Gratis è bello. Quanto libero non si sa.
Rassegna stampa - Articolo di Alessandro Zaccuri, Avvenire di oggi.
Ce lo ripetono da anni e ormai un po’ ci siamo convinti: alla fine quello digitale sarà un mondo perfetto e trasparente, dominato dai princìpi della gratuità e della semplicità.
Non ci sarà più neppure bisogno di connettersi, perché l’essere umano sarà cablato alla nascita. Dopo di che basterà meno di un clic e avremo quello che ci serve.
Subito, senza sforzo e senza necessità di pagare. Per il momento, purtroppo, il mondo digitale conserva ancora diverse imperfezioni che lo accomunano al mondo reale. Se in rete qualcosa è gratis, per esempio, non è perché non costa nulla, ma perché qualcuno, in qualche modo, sta pagando. Questione complessa, destinata a complicarsi ancora di più se ci si sposta nel territorio dell’informazione. A chi appartengono le notizie che circolano sul web? Secondo gli internauti più intransigenti le news sono di chi le legge, con tante grazie ai servizi di aggregazione che permettono di organizzare veri e propri giornali virtuali, personalizzati e in continuo aggiornamento. Semplice, no? E gratuito, oltretutto. In realtà l’operazione non è così immediata, né a costo zero. Se ne sono resi conto gli editori italiani, che da tempo contestano i criteri adoperati da Google News, il più diffuso e stimato fra gli aggregatori di notizie: la selezione viene effettuata attingendo ai siti di quotidiani e periodici, che non sono in alcun modo remunerati per il materiale che forniscono. Le testate sono libere di sottrarsi a questa campionatura, ma così facendo si troverebbero automaticamente escluse dal motore di ricerca. Una situazione sulla quale ora ha deciso di indagare l’Antitrust, per la quale il comportamento di Google sembra profilare un quadro di posizione dominante. Il popolo della rete non l’ha presa bene. Forum e blog già parlano di censura, come sempre accade quando si accenna a una qualsiasi forma di restrizione nella libera prateria di Internet. Nella quale, in effetti, le recinzioni sono già presenti da tempo e con esse i legittimi profitti che operatori come Google riescono a raccogliere canalizzando contatti e introiti pubblicitari. Anche nel mondo digitale, infatti, se qualcuno paga, qualcuno guadagna. Il vero problema, tuttavia, non è di natura economica, ma culturale. Negli ultimi anni il mondo dell’informazione è già stato travolto dalla tempesta del citizen journalism, caratterizzata dall’idea che le notizie siano una sorta di materiale grezzo, che chiunque può ottenere e divulgare senza bisogno di mediazione. Un meccanismo che a volte funziona in modo addirittura eroico, ma che spesso porta a esaltare il dettaglio a discapito del quadro d’insieme, contravvenendo così alle più elementari regole della professione giornalistica. Professione, sì, perché essere pagati per informare è – a ben pensare – un motivo di libertà, non una forma di assoggettamento. E pagare per le informazioni che si ricevono è un gesto di civiltà, che mette l’informatore nella condizione di svolgere al meglio il suo lavoro.
Altrimenti, sul web o sulla carta stampata, scriverebbe soltanto chi può permetterselo.
Sarebbe più semplice, forse. Ma prima o poi pagheremmo tutti, e la pagheremmo cara.
Pagare per le informazioni che si ricevono è un gesto di civiltà, che mette l’informatore nella condizione di svolgere al meglio il suo lavoro.
«Possibili distorsioni nella pubblicità».
Le unità speciali della Guardia di Finanza hanno bussato ieri alla porta degli uffici milanesi di Google Italia per notificare un procedimento di istruttoria avviato dall’Antitrust. Sotto la lente del Garante ci sarebbe Google News, il servizio di rassegna stampa on line della casa di Montan View, che aggrega diverse notizie su uno stesso argomento provenienti da diverse fonti. Tutto è partito da una segnalazione del 24 agosto scorso da parte della Federazione italiana editori giornali, intimorita che questo servizio possa incidere sulla concorrenza nel mercato della raccolta pubblicitaria on line. La segnalazione non sembra infatti riguardare tanto il servizio in sé, quanto piuttosto la modalità in cui viene messo in pratica che, a detta della Fieg, «non è trasparente». «Gli editori sono preoccupati dell’andamento del settore e, in questo scenario, diventa predominamente la difesa della qualità. Per questo occorre una verifica delle regole di Internet», ha dichiarato il presidente della Fieg, Carlo Malinconico.
Cos’è Google News. Il servizio fornisce una rassegna stampa continuamente aggiornata, selezionando le notizie pubblicate su 250 siti di lingua italiana ed estrapolandone titoli e sommari. Una volta selezionata la notizia, un collegamento permette di accedere direttamente alla pagina originaria della testata sulla quale è stato pubblicato l’articolo, senza però passare prima dalla home page. Questo, secondo la Fieg, rappresenterebbe una forte penalizzazione, in quanto proprio la pagina iniziale di ogni sito è fonte di maggiore visibilità e, di conseguenza, di introiti pubblicitari. Il nodo poi, per la Fieg, sta anche nella gerarchia di visualizzazione delle notizie.
Se l’inclusione su Google News può rappresentare un’importante occasione per aumentare la propria visibilità, gli editori non possono però esercitare nessuna forma di controllo dei contenuti visualizzati sul sito del motore di ricerca, né interferire sull’ordine in cui le notizie vengono visualizzate. L’unica possibilità è scegliere di non rendere disponibili i propri contenuti su «Google News», ma questo, secondo gli editori, li escluderebbe automaticamente anche dal motore di ricerca Google.
Dove comincia tutto. Il cambiamento dell’editoria portato da Internet ha iniziato anche a modificare il modo di concepire e rendere disponibili le notizie. La questione ora gira intorno alla scelta di consentire la distribuzione gratuita delle notizie o di prevedere un pagamento per il servizio. Le prime polemiche erano nate, già durante gli scorsi mesi, in America. Molti giornali ed editori avevano avuto da ridire proprio per il servizio Google News che, da qualche tempo ospita (proprio sulla versione americana, ndr ) anche annunci pubblicitari. Così il servizio del colosso di Montain View, se prima generava traffico anche a favore dei giornali, oggi - a detta degli editori - somiglia più a un concorrente che a un 'alleato'.
Che cosa c’è in ballo. L’accusa rivolta dalla Fieg al più grande motore di ricerca del mondo è infatti legata soprattutto alla sfera della raccolta pubblicitaria sul Web e ai timori di vedere intaccate le interessanti prospettive economiche che la rete può aprire a un editoria che oggi è in apnea. Secondo l’Agcom, nel 2008 il mercato della raccolta pubblicitaria on line in Italia ha raggiunto quasi 560 milioni di euro. Google, sempre nel 2008, ha realizzato oltre 21 miliardi di dollari nel mondo dalla vendita di spazi pubblicitari in rete e oggi il suo motore di ricerca ha una quota di mercato del 64,7%. E infatti se quest’anno, anche a causa della crisi economica, gli investimenti pubblicitari sui mezzi di informazione sono stati drasticamente ridotti, l’unico a fare la differenza è stato proprio Internet che, tra gennaio e maggio del 2009, ha registrato un aumento degli investimenti del 7,8 %.
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