvenne dopo una trattativa tra Stato e mafia, poi che la latitanza di Provenzano fu permessa dal comportamento dei vertici dei carabinieri. Legge e sorride, perché di queste «inchieste dimenticate» ne ha parlato nel libro che ha pubblicato a giugno, «Patria 1978-2008». Poi legge di Berlusconi che attacca la procura di Palermo per la «follia» di occuparsi di fatti del ‘92 e ‘93, del fido alleato Bossi che dice che lo scandalo delle escort «è stato messo in piedi dalla mafia, che ha in mano le prostitute», e dell’irrequieto Fini che invece dice: «Se ci sono fatti nuovi le indagini vanno riaperte, anche dopo 15 anni, soprattutto se non c’è nulla da nascondere, come sono sicuro, su Fi e Berlusconi». E allora il sorriso si trasforma in qualcosa di più.
I filoni di Falcone e Borsellino
Perché, spiega Deaglio, «gli anni ‘92, ‘93 e ‘94 sono quelli che mi hanno impegnato di più nelle ricerche, ma anche quelli che hanno determinato la storia d’Italia»: «C’è il crollo del sistema politico, ufficialmente dovuto a Tangentopoli, avvengono i più grandi attentati, Falcone, Borsellino, poi Firenze, Milano, Roma, dopodiché ci sono delle elezioni che ci consegnano un’Italia solo qualche mese prima incredibile, con un partito inesistente, aziendale che conquista la maggioranza. Una situazione mai vista in Europa, sia per il livello di violenza che per i risvolti politici». I singoli fatti sono più o meno noti. Ma a metterli uno accanto all’altro viene fuori quello che Deaglio definisce «l’orribile segreto». Questo. «Sicuramente sia Falcone che Borsellino si stavano occupando di due filoni d’indagine. Un canale di riciclaggio di denaro tra la Sicilia e Milano, tramite il gruppo Ferruzzi, cioè Raul Gardini, che era entrato in Borsa a metà degli anni ‘80 con la Calcestruzzi Spa, al 50% di proprietà di Cosa nostra attraverso i fratelli Buscemi di Palermo, alleati con Riina. E, secondo filone di cui parla apertamente Borsellino nella famosa intervista del maggio ‘92, del rapporto tra Berlusconi, Dell’Utri e Mangano». Nel libro Deaglio scrive dell’incontro a Milano, nel ‘79, tra il capo della mafia di Palermo Stefano Bontate, il palazzinaro Mimmo Teresi e «questo Silvio Berlusconi di cui gli aveva parlato così bene il loro contatto milanese, Marcello Dell’Utri». Il quale convenne insieme agli altri due che «Vittorio Mangano era stata la persona giusta per proteggere Silvio Berlusconi ».Unsalto in avanti, fino al febbraio 83 e alla maxi retata nella notte di San Valentino.«Uno sconosciuto Vittorio Mangano è in mezzo alla lista» degli arrestati per traffico di droga e riciclaggio. «Il forziere sta in alcune banche milanesi (la Banca Rasini è la più esposta), dove hanno depositato i loro risparmi i prestanome dei bossi di Palermo Salvatore Riina e Bernardo Provenzano». Nota oggi Deaglio che «nessuno lo ricorda più ma quella era la banca in cui era impiegato il padre di Berlusconi ». Nessuno si ricorda più di molte altre cose, aggiunge.
La nascita di FI
Come le motivazioni, formali e non, che hanno portato le procure di Firenze e Caltanissetta all’archiviazione dell’accusa a Berlusconi e Dell’Utri di essere i mandanti delle stragi del ‘93, quella «friabilità del quadro indiziario» a cui danno vita le deposizioni dei pentiti ma anche il fatto, scrive Deaglio, che ambedue le procure, tra il ‘98 e il 2000, erano «intimorite dal nome degli indagati ». Un ex premier e ora leader dell’opposizione e «l’artefice della nascita di un nuovo partito in Italia, in soli tre mesi». «Marcello il mediatore », è infatti il titolo del paragrafo in cui Deaglio racconta di come l’allora dirigente di Publitalia abbia mandato «messaggi rassicuranti anche per la cerchia che ruota intorno a Bernardo Provenzano e a Leoluca Bagarella: sta nascendo un nuovo partito in Italia, anche avrà a cuore le giuste richieste siciliane». Dell’Utri è stato condannato in primo grado a nove anni per concorso esterno in associazione mafiosa. «Se ora dovesse essere condannato in appello - ragiona a voce Deaglio - a Dell’Utri non dovrà fare molto piacere pensare che il suo business e political partner può invece contare sulla protezione del Lodo Alfano».

Magistratura, il piano Gelli è già tra noi.
Rassegna stampa - l'Unità, Luigi De Magistris, 16 settembre 2009.

Il potere politico in Italia, soprattutto dopo Tangentopoli, ha tentato in ogni modo - con leggi, provvedimenti amministrativi e condotte varie - di limitare fortemente l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. La ragione è evidente: impedire il controllo di legalità in un Paese in cui il tasso di collusione e corruzione nella politica e nella pubblica amministrazione è assai elevato. La Costituzione - nata dalla dittatura nazi-fascista - sancisce la piena indipendenza della magistratura quale garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Fu la P2 nel suo disegno eversivo di sovvertimento delle istituzioni repubblicane a prevedere - nel cosiddetto piano di rinascita democratica - la sottoposizione del Pubblico Ministero al potere esecutivo.
Oggi il Governo, guidato da un piduista, tenta di portare a compimento quel disegno autoritario, cominciando ad introdurre la "dipendenza" del Pubblico Ministero dalla Polizia Giudiziaria (che dipende dal Governo). La Costituzione prevede, invece, che il pm dispone della Polizia Giudiziaria ed il Codice di Procedura Penale statuisce - così comevoluto dai magistrati più impegnati nel contrasto al crimine organizzato, a cominciare da Giovanni Falcone - che la direzione delle indagini sia affidata al pm, proprio perché la Costituzione ne garantisce l’autonomia e, quindi, la possibilità di investigare in tutte le direzioni senza subire direttive di tipo politico. La maggioranza vuole, invece, approvare una legge che stabilisca che il pmnonpossa prendere notizie di reato di propria iniziativa ma agire solo su segnalazioni della Polizia Giudiziaria: anche un bimbo comprende come il contrasto alla mafia ed alla corruzione non saranno certo le priorità dettate dall’agenda politica. Si deve anche evidenziare, con la medesima forza, che l’indipendenza della magistratura non è minacciata solo dall’esterno,maanche dall’interno dello stesso ordine giudiziario. In questi anni i poteri forti (quello politico, ma anche economico- finanziario e quelli occulti) - nella difficoltà di approvare impunementeleggi che attentando all’autonomia dei magistrati violano la Costituzione - hanno tentato, riuscendoci anche bene, di penetrare la magistratura dall’interno, avvicinandola semprepiù ai centri di potere ed isolando i magistrati liberi. Questo è avvenuto distribuendo incarichi extragiudiziari di lusso, affidando loro ruoli apicali nei ministeri, attribuendogli posti in enti pubblici vari. Spesso accade che vi è una carriera parallela interna alla magistratura: aver ricoperto incarichi apicali nella magistratura associata, aver avuto ruoli di vertice nelle stanze del Ministero della Giustizia, aver svolto un ruolo nel Csm: diventano spesso elementi decisivi per incarichi direttivi.
Una parte della magistratura è attraversata da tratti tipici della partitocrazia,come dimostrano le degenerazioni delle cosiddette correnti. Il Consiglio Superiore della Magistratura è condizionato non solo dalla politica dei membri nominati dal Parlamento,maanche dalle correnti che influenzano la progressione in carriera dei magistrati, i procedimenti disciplinari, le nomine degli incarichi direttivi, le scelte dei formatori professionali, le individuazioni dei relatori ai corsi: in breve, la professione dei magistrati. È un sistema di potere che non ha nulla a che vedere con l’indipendenza della magistratura - anzi la corrode dall’interno - tanto da divenire il Csmpiù che l’autogoverno,un organoche pretende di governare i magistrati (anche con l’ausilio del potere disciplinare che ha consolidato il ruolo gerarchico della Procura Generale della Cassazione, sempre di più, come negli anni dal 1950 al 1980, gendarme della deontologia della magistratura con l’ambizione di conformare condotte ed orientamenti dell’intero ordine giudiziario, con un assetto verticistico della magistratura che è in contrasto con la concezione del potere diffuso dei giudici come voluto dai costituenti). La magistratura deve godere di assoluta indipendenza nell’esercizio delle funzioni; non deve mai svolgere valutazioni di opportunità sino a quando vigerà il principio costituzionale di obbligatorietà dell’azione penale; non deve subire pressioni di nessun tipo, né politiche, né mediatiche, né dell’opinione pubblica; è illegittimo, ad esempio, che un pm dia informazione a mezzo stampa circa la posizione di indagati, salvo poi dire, se si tratta di politici e non di cittadini qualsiasi, che si tratta di un atto dovuto; così come un Procuratore della Repubblica non può nel corso di indagini preliminari aventi ad oggetto anche politici - quasicomese questi avessero uno status speciale rispetto agli altri esseri umani - dire pubblicamente chi risulta coinvolto e chi no: altrimenti le indagini a che servono? Proprio a verificare eventuali responsabilità penali.
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