Casini annuncia la nascita di un nuovo partito centrista con l'obiettivo di neutralizzare la Lega. Ma l'appello a tutti gli anti-bossiani nasconde l'ultimo disperato tentativo di fermare il Federalismo.
Rassegna stampa - La Padania, Alessandro Montanari, 15 settembre 2009.
Dopo che Pier Ferdinando Casini ha chiamato tutti a convergere nel Grande Centro per combattere insieme la crociata anti-leghista è tutto più chiaro. È più chiaro a chi dia veramente fastidio questo Governo ed è più chiaro cosa dia veramente fastidio di questo Governo: il Carroccio e la sua determinazione nel portare a compimento la rivoluzione federalista che sradicherà, una volta per tutte, i parassitismi lasciatici in eredità da quel centralismo assistenzialista che fece tanto bene alla Dc ma tanto male al Paese. È quindi piuttosto naturale, in fin dei conti, che, ora che tutto sta per finire, il tentativo di organizzare un'ultima disperata resistenza al cambiamento arrivi proprio dai neo-democristiani dell'Udc.
Dopo essere stati gli unici in tutto il Parlamento a votare contro il Federalismo, provano adesso a impedirne l'applicazione con una precipitosa quanto confusa chiamata alle armi di tutti gli anti-bossiani sulla piazza. Questo, dice apertamente Casini, si candida ad essere il Grande Centro: un esercito anti-leghista.
Che contro la Lega si stessero coagulando insofferenze assai ben rappresentate in Parlamento e sulla carta stampata, del resto, lo si era capito dagli strani avvenimenti degli ultimi mesi. L'assalto a Berlusconi, quotidiano, progressivo e su più fronti, era già stato interpretato su queste colonne come l'assalto a un Governo colpevole di trascurare Poteri&Palazzi e di assecondare eccessivamente le richieste del Popolo. Colpa dell'asse Berlusconi-Bossi, non a caso tacciato a ogni pie' sospinto dell'accusa di populismo.
Poi, però, quando s'è visto che il patto non saltava, il fuoco ha cominciato a interessare più direttamente la Lega, messa alla gogna per tutto ciò che diceva o faceva: dai respingimenti al reato d'immigrazione clandestina ai salari differenziati passando persino per questioni obbiettivamente minori come le proposte su bandiere e dialetti.
Il tutto sembra assumere un senso politico, tuttavia, solo quando Casini mette le mani sul tavolo per incassare il bottino di tanto martellamento. Il leader dell'Udc annuncia la nascita di un nuovo partito orgogliosamente neo-democristiano, quindi orgogliosamente neocentralista, con la missione dichiarata di neutralizzare la Lega; e il primo invito, guarda caso, lo rivolge a Gianfranco Fini, che per differenziarsi dal pdl berlusconiano aveva puntato tutte le proprie fiches sull'anti-leghismo.
Le grandi manovre in atto, comunque, non spaventano il Carroccio e al contrario confermano quanto sia diffusa la sensazione che Bossi sia vicino alla realizzazione di quella rivoluzione della cui forza storica, già nel '93, individuava con chiarezza oggi impressionante le fondamenta politiche. Spiegando l'impostazione errata della sinistra, allora ancora ferma alla visione marxista della lotta di classe, nel libro "La rivoluzione" il leader del Carroccio affermava: «Borghesia e proletariato, come classi distinte, non esistono più. Ma i dogmi ideologici sono duri a morire». Sulle ceneri del mito della rivoluzione marxista, però, Bossi ne andava disegnando un'altra. «La rivoluzione della Lega scriveva - è cosa molto diversa e moderna, potremmo definirla l'unica rivoluzione socioeconomica in un sistema industriale avanzato: è l'avvento del liberismo federalista. Grazie ad esso, il blocco sociale dominante dei burocrati assistiti viene scalzato dal blocco sociale dei produttori: imprenditori e lavoratori dipendenti. Il vero spartiacque degli interessi non è quello indicato dal marxismo, ma quello che separa il blocco composto da grande industria sovvenzionata, enti e società pubbliche, categorie assistite, dal blocco antagonista: quello produttivo, composto da imprese private e concorrenziali, libere professioni, servizi funzionanti». La Lega, come tutti sanno, è già diventata la rappresentante di questa alleanza di interessi: prima era il partito dei piccoli imprenditori e ora ruba anche il voto operaio alla sinistra.
Quello che il Carroccio pone, in effetti, non è e non è mai stato un problema di Nord contro Sud. «Quando affermiamo che il Federalismo della Lega ha una forte base socioeconomica - scriveva Bossi non intendiamo dire, naturalmente, che i produttori stiano tutti nella Repubblica del Nord e i ceti parassitari al CentroSud. La tesi è semmai che la Padania ha bene o male trovato un equilibrio, sia pure insoddisfacente, tra le due classi in conflitto mentre nel Mezzogiorno i burocrati assistiti hanno imposto un assetto economico (...) dove il settore pubblico si è esteso in maniera abnorme, moltiplicando i posti di lavoro e riducendo la redditività cosicché oggi la Padania, che sciolta dai vincoli dello Stato centralista sarebbe in grado di competere con la Germania, si trova alle prese con un fardello più pesante da trainare, dell'ex Ddr». Questo, però, osservava il Segretario, «non deve spingere la Padania ad abbandonare il Mezzogiorno. Non è questo l'obiettivo della rivoluzione economica federalista. La locomotiva padana è pronta a tirare ancora, ma a patto che venga rivoluzionato il sistema economico complessivo secondo le regole del liberismo federalista».
E qui veniamo al punto essenziale, giacché è chiaro che «le regole del liberismo federalista» piacciono a chi vive del proprio lavoro mentre dispiacciono a chi vive sulle spalle altrui. In Parlamento Casini ha fatto una scelta di campo: ha scelto di ergersi a paladino di questa seconda categoria, in coerenza al vecchio centralismo democristiano. Ma per impedire che la porta girevole dell'eterno ritorno al passato venga chiusa per sempre ha capito di avere poco tempo. Comprendiamo quindi la concitazione che ha improvvisamente trasformato un moderato come lui in un guerriero che sfida il nemico a duello. La Lega, infatti, ha portato la sua rivoluzione alla fase decisiva. Dopo avere messo insieme imprenditori e operai, ha ottenuto il Federalismo fiscale e ora si appresta a produrre i decreti attuativi che lo renderanno effettivo. Manca solo un passo, l'ultimo. O si ferma la macchina adesso o non la si ferma più.
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