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venerdì 28 agosto 2009

L'inutile occhio del grande fratello

Istruttiva parabola del sistema video londinese anti-malavita.
Resa del grande occhio accecato da troppe immagini.

Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Antonio Giorgi.

Qualche dubbio l’avevamo, e in effetti viene istintivo considerare che se fosse bastato disseminare nelle strade e nelle piazze la selva di telecamere che fanno mostra di sé in ogni centro grande o piccolo che sia, oggi le città sarebbero pacifiche, linde e ordinate, le notti silenziose come su un’isola deserta, nessuno oserebbe più scippare una vecchietta o accoltellare un rivale e gli imbrattatori di muri avrebbero cambiato da tempo mestiere. Il nostro personalissimo – e pertanto irrilevante – dubbio sulla reale efficacia delle telecamere in funzione anticrimine trova ora inaspettatamente conforto dalle affermazioni sconsolate dei vertici della polizia metropolitana di Londra, capitale di un Paese che ha piazzato quattro milioni di occhi elettronici (uno ogni quattordici cittadini, spiega chi ha fatto due rapidi calcoli) spendendo 500 milioni di sterline in un decennio. «Servono a poco», ammette sottovoce la polizia inglese. E se non è una dichiarazione di resa siamo certamente all’ammissione di impotenza, mentre lo strumento che doveva dare il colpo di grazia al crimine si svela per quello che è: rozzo, insufficiente, inadeguato. Altro che l’arma assoluta capace di debellare i malviventi e restituire la pax urbana alle città. Il bilancio della video-lotta alla malavita è dunque in rosso, e gli elevatissimi oneri di installazione e manutenzione del sistema lo confermano. Parliamo di Londra, certamente. Ma da noi i costi non sono certo inferiori, il business è business sotto qualunque cielo. Il sistema doveva farci più sicuri, si proponeva come una assicurazione sulla nostra incolumità e sui nostri beni e invece il sommesso – per ora – ripensamento londinese decreta il brusco ridimensionamento delle attese di quanti confidavano nel potere risolutivo dell’immagine registrata per prevenire il crimine e per venire a capo di rebus intricati quando un delitto, nonostante la deterrenza della telecamera, fosse stato consumato e si trattasse di mettere il sale sulla coda al suo autore. Perché si fa presto a dire telecamera, ma quando un crimine di strada è compiuto nulla come la collaudata, arcaica strategia dei marescialli di provincia e dei questurini della mobile si svela ancora oggi vincente. Una strategia fatta di conoscenza del territorio e dei residenti, pazienti ricerche, meticolosi ascolti e raffronti, sondaggi discreti, interminabili appostamenti, e nutrita – poi – di tanto, tanto camminare di casa in casa, di cancello in cancello, di bar in bar come erano usi fare i segugi d’antan. Passi su passi, a piedi, «fino a consumarsi le suole delle scarpe», raccontano ingrigiti protagonisti di epiche indagini approdate a esiti che l’occhio elettronico non è in grado di eguagliare. Sarà perché la miriade di telecamere vomita nelle sale operative delle centrali torrenti di immagini che è impossibile valutare, confrontare, decifrare all’istante. Sarà perché, come sempre, il troppo è troppo, disturba e si autodanneggia fino a rendersi inutile o quanto meno improduttivo.
Dice bene un intellettuale come il francese Paul Virilio, filosofo, urbanista, massmediologo: l’eccesso di immagine distrugge l’immagine, crea una sovraesposizione soffocante in mezzo alla quale è impossibile districarsi. Troppe immagini, in buona sostanza, diventano sinonimo di nessuna immagine. Punto e a capo. Ecco, a questo siamo arrivati, e a Londra sono i primi a rendersene conto: anneghiamo nei fotogrammi, annaspiamo tra una ripresa angolare e una verticale, ci scopriamo sorvegliati – noi che cerchiamo di fare i bravi ragazzi – ma non riusciamo a sentirci più sicuri. Con buona pace del Grande Vigilante e del suo occhio che ha principalmente un handicap: non sa pensare.
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