FATTI E PAROLE

Foglio virtuale quotidiano di Brembio e del suo territorio

http://www.fattieparole.info

Si può leggere l'ultimo numero cliccando sopra, sull'immagine della testata o sul link diretto, oppure cliccando qui.
Ogni nuovo numero esce nelle ore serali, ma dopo le 12.00 puoi già leggerlo mentre viene costruito cliccando qui.

FATTI E PAROLE - ARCHIVIO
www.fattieparole.eu

La parola al lettore

Le tue idee, opinioni, suggerimenti e segnalazioni, i tuoi commenti, le tue proposte: aiutaci ad essere un servizio sempre migliore per il nostro paese.

Puoi collaborare attivamente con noi attraverso questo spazio appositamente predisposto - per accedere clicca qui - o anche puoi scriverci cliccando qui.

lunedì 31 agosto 2009

«L'uomo più intellingente d'Europa»

Il titolo è una affermazione, l'ultima dei due filmati che vi proponiamo alla visione.
Berlusconi apre le porte agli immigrati (ma a Tunisi).
VideoPost.

I due video - in realtà un video in due parti - testimoniano la performance del presidente del consiglio lo scorso 18 agosto, in visita privata a Tunisi, regalata all'umanità, al termine di un incontro con il presidente tunisino Ben Alì, partecipando a Ness Nessma, programma della televisione satellitare tunisina Nessma TV, acquisita lo scorso anno per il 50 per cento da Mediaset e dalla società di Tarak Ben Ammar Quinta Communications. Interpellato sui temi dell'immigrazione dalla tv maghrebina di sua proprietà, guardata da centinaia di migliaia di nordafricani, ha sostenuto la necessità di "aumentare le possibilità di entrare legalmente in Italia" (alla faccia delle quote) e che il nostro paese ha “il dovere di guardare a quanti vogliono venire in Italia con totale apertura di cuore, e di dare a coloro che vengono in Italia la possibilità di un lavoro, di una casa, di una scuola per i figli e la possibilità di un benessere che significa anche la salute, l'apertura di tutti i nostri ospedali per le loro necessità", dichiarando che "questa è la politica del mio governo". Un po' di vergogna c'è sapendo di essere rappresentati nel mondo dall'«uomo più intelligente d'Europa».




Il video è stato trovato, sottotitolato e reso disponibile dal blogger e collaboratore de l'Unità Daniele Sensi.
Condividi su Facebook

L'armageddon mediatico frutto di vendetta

La Efj interviene sulla querela a Repubblica e Le Nouvel Observateur.
I giornalisti europei condannano «la vendetta mediatica» di Berlusconi.
«Sta mettendo a rischio la libertà di informazione cercando di usare la legge per intimidire».

Rassegna stampa - Corriere della Sera.it

Bruxelles - La Federazione dei giornalisti europei (Efj), che fa parte della Federazione Internazionale (Ifj), ha condannato «le vendetta mediatica» del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, riferendosi alla querela a Repubblica e al francese Nouvel Observateur e «all'attacco» ad Avvenire. In un comunicato il segretario generale dell'Efj e dell'Ifj Aidan White ha affermato che il premier «sta mettendo a rischio la libertà di informazione cercando di usare la legge per intimidire i giornalisti e soffocando i reportage giornalistici».
Secondo l'Efj, si legge in un comunicato, «il premier sta mettendo la libertà di stampa al fil di spada lanciando una vendetta legale contro i media a casa e all'estero per dare notizie sulla sua agitata vita privata». «È comprensibile che voglia tenere la sua colorita vita personale lontana dai titoli», ha osservato White, mentre l'Efj rileva come Berlusconi«abbia spesso usato il suo potere sia come magnate dei media sia come leader politico per intimidire i media e i singoli giornalisti». «Ma questa volta ha oltrepassato il segno, cercando di soffocare del giornalismo imbarazzante, ma legittimo a casa e all'estero», afferma l'Efj. La federazione sottolinea che Berlusconi ha querelato la Repubblica «semplicemente per avergli fatto pubblicamente dieci domande».
«Al tempo stesso il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, sta attaccando il quotidiano cattolico Avvenire. Inoltre Berlusconi sta querelando il settimanale francese Le Nouvel Observateur e ci sono notizie secondo le quali i suoi avvocati stanno verificando la possibilità di citare i giornali britannici, inclusi quelli di proprietà del suo ex amico Rupert Murdoch». «L'Efj ritiene che l'attacco di Berlusconi contro la stampa sul suo comportamento personale sia inaccettabile in Italia e altrove. L'attacco ad Avvenire, un rispettabile giornale della Chiesa, ha aumentato l'indignazione pubblica sulle sue azioni».
White sottolinea che l'Efj appoggia la Fnsi «nella sua richiesta che Berlusconi e i suoi alleati politici rispettino i media indipendenti e liberi in Italia», si legge nel comunicato che cita il segretario della Fnsi Franco Siddi, secondo il quale «la denuncia alla Repubblica e l'attacco ad Avvenire sono la prova di una spettacolare intimidazione dei media e dei giornalisti che fanno domande, esprimono opinioni e perfino discutono dell'influenza della vita privata di Berlusconi sulla politica».
Condividi su Facebook

«Un'intimidazione di tipo mafioso»

Monsignor Mogavero spiega di avere cestinato la velina che sembrava un messaggio a Ruini e Tettamanzi. Poi aggiunge: "Per il bene della Chiesa potrebbe anche dimettersi".
Boffo, nuove proteste dei vescovi.
Il Gip: "Nessuna informativa".
Rassegna stampa - Repubblica.it

Roma - Nel fascicolo riguardante il procedimento per molestie a carico di Dino Boffo "non c'è assolutamente alcuna nota che riguardi le sue inclinazioni sessuali". A confermarlo è il gip di Terni Pierluigi Panariello. Che cos'è allora la "velina" anonima recapitata ai vescovi italiani (che l'hanno cestinata) e finita nelle mani di Feltri (che l'ha citata testualmente sul Giornale)? "Un'intimidazione che da siciliano definirei di tipo mafioso", risponde monsignor Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo.
Il vescovo. Ricevuta l'informativa sul direttore dell'Avvenire, il monsignore racconta di averla "cestinata" e di essere "rimasto indignato della cosa". Un testo del genere, "indirizzato a più persone", ha lo scopo di "un avvertimento" che, osserva il vescovo, "io da siciliano definirei di tipo mafioso" in particolare "nei confronti dei due cardinali citati, Camillo Ruini e Dionigi Tettamanzi". L'intera vicenda legata a questa informativa per Mogavero è "un affaraccio brutto","inquietante", "spazzatura maleodorante" e "prestarsi a un gioco di questo genere è offensivo della dignità delle persone, della libertà di stampa e anche di una certa professionalità. Non credo proprio - sottolinea - si tratti di un autentico scoop".
Il vescovo di Mazara del Vallo ragiona anche sulle conseguenze del caso Boffo. "Bisogna capire - spiega - che quando si entra nel piano della rappresaglia si sa da dove si comincia ma non si sa dove si va a finire, soprattutto perchè esistono persone che poi in queste situazioni ci sguazzano. Certi signori - rimarca - si sono assunti la responsabilità morale di aver messo in moto un meccanismo che speriamo si fermi qui". In merito alla rivendicazione del direttore del Giornale di avere agito in autonomia dal presidente del Consiglio, Mogavero afferma: "Nessuno nega autonomia a Feltri ma non sono disponibile a pensare che nessuno della proprietà del Giornale fosse al corrente di quanto si stava per pubblicare, saremmo fuori dal mondo se si sostenesse una cosa del genere. Può essere che non lo sapesse il presidente del Consiglio - conclude - ma non la proprietà".
Tutta la vicenda "peserà sui rapporti Stato-Chiesa". Infatti, "se il premier - continua il vescovo - cerca un riavvicinamento con la Chiesa deve semplicemente cambiare stile di vita, deve semplicemente fare il politico e non il manager o l'uomo di spettacolo". Poi, prosegue Mogavero, "il giudizio sulla sua politica lo daranno il Parlamento e la storia ma se cerca la vicinanza con il mondo ecclesiastico deve assumere un rigoroso stile di vita". "Non ci interessa la sua vita privata - conclude - ci interessa che non ne faccia motivo di spettacolo". Secondo Mogavero la vicenda si trasformerà in "una bomba a orologeria" e, aggiunge, "mi dispiace che il povero Boffo abbia dovuto pagare un prezzo così alto ma se questo è servito a far saltare l'incontro tra il segretario di stato vaticano il card. Tarcisio Bertone e il premier Silvio Berlusconi all'Aquila, sono contento".
Tornando sull'argomento e rispondendo alle domande dei giornalisti Mogavero sostiene che Boffo potrebbe anche dimettersi "non certo per ammissione di colpa", ma "per il bene della Ghiesa e del giornale". "Se ritiene che tutta la vicenda - dice il monsignor - pur essendo priva di fondamento, possa nuocere alla causa del giornale o agli uomini di Chiesa Boffo potrebbe anche decidere di dimettersi". Ma così non sarebbe un'ammissione di colpa? "In effetti in Italia chi si dimette è sempre ritenuto colpevole. Ma non sempre è così".
Il giudice di Terni. Il gip di Terni conferma che la "velina" utilizzata da Il Giornale di Feltri per la Giustizia non esiste e non è mai esistita, così come nessuna nota che riguardi l'orientamento sessuale di Boffo. Il giudice di Terni si sta occupando della vicenda essendo stato chiamato a decidere in merito alle richieste di accesso agli atti presentate da diversi giornalisti. Sulla medesima istanza deve esprimere un parere anche il procuratore della Repubblica Fausto Cardella. Dopo che lo avrà fatto gli atti passeranno al gip che dovrà pronunciarsi (una decisione è attesa non prima di domani mattina). Già in passato altri cronisti presentarono richiesta di accesso agli stessi atti ma il gip di allora respinse le istanze. La vicenda di Boffo venne definita con un decreto penale di condanna di 516 euro relativo al reato di molestie alla persona. Un atto al quale il direttore di Avvenire non fece opposizione e quindi la vicenda si chiuse senza la celebrazione del processo. Nell'indagine venne ipotizzato anche, inizialmente, il reato di ingiurie, ma la querela che ne era alla base - secondo quanto emerge dallo stesso fascicolo - venne poi rimessa. Tra gli atti del procedimento non figurano intercettazioni telefoniche. Ci sono invece i tabulati relativi al telefono di Boffo dal quale partirono le presunte chiamate moleste.
Condividi su Facebook

Dai primi passi si conosce il percorso

Nei giorni scorsi abbiamo ripubblicato qui molti articoli ed interventi sulla vicenda della moschea di Casalpusterlengo. Il Cittadino di oggi pubblica due lettere che riportiamo per completezza qui sotto.
Rassegna stampa.
Un giudizio sui primi passi della giunta.

È certamente prematuro giudicare l’operato di un’amministrazione, essendo trascorsi poco più di due mesi dal suo insediamento, tuttavia dalle sue prime mosse e dalle sue prime azioni si possono trarre delle indicazioni che mi fanno constatare come questa si presenti come l’amministrazione del meno, nel senso che, allo stato attuale, sono più le cose tolte di quelle date.
Ma andiamo con ordine, facendo per correttezza una premessa: sono stato per cinque anni consigliere comunale di maggioranza nella precedente amministrazione di centrosinistra e quindi con un’appartenenza ed una collocazione politica ben chiara.
Siamo in piena sagra patronale e quest’anno, per la prima volta da 70 anni, non ci sarà un appuntamento storico e molto apprezzato non solo dai casalini; mi riferisco alla gara ciclistica del lunedì per le vie della città. Certo, mi si può dire che non c’erano fondi ma, coinvolgendo le associazioni di categoria, attraverso le sponsorizzazioni ed un po’ di determinazione e volontà credo che l’obiettivo si potesse raggiungere. Inoltre, dopo oltre un quinquennio di più che buone rappresentazioni di prosa (anche con artisti di fama nazionale), di lirica e di proiezioni cinematografiche, avremo una stagione priva di eventi culturali e di intrattenimento che hanno sempre riscosso un grande successo di pubblico. Oltretutto le serate al cinema o a teatro raggiungevano anche lo scopo di rivitalizzare il centro città e dare impulso ai locali che si affacciano sulla piazza.
I nostri anziani non godranno più dell’assicurazione riservata agli ultra sessantacinquenni contro i furti ed i conseguenti danni. Mi si può replicare che era poca cosa e che ne avevano usufruito in pochi ma, visto il modesto impatto economico ed il valore sociale dell’iniziativa, era un buon segnale mantenerla in vita. Smetterà di funzionare anche il magazzino di raccolta e distribuzione
di mobili ed elettrodomestici usati gestito dal Movimento Lavoratori Credenti di Don Barbesta, perché il capannone che lo ospita non è a norma. Non ci si può sempre nascondere dietro motivazioni di natura economica; le scelte che un’amministrazione compie sono soprattutto di natura politica e sociale perché se è vero, e lo è, che i maggiori utenti del magazzino sono cittadini extracomunitari, è altrettanto vero che la stragrande maggioranza di coloro che conferiscono al magazzino (quasi sempre con un servizio a domicilio e pressoché a costo zero) il mobilio dismesso sono cittadini italiani, che ben apprezzano questo servizio per indubbia comodità e per la finalità sociale del medesimo.
In meno, forse, abbiamo qualche extracomunitario almeno stando all’enfasi con cui la stampa ha pubblicizzato le azioni messe in campo dall’amministrazione (con corredo di immagini fotografiche, spesso le stesse o al più variando l’angolo di ripresa della medesima scena), che
vanno dalle ordinanze emesse dal Sindaco all’intervento di consiglieri comunali o segretari di partito “sceriffi”.
Sarà poi vero? La sensazione è che nulla sia cambiato. Quali sono poi le intenzioni dell’amministrazione in merito all’Azienda Speciale? Oltre alla ventilata chiusura della parafarmacia di Via Conciliazione, c’è la volontà di accelerare l’iter autorizzativo della nuova casa di riposo, al fine di poter dare una sistemazione dignitosa e funzionale agli ospiti anziani ed al personale che li accudisce? Mi risulta che recentemente la sala pranzo dell’attuale casa di riposo abbia avuto del distacco di intonaco dal soffitto ed i problemi, per chi la vive e chi la frequenta, non sono solo questi! Se esiste la volontà politica e sociale, mi sembra che ostacoli non ve ne siano o siano facilmente superabili: l’amministrazione locale è governata dal centrodestra, come pure la Provincia, la Regione, l’Azienda Sanitaria Locale, ossia tutti quegli enti ed istituzioni coinvolti nel processo autorizzativo e negli accreditamenti.
Vogliamo vivere in una città più bella? Allora, per cortesia, evitiamo quelle brutture quali sono i rattoppi alla pavimentazione in porfido di Largo Casali, in pieno centro, utilizzando del catrame per stabilizzare i cubetti dissestati! Per ultimo, la sicurezza è un concetto integrato che passa anche per una città adeguatamente illuminata: vorrei segnalare che in Via Don Mazzolari i lampioni dell’illuminazione pubblica sono rotti da tempo. Mi rendo conto che questo mio testo manca di organicità e sembra più una lista della spesa, ma gli argomenti che ho voluto toccare sono molteplici e tutti, amio dire, significativi dei primi passi di questa Amministrazione.
Per concludere, da casalino auguro a tutti i concittadini una Buona Sagra nel segno della socialità, della partecipazione, della solidarietà, della serenità e del vivere civile.
Gianni Guardinceri

Non servono le prove di forza.

Non vorremmo fare nessuna “lezioncina” al neo sindaco di Casalpusterlengo Flavio Parmesani, leghista a guida di una giunta di centro destra, sulla vicenda della moschea ma ci sentiamo di suggerirgli qualcosa. Un passo indietro prima, per riassumere brevemente il caso.
A pochi giorni dall’insediamento la giunta concentra subito la sua attenzione, oltre che sulla massiccia presenza di stranieri in città, sul centro islamico di via Fugazza, un ex negozio di moto trasformato in luogo di ritrovo per i fedeli della città e della Bassa che mai, ci risulta, ha creato particolari problemi di ordine pubblico. In piena estate sindaco, assessori e vigili urbani vanno per effettuare un sopralluogo sui parcheggi esterni e nel frattempo danno un’occhiata all’interno, ravvisando diverse irregolarità di natura tecnica. Onde per cui, è la tesi dell’amministrazione comunale, questo spazio va subito chiuso.
Dopo una serie di annunci da parte del sindaco, “finalmente” il 26 agosto scorso viene emessa la tanto agognata ordinanza. Primo problema: è iniziato il Ramadan, il mese sacro per gli islamici, che a decine si ritrovano qui per la preghiera quotidiana. A nulla serve l’invito del sindaco rivolto agli islamici di andare altrove, leggasi Lodi, a pregare. Non se fa niente, ribatte il primo cittadino del capoluogo Guerini: «La moschea di via Lodi Vecchio non può ospitare altre persone, si rischia il caos». Che fare allora? Dopo aver inutilmente tentato di “mostrare i muscoli” alla città e agli elettori che lo hanno votato, il sindaco è costretto a fare una prima retromarcia, trovando una soluzione che in tempi di Prima Repubblica avrebbero definito un “pastrocchio”: gli islamici per ora restano al loro posto per pregare, cioè in via Fugazza, spazio teoricamente fuorilegge per stessa ammissione del comune, nel frattempo può partire la sistemazione di un magazzino di via Adda (notare, in un nuovo complesso residenziale, con le famiglie pronte a scendere sul piede di guerra contro la “sgradita” presenza degli islamici) che non sarà pronto che per i primi di settembre.
Un buon amministratore, crediamo, è quello che fa rispettare le leggi anche con un pizzico di buon senso. Caro sindaco, non si poteva forse cercare una soluzione alternativa, consentendo agli islamici
di passare il Ramadan nella loro sede storica, per avere così nel frattempo tutto il tempo di trovare un nuovo spazio per moschea e centro culturale? In questo modo si sarebbero evitati tanti isterismi di parte, compreso quello della comunità musulmana che davanti alla sua posizione si sarebbe detta addirittura pronta a pregare in piazza. La città non ha bisogno di prove di forza (come anche quella sul magazzino dei Lavoratori Credenti di Zorlesco), i cittadini sono sufficientemente intelligenti per capire che, come ogni forza politica, anche voi tentate prima di tutto di fare del vostro meglio per l’amministrazione cittadina.
Lettera firmata
Condividi su Facebook

I motivi di una sconfitta

Sempre Il Cittadino di oggi pubblica una lettera di Ermanno Tarenzi, candidato indipendente del Partito Comunista dei Lavoratori alle elezioni comunali 2009 a Casalpusterlengo, che cerca di spiegare o spiegarsi i motivi di una sconfitta.
Politica. Una sconfitta che viene da lontano.
Rassegna stampa.

Se qualcuno vuol cercare di capire i perché della disastrosa sconfitta del centro sinistra, nelle ultime elezioni, non ha che da scorrere i giornali locali. Dopo un accenno di dibattito autocritico (subito soffocato da interventi che si potrebbero definire intimidatori, come nel caso d’Abdou, presidente della commissione immigrati) messo a tacere con interventi decisamente volgari, è calato un silenzio tombale sulla discussione e il confronto. C’è naturalmente una ragione a tutto ciò. Ed è il fatto che in alcune realtà quello a cui noi assistiamo è la conclusione di un processo politicamente disastroso.
Il seme della debacle elettorale del centro sinistra, e del Partito Democratico è stato gettato diverse stagioni fa. Nel congresso provinciale di scioglimento dei Democratici di Sinistra, nessun delegato con l’eccezione di Giuseppe Foroni allora segretario generale della camera del lavoro lodigiana, intervenne sui temi del lavoro, tanto quello fisso che quello precario: da quell’assise politica i problemi dei lavoratori furono completamente assenti.
Per tanti anni mi ero meravigliato e scandalizzato del fatto che i democristiani nei loro congressi non parlassero quasi mai dei lavoratori. Adesso dovevo assistere alla stessa cosa in quel congresso d’ex comunisti (a questo punto davvero ex). Del resto quel congresso era il punto d’arrivo di una serie d’errori gravi dei democratici di sinistra: la legge Treu, la riforma Dini, la guerra del Kosovo, e la non approvazione della legge sul conflitto d’interessi. L’approvazione della legge Treu, che aveva introdotto la precarietà del lavoro, intervenendo esclusivamente sul mercato del lavoro, per regolare i diversi tipi di contratti sfavorevoli per i lavoratori, voluti dagli industriali e dalla confindustria.
Una situazione ulteriormente peggiorata dal governo Berlusconi, con la legge Biagi che ha aumentato questa tipologia di contratti precari creando una giungla contrattuale, assurda e inaccettabile. La riforma Dini, che avviava la distruzione del sistema pensionistico solidale e realizzava la più grande rapina del secolo ai danni di decine di milioni di lavoratori, con l’introduzione solo per i giovani del sistema contributivo ad accumulazione individuale, sistema che compromette il sistema pensionistico delle nuove generazioni.
Per un giovane l’avventura lavorativa inizia a trent’anni, se licenziato a 45 anni viene considerato vecchio e obsoleto. Però deve rimanere al lavoro oltre i settanta, se vuole ottenere la pensione. Con una decurtazione come minimo del 30%.Il conteggio della pensione col sistema contributivo è decisamente sfavorevole, rispetto al calcolo retributivo. Il primo sistema, quello contributivo, considera il valore dei contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa; mentre il calcolo retributivo, solo gli ultimi 10 anni, normalmente i più vantaggiosi per quanto riguarda il valore delle retribuzioni.
A questi temi classici del lavoro, si aggiunsero la partecipazione alla guerra del Kosovo, voluta dal governo guerrafondaio di D’Alema. Il governo degli Stati Uniti, aveva chiesto all’Italia solo l’utilizzo delle basi militari. Va bene! D’Alema, voleva dimostrare a qualcuno di essere “un grande statista”, ma la base dei Democratici di Sinistra dov’era? Questo intervento guerrafondaio dell’Italia è ancora più deplorevole, perché la Serbia ha sempre mantenuto, buoni e amichevoli rapporti con il governo italiano. Per finire l’elenco dei tragici errori politici strategici del centro sinistra, la mancata soluzione al conflitto d’interessi gigantesco, che fa sì che solo in Italia il Presidente del Consiglio sia anche proprietario della gran parte dei mezzi di comunicazione di massa, la maggior casa editrice, alcuni tra i maggiori giornali e riviste controlla oltre l’80% del sistema televisivo.
Quest’ultimo è un problema non solo di “pari opportunità” politiche, ma è soprattutto una questione d’egemonia culturale. Quindici anni di berlusconismo incontrastato sul terreno della comunicazione e della cultura di massa, hanno diffuso ideologia d’individualismo proprietario contro ogni forma d’interesse pubblico, di condivisione di socializzazione. Dopo 15 anni di berlusconismo, gli italiani dovrebbero rispondere a questa semplice domanda: l’Italia d’oggi è migliore o peggiore rispetto a quindici anni fa?
Con questo brodo di cultura, contro il quale il centro sinistra non ha opposto alcuna educazione al bene comune, alla solidarietà attiva, al rispetto della dignità dei lavoratori, non è difficile spiegare la pesante legnata delle elezioni provinciali. E davvero la legnata presa nelle elezioni provinciali è stata pesante, se solo si pone mente al fatto che nelle precedenti elezioni Felissari era stato eletto col 54%dei voti e adesso ha perso il 17% dei consensi.
Una ragione specifica di questa elezione è stata la candidatura di un Consigliere Regionale: sbagliata e debole. È stato sottovalutato il fatto che il suddetto, da quando è Consigliere Regionale ha perso molto della fiducia e del consenso ottenuto, perché non ha mai cercato un dialogo diretto con i propri elettori, informandoli per esempio sulle decisioni, le scelte della Regione Lombardia per quanto riguarda la sanità, il lavoro, le comunicazioni, l’agricoltura. Oppure illustrando il suo impegno come consigliere d’opposizione, i risultati ottenuti, le scelte subite (qualcuno ha ben detto che si può imparare di più da una sconfitta che da una vittoria). Senza considerare il fatto che gli elettori non hanno mai gradito le doppie candidature e i doppi incarichi politici.
Condividi su Facebook

Sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno

Riportiamo la lettera di Andrea Ferrari, assessore alla Cultura del Comune di Lodi, che Il Cittadino di oggi pubblica nelle pagine di "Lettere & Opinioni.
Martiri. Costruire una memoria collettiva.
Rassegna stampa.

Sono passati 65 anni dal drammatico episodio dei Martiri del Poligono che ci troviamo ancora una volta qui a commemorare. Un arco temporale breve da un punto di vista della analisi e della lettura storica di quello specifico periodo ma sufficientemente lungo per rischiare di non essere più collocato e compreso dalle nuove generazioni che non hanno, fortunatamente, vissuto quei drammatici anni. Credo sia allora importante tentare di ricordare il contesto entro cui avviene l’episodio dei Martiri e anche il clima che si respira in chi tenta di liberarsi, anche nel Lodigiano, del regime fascista.
Nel Lodigiano la fine del governo Mussolini viene festeggiata con feste popolari; molti agricoltori concedono ai propri dipendenti la possibilità di partecipare alle dimostrazioni di piazza e nelle fabbriche si formano le prime Commissioni interne. Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana circa il 70% dei soldati sceglie di non tornare nelle caserme e di non farsi catturare; in questo la popolazione delle città e della campagna contribuisce in modo fondamentale: persone delle più diverse estrazioni sociali e politiche rinunciano al denaro promesso a chi collaborava alla cattura, rischiando il carcere e la deportazione.
Anche nella nostra città la repressione mostra il suo volto; tra i primi ad essere arrestati il curato di S. Bernardo don Davide Perniceni e l’agricoltore Panti Boselli di Lodi Vecchio, mentre tra coloro che vennero deportati vi sono Ettore Archinti, Edoardo Mazzi e Isa Folli. In questo clima, in cui il fascismo repubblichino continua a compiere deportazioni e uccisioni, si inserisce l’episodio drammatico di Oreste Garati, detto “Falco Rosso”, e del suo gruppo.
Il duplice attentato del 10 luglio al gerarca Paolo Baciocchi e al Commissario Prefettizio Gino Sequi convince i fascisti a compiere un rastrellamento nella zona tra Spino d’Adda, Villa Pompeiana e Galgagnano. Alla cascina Cagnola, il 26 luglio, vengono fucilati barbaramente l’agricoltore Celestino Sfondrini (a cui vengono concessi 5 minuti per salutare i propri familiari) e tre contadini, Michele Vergani e Giuseppe e Artemio Massari. Nello stesso giorno a Villa Pompeiana vengono fucilati anche sette giovani renitenti. Questo rastrellamento, il più duro e cruento di tutto il Lodigiano, non riesce comunque a individuare gli attentatori di Baciocchi e Sequi.
Il 21-22 agosto viene arrestato il gruppo di Falco Rosso e alle 13 del giorno successivo, senza nessuna sentenza di tribunale, senza nessun processo e senza che si sapesse chi lo decise, vengono fucilati, dopo aver subito terribili torture, Oreste Garati, Franco Moretti (16 anni), Ettore Maddè (19 anni), Lodovico Guarnieri (21 anni) e Giancarlo Sabbioni (17 anni). Ai genitori e parenti viene concesso di aprire le bare e riconoscere quel che resta dei propri cari solo il mattino dopo. Un particolare questo che, proprio per la sua inumanità, rimane nella memoria collettiva lodigiana come uno dei momenti in cui il regime mostra la sua faccia più feroce e vendicativa.
Il Poligono fu ancora triste teatro nei mesi successivi di altre fucilazioni di giovani partigiani: persero la vita Frigoli di Livraga (19 anni), De Avvocatis di Napoli (20 anni), Zaninelli di San Martino (23 anni), Biancardi di Livraga (27 anni).
Credo che solo comprendendo questo contesto sia possibile, per un giovane, capire oggi le scelte coraggiose, di persone che cresciute nelle organizzazioni fasciste, scelgono di mettere in gioco la propria vita facendo una scelta che potremmo definire di vero e proprio impegno civile. È questo tratto essenziale, questa scelta “ribelle” (nel segno di una ribellione morale e, appunto, civile) il primo e più originario carattere della Resistenza: l’elemento che la qualifica sul piano dei principi e che divide come un abisso chi lotta per la libertà e chi vuole soffocarla.
Penso che da un punto di vista culturale si sia più volte tentato di far passare l’idea che la popolazione “civile” si ponesse in una posizione neutrale tra fascisti e partigiani, eludendo in modo consapevole il fatto, innegabile, che i repubblichini erano stati fino all’ultimo collaborazionisti e complici dell’occupazione nazista, e che la Resistenza sia stata una vera lotta popolare, poiché diffusa in ampi strati della popolazione, con forte trasversalità di condizione sociale, formazione culturale e posizione politica. È probabile che il tentativo di ribaltare la lettura di questi dati miri innanzitutto ad “isolare” la Resistenza, presentandola come fenomeno relativo ad una ristretta fazione non effettivamente rappresentativa del sentire comune e prevalente degli italiani, minando così alla base il valore “universale” delle leggi costituzionali della lotta antifascista.
Si deve invece rifiutare l’uso politico e strumentale della storia, che comporta fatalmente l’alterazione e la manipolazione di verità fondamentali, ormai date ed acquisite sulla base di rigorosi riscontri. Un revisionismo serio e costruttivo dovrebbe al contrario favorire approfondimenti e rinnovate interpretazioni storiche condotti in modo oggettivo e con spirito di verità, che contribuiscano a migliorare la conoscenza e la consapevolezza del nostro passato, con riflessioni puntuali sulle condizioni della quotidianità, l’ambiente culturale, le dinamiche sociali e i numerosi fattori di convivenza civile che possono stare all’origine dei fenomeni storici.
La memoria della Resistenza non deve essere rivolta esclusivamente al passato ma è necessario che diventi uno strumento che aiuti ad essere consapevoli del presente e a proiettare la nostra società ed il nostro modello di convivenza democratica verso il futuro. Gli elementi e i valori che hanno ispirato la Resistenza devono perciò diventare elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni.
In questo senso, ricordare l’eccidio del Poligono deve essere inteso non tanto come un mero momento rievocativo e commemorativo, ma come un punto di partenza per costruire una memoria collettiva (in primo luogo a partire dalle scuole) di quei valori e di quei sentimenti che hanno spinto tante persone, giovani e mature, uomini e donne a credere in valori e ideali nuovi e condivisi: proprio quei valori e cui è stata improntata la nostra Carta Costituzionale, frutto di quella stagione di riscatto della libertà e della democrazia.
Mi capita a volte di cercare di immaginare il volto dei giovani che consumarono il loro sacrificio al Poligono e pensare in questo modo al volto della libertà, il volto dell’impegno (sino ad accettare estreme conseguenze) di chi ha contribuito a rendere oggi l’Italia una nazione democratica e libera. E la Libertà è un bene prezioso, perché, come diceva Piero Calamandrei «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso d’asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d’angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso d’angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare».
Condividi su Facebook

Marasma governativo made in Italy

Sul «made in» il Nord Est si ribella alla Lega.
Rassegna stampa - l'Unità.it, Bianca Di Giovanni.

Contrordine lombardi. Dopo aver annunciato ai quattro venti che grazie al Carroccio (ministro Luca Zaia in testa) il governo Berlusconi tutelava le produzioni italiane e combatte le contraffazioni (in primis quelle dei «famigerati» cinesi), ora l’esecutivo è costretto a una precipitosa marcia indietro. Giovedì prossimo, al primo consiglio dei ministri della ripresa, saranno «congelate» le norme sul made in Italy entrate in vigore a ferragosto. Si riscriveranno utilizzando forse il «decreto salva-infrazioni dall’Ue».
Appena 20 giorni di vita, e quegli articoli sono già morti. Come mai? Il fatto è che le imprese sono in rivolta, specie quelle del nordest tanto care a Bossi e sodali. Tutte in allarme: produttori (di tutti i comparti), trasportatori, responsabili dei porti e dei container. E non solo. Anche le dogane si ritrovano nel caos più totale: non sanno come applicare le norme appena varate. Il risultato è devastante per l’economia già in profondo rosso. Il marchingegno messo in campo dal governo, infatti, imponendo regole più stringenti solo agli italiani, avvantaggia gli stranieri (che continuano come prima) e anche i «furbi», che cercano altri canali per importare merce in Italia. Le disposizioni infatti prevedono che sull’etichetta sia segnalata l’origine precisa del luogo di produzione o di fabbricazione delle merci, pena multe salate. Si tratta di un breve articolo nel più corposo provvedimento per lo sviluppo presentato da Claudio Scajola. Ma proprio quelle poche righe hanno provocato un vero terremoto.
In primo luogo perché molti prodotti erano già stati etichettati in primavera, e in agosto si sono visti bloccare l’ingresso alla dogana. In secondo luogo perché le regole non valgono per tutti, così in alcuni settori, come ad esempio l’alta moda, competitor europei (si pensi a famosi marchi francesi) possono tranquillamente entrare e circolare con la loro etichetta, mentre i marchi italiani non possono utilizzare la dicitura «made in Italy». Già dalle prime avvisaglie di malumori, il governo ha tentato di correre ai ripari con una circolare, che autorizzava le imprese ad autocertificare la legalità per le etichette stampate prima. Ma questa ulteriore norma non ha fatto altro che creare caos alle dogane e ai porti. Con il risultato che molti produttori hanno scelto Rotterdam o i porti francesi come via d’ingresso in Europa. Provocando ulteriori danni ai trasportatori di casa nostra. Come dire: un danno dietro l’altro.
Cosa manca davvero alla norma italiana, che pure si prefigge lo scopo della trasparenza e della tracciabilità? «Il fatto è che qui qualcuno non capisce che l’Italia è in Europa e nel mondo - commenta Massimo Calearo, imprenditore e deputato Pd - Dobbiamo lavorare insieme all’Europa per avere regole comuni, altrimenti è il caos. Oggi è difficile che un prodotto sia tutto made in Italy: tutti hanno delocalizzato. L’impostazione della Lega forse va bene per i piccolissimi artigiani, destinati comunque a crescere pena l’estinzione. Spero che chi ha votato il Carroccio oggi capisca cosa ha fatto». A dirla proprio tutta, non andrebbe bene neanche per i piccolissimi: si pensi ai filati in cashmere, prodotto italiano ma con filati sicuramente stranieri. «La Filtea e i sindacati europei del tessile - aggiunge la segretaria Valeria Fedeli -hanno sempre combattuto per la trasparenza e la tracciabilità. Questa è la battaglia, non quella del semplice made in Italy. Con Prodi prima all’Ue e poi a Palazzo Chigi siamo riusciti adottenere un regolamento europeo, che però alcuni stati membri (soprattutto quelli del nord, che non producono abbigliamento, ma distribuiscono, ndr) non vogliono adottare. Il governo deve farsi valere a Bruxelles, che tra l’altro è titolare delle politiche commerciali, non produrre norme “autarchiche”».
Il pasticcio delle etichette si abbatte su comparti già in crisi nera, con la domanda bassissima e la produzione che resta ferma in dogana. Lo stesso vale per i trasportatori. La Confetra ha sfornato numeri da brivido sul primo semestre 2009: trasporti internazionali a -25% rispetto all’anno prima. E oggi si ritrova che clienti costretti a rivolgersi a olandesi e francesi. «Gran parte dei marchi italiani - spiega Pieri Luzzati, direttore generale Confetra - producono all’estero. Le leggi introdotte ricadono solo sugli italiani. Gli stranieri continuano come prima, gli italiani che non vogliono farsi travolgere sdoganano in un altro Paese. Per l’Italia c’è un duplice danno. I prodotti di qualità degli altri Paesi vengono avvantaggiati, e contemporaneamente si avvantaggia chi riesce ad aggirare le norme. È una legge autolesionista, che colpisce solo noi».
Per ora l’allarme è rimasto in sordina. Un po’ perché i nuovi regolamenti sono entrati in vigore in pieno agosto, un po’ per l’escamotage dell’autocertificazione introdotto in corsa. Ma nei porti già ai primi di settembre ci si attende il caos, con merci da sdoganare non si sa bene come, o carichi da bloccare. Finora ciascuno si è regolato come meglio ha creduto: Genova ha accettato l’autocertificazione, Taranto non ha segnalato merce bloccata o soggetta a ulteriori certificati. ma prima o poi la materia è destinata ad esplodere.Di qui la decisione di congelare tutto. Sempre che giovedì prossimo le nuove indicazioni siano chiare. Altrimenti per le dogane e per i porti sarà nuovo caos.
Condividi su Facebook

Il complotto

Questa mattina diamo ancora spazio all'armageddon mediatico iniziato dal foglio di Feltri con due articoli che riprendiamo da Repubblica.it. Il primo, di Alberto Custodero, riassume la situazione e le prossime contromisure attuate da parte del mondo politico. Il secondo, di Zita Dazzi, mette in luce quello che ormai si può definire un complotto contro Avvenire.
I Democratici sulla "nota informativa": "Se qualcuno ce l'ha, lo tiri fuori".
Berlusconi: "In questi giorni mai avuto alcuna telefonata col direttore".
Il Pd: "Il caso in Parlamento".
Copasir: "Vigileremo sui servizi".


Roma - È scontro sulla "velina" sul direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, pubblicata da Vittorio Feltri sul Giornale. Il Pd chiede che il caso si affronti in Parlamento mentre il Copasir, l'organo di controllo sugli 007, assicura che "vigilerà sul corretto funzionamento dei servizi in questo momento delicato della vita democratica". Feltri, intanto, dopo la rivelazione di Repubblica di ieri - la "nota informativa" citata dal Giornale non è contenuta nelle carte giudiziarie del Tribunale di Terni - è investito da una bufera di accuse. Ed è costretto a smentirsi fino quasi a negare l'esistenza della "nota informativa" citata per ben tre volte nell'inchiesta del Giornale nella quale Boffo viene definito "noto omosessuale già attenzionato dalla polizia di Stato per questo genere di frequentazioni...".
Emanuele Fiano, deputato pd e membro del Copasir, lo sfida: "Se ha quel documento, lo tiri fuori. Così vedremo da chi è firmato". È dunque ora il direttore del Giornale a doversi giustificare per rispondere alla domanda che da più parti gli viene posta: "Dove ha preso quella "nota informativa"?".
"Non ho mai parlato di schedature o informative giudiziarie - si difende ora Feltri - e il Viminale non c'entra in alcun modo. Abbiamo un documento che prova un fatto (il patteggiamento di Boffo, non i riferimenti alla sua vita privata, ndr), il resto non conta. Non conta da chi l'abbiamo avuto, non conta se ci sono errori perché non è un testo di diritto. Anche se i termini fossero impropri, i fatti sono questi e se qualcuno è in grado di smentirli lo faccia". Ma l'articolo del Giornale di venerdì parlava invece proprio di una "nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del direttore di Avvenire disposto dal Gip".
D'altronde è proprio in quella nota che sono contenute le frasi più gravi su Boffo definito "un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia per questo genere di frequentazioni". Negli atti giudiziari del resto non si fa nessun accenno alla vita privata di Boffo: quindi non è affatto irrilevante come sostiene oggi il direttore del Giornale, da dove provenga e che attendibilità abbia il documento su cui ha fondato la sua azione di killeraggio. Feltri nega, poi, di essersi recato a Palazzo Chigi dopo la sua nomina al Giornale.
"Non vado a Roma da 4 mesi - dichiara - non sono stato a Palazzo Chigi, né a Palazzo Grazioli. L'unico che ho sentito, venerdì scorso, è stato Gianni Letta. Voleva avere notizie dell'articolo. Ma erano le 23,30, e il Giornale era già in stampa". Berlusconi sostiene "di non aver mai avuto in questi giorni alcuna conversazione telefonica" col direttore del giornale di famiglia.
Ma la sua risposta non placa le polemiche politiche. "Quelle contro Boffo, ma anche altre allusioni minacciose - commenta il senatore pd Luigi Zanda - hanno le stesse caratteristiche delle "veline" che, in anni recenti e passati, hanno inquinato l'aria della nostra Repubblica". Mentre il deputato europeo leghista Matteo Salvini ammette che "il caso Boffo potrebbe essere un avvertimento alla gerarchia ecclesiastica", anche il capogruppo pd all'Antimafia, Laura Garavini, chiede chiarezza: "C'è un inquietante sospetto che grava sul governo, che a questo punto deve fare al più presto chiarezza in questa bruttissima vicenda".
A proposito di presunte schedature di omosessuali da parte del Viminale Boffo ha fatto sapere di aver ricevuto una telefonata dal ministro dell'Interno. "Maroni mi ha assicurato che quell'«informativa» non esce dall'apparato della pubblica sicurezza".

Una copia del certificato del casellario giudiziale del direttore di Avvenire
con un secondo foglio: "Riscontro a rischiesta di informativa di sua Eccellenza".
Boffo, la "velina" anonima arrivò a tutti i vescovi.
Il primo a rivelare di aver cestinato la lettera è stato Betori a Firenze.


Milano - Una fotocopia del certificato del casellario giudiziale del direttore di Avvenire, Dino Boffo. E, attaccato con una graffetta, un secondo foglio, dattiloscritto, non firmato e compilato in un italiano malfermo, dal titolo elusivo: "Riscontro a richiesta di informativa di sua Eccellenza". In queste due pagine, arrivate oltre due mesi fa sulle scrivanie di tutti i vescovi italiani, era scritta la storia che in questi giorni il Giornale della famiglia Berlusconi ha sbattuto in prima pagina.
L'arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, viene citato nel documento anonimo, come il cardinale Camillo Ruini e come il vescovo di Firenze Giuseppe Betori. Ed è proprio monsignor Betori a rivelare di aver cestinato quella lettera senza mittente e a scagliarsi contro i "fogli anonimi che circolano in questi giorni, assurti al rango di 'informativa'. Li ho sempre ritenuti - come ogni missiva anonima - degni del cestino della spazzatura, da cui provengono e devono tornare".
Della missiva si parlava da tempo negli ambienti ecclesiastici ed erano in molti a interrogarsi sulla provenienza di quel materiale imbarazzante e pieno di insinuazioni sul direttore del quotidiano della Cei. Nessuno aveva dubbi sul primo dei due fogli, visto che, pur essendo stata cancellata col pennarello la sede, c'era il timbro di una Procura della Repubblica e un estratto del casellario dal quale risulta il decreto penale del Tribunale di Terni a carico di Boffo. Ma sulla seconda pagina, gli alti prelati che l'hanno ricevuta, hanno visto l'ombra di una qualche burocrazia legata ai servizi segreti o di qualche nemico del giornalista nello stesso mondo cattolico.
È il linguaggio, poco giuridico, a tradire l'estensore del secondo foglio, ripreso senza alcuna modifica dall'articolo sul Giornale di Vittorio Feltri e citato come "nota informativa" in accompagnamento all'atto del giudice per le indagini preliminari. "Il Boffo è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni - si legge testualmente, con tanto di errori di ortografia - destinataria di telefonate sconcie e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale il Boffo aveva una relazione omosessuale".
Le stesse parole dell'articolo che ha puntato l'indice contro il direttore di Avvenire, reo di aver espresso critiche nei confronti del presidente del Consiglio. I cardinali e i vescovi che hanno ricevuto la missiva anonima non hanno tenuto in nessun conto le altre notizie peccaminose che si leggono nel messaggio: "Il Boffo è un noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni e gode indubbiamente di alte protezioni, correità e coperture in sede ecclesiastica".
Il vescovo di Firenze Betori, amico di lunga data del direttore di Avvenire, non ha dubbi di fronte a quei veleni: "Quale sia la mia stima e fiducia nei confronti del dottor Boffo lo mostra la collaborazione con lui instaurata negli anni del mio servizio alla Cei".
Condividi su Facebook

Sicurezza e solidarietà non sono opzioni contrapposte

Immigrazione. «Sicurezza e solidarietà sono valori indiscindibili».
Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Matteo Liut.

«Dentro una più ampia visione a favore della vita, la sicurezza e la solidarietà «non sono due opzioni contrapposte ma un’unica e inscindibile strada, perché si radicano entrambe nell’unità della persona, della natura umana». Una natura che «precede qualunque nostra decisione e vincola il dover essere morale dei singoli e della collettività: vincola qualsiasi autorità».
Danno la sveglia e fanno riflettere le parole pronunciate ieri mattina dall’arcivescovo di Genova, il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, durante la Messa celebrata assieme al vescovo ausiliare Luigi Ernesto Palletti al Santuario del monte Figogna nella tradizionale festa della Madonna della Guardia. Salita sulla vetta che sorveglia il porto della Lanterna, tutta la città si è stretta attorno al suo pastore portando i segni di una tradizione tanto radicata quanto coinvolgente.
Una devozione viva che il porporato abbraccia e cala all’interno di alcune delle questioni più attuali. E con pacata ma schietta saggezza evoca la distorta dicotomia che in questi giorni popola e riempie gli spazi veri o presunti di confronto soprattutto attorno al tema dell’immigrazione: sicurezza o solidarietà? Una contrapposizione fittizia, perché chi la alimenta dimentica quell’«umanesimo plenario e universale nato dal Vangelo, e che nel Vangelo ha continua ispirazione, verifica e sviluppo». Un umanesimo «che raccoglie il meglio di culture storiche che hanno trovato nel cristianesimo la sintesi elevata e feconda, e che, se vissuto con coerenza, porta frutti di civiltà e cultura per tutti».
Il cardinale, poi, ha invitato ad alzare lo sguardo verso la Madonna della Guardia, che «porta sulle braccia il Bambino Gesù e lo presenta, anzi lo offre a noi». Osservando quel «piccolo volto», ha sottolineato Bagnasco, anche chi non crede in lui può comprendere come Dio abbia «impresso in ogni uomo la sua immagine, facendone così una realtà sacra». Per questo la dignità di ogni essere umano «è inviolabile sempre e comunque, a maggior ragione quando la sua vita è più debole e indifesa». Come quando «i morsi dell’insicurezza, dell’oppressione politica e culturale, della persecuzione religiosa, dell’assoluta incertezza del futuro spingono tanti nostri fratelli e sorelle a tentare imprese impossibili pur di trovare speranza – ha continuato il porporato –. Imprese che, come spesso è avvenuto, sono segnate da tragedie che interpellano la coscienza di tutti».
Davanti a queste situazioni, «la sicurezza e la solidarietà sono diritti da rivendicare giustamente» ma sono anche «dei doveri da onorare onestamente». «Se non si può pretendere l’impossibile – ha aggiunto – si deve però assicurare tutto il possibile perché l’uomo è sacro sia per la fede che per la ragione, fuori e oltre le categorie dell’efficienza, dell’autosufficienza, e persino dell’autocoscienza: la vita umana ha una dignità intrinseca che precede tutto questo». Ed è su questa dignità «che si fondano le Carte dei Diritti umani, spesso – ha aggiunto a braccio – invocate per certi settori e taciute per altri».
Se è evidente, inoltre, che «le sfide della globalizzazione esigono risposte globali e organiche», oggi va ricordato che la complessità non può risolversi in relativismo culturale o nichilismo valoriale: il rischio sarebbe quello di uno «Stato etico», che pretende «di decidere l’ordine morale fondamentale, anziché riconoscere i valori costitutivi della persona come l’inviolabilità della vita umana, un lavoro decente, l’onorabilità, la cultura, la libertà, la casa, la sicurezza, la solidarietà».
Un messaggio forte e limpido, quello lanciato dal presidente della Cei. Ma non si pensi, ha concluso Bagnasco, a «una forma di "ingerenza" in ambiti che non sono di mia competenza»; lo si legga, invece come «un contributo che la Chiesa in moltissime forme – religiose e pastorali, culturali e sociali – offre alla riflessione di tutti e per il bene comune».
Al termine della Messa il rettore del Santuario, monsignor Marco Granara, ha ricordato che ieri cadeva anche il terzo anniversario dalla nomina ad arcivescovo di Genova di Angelo Bagnasco. «Come i pastori sostengono il popolo, anche il popolo sostiene i suoi pastori – ha risposto il cardinale –. Grazie per il vostro sostegno con la preghiera, l’affetto, la simpatia e la vicinanza: è un autentico aiuto nel mio servizio quotidiano a Genova e all’Italia. "Cristo è la vera speranza" è il mio motto episcopale – ha aggiunto il cardinale che è stato ordinato vescovo il 7 febbraio 1998 –: vorrei che il mio servizio episcopale fosse sempre "seminatore" di speranza e vorrei che voi foste un popolo di speranza, ovunque e comunque».
Ricordando il legame che «unisce nella preghiera ai piedi della Vergine le generazioni», ieri Bagnasco, durante la Messa presieduta nel pomeriggio, è tornato a rivolgersi al «popolo della speranza» di Genova. Alla diocesi ha indicato l’importanza del tema della sfida educativa, scelto dai vescovi italiani per il prossimo decennio: «È una sfida che riguarda tutti – ha detto – perché tutti partecipiamo a creare un clima educativo o diseducante. Ed è una missione che la Chiesa vive da sempre. In questo ambito i provvedimenti normativi non bastano: è necessario educare l’anima, la testa, il cuore».
Condividi su Facebook

Dire le cose come stanno in Italia

Rassegna stampa. Da Il Cittadino di oggi riprendiamo due articoli di Matteo Brunello sulla presenza del segretario del Partito Democratico Dario Franceschini alla Festa Democratica di Lodi ieri pomeriggio.
Il segretario nazionale del Partito democratico ha incontrato ieri referenti locali e simpatizzanti della formazione politica.
«Il comune di Lodi resterà a Guerini».
Dario Franceschini non ha dubbi sui risultati delle elezioni 2010.

«Vedrete che il comune di Lodi rimarrà dello stesso segno politico». Mancano ancora diversi mesi all’appuntamento elettorale, ma il segretario nazionale del Partito democratico fa sfoggio di fiducia. E, in una battuta, Dario Franceschini rassicura: la “roccaforte” di palazzo Broletto non subirà scossoni, nonostante la recente vittoria del centrodestra in provincia, il Partito democratico non si lascerà sfuggire l’amministrazione municipale. «L’attuale sindaco deve proseguire nella guida di questa città. Ha fatto bene in questi anni e deve continuare», osserva davanti al pubblico. Un’affermazione di sostegno per Lorenzo Guerini, seduto a fianco del responsabile nazionale del partito, che è arrivata nel pomeriggio di ieri, nel corso della visita alla festa organizzata nella consueta area del Capanno.
Un momento per illustrare i punti chiave della mozione Franceschini, alla presenza dei coordinatori locali del documento (Enrico Brunetti e Federico Moro) del coordinatore regionale Franco Mirabelli, dell’ex sottosegretario Gianni Piatti, del candidato alla segreteria regionale Emanuele Fiano, oltre a molti altri esponenti locali del Pd. E il discorso del segretario nazionale è tutto incentrato sulla fase congressuale e parla a tutto il popolo dei democratici, dai dirigenti ai militanti: «Ci vuole un dibattito franco, ma dovremo dimostrare di tenere distinto il confronto interno con le posizioni che assumiamo sui giornali. Per il partito è necessario che parli una voce sola». E il riferimento va ai tanti interventi e al susseguirsi di prese di posizione, che in passato sono anche costati strappi e hanno indebolito la guida. «In ogni caso - ha garantito Franceschini - una volta terminato il congresso noi saremo dalla parte del segretario che sarà scelto, tutti insieme per lavorare a favore di un’unica squadra». Poi a margine ha toccato il tema delle alleanze, che per le amministrative - ha detto - dovranno «essere decise localmente», senza scelte che arrivano dall’alto e da Roma.
Sempre in tema di accordi, in vista delle comunali del 2010, è intervenuto anche l’ex parlamentare Gianni Piatti: «Già da ora dobbiamo sentirci impegnati per le prossime elezioni. E dovremo anche discutere l’argomento delle alleanze, che dovranno essere in vista di un progetto e non una babele di linguaggi e programmi». Infine, all’ordine del giorno anche il rinnovo dell’amministrazione regionale del marzo prossimo. E su questo tema Emanuele Fiano ha utilizzato parole nette: «Non pensiamo che questa regione sia stata assegnata per diritto divino al centrodestra. Il presidente Formigoni vuole fare passare l’idea che, rispetto al resto del Paese, la nostra è un’isola felice, ma invece molti continuano ad essere i problemi non risolti». E, di fronte ad un folta platea, si è poi rivolto a Franceschini per invocare un partito democratico più autonomo a livello lombardo. «I partiti regionali non devono essere un appendice di quelli nazionali», ha sostenuto.

«Non lasciamoci intimidire e facciamo più opposizione».

«Serve più opposizione e non meno opposizione nel Paese. Non dobbiamo lasciarci intimidire e avere il timore di essere tacciati di antiberlusconismo. È necessario dire le cose come stanno in Italia». Sceglie la linea dura contro il governo, il segretario nazionale del Partito democratico Dario Franceschini. Nel corso del suo intervento alla festa dei democratici a Lodi, ieri pomeriggio, affronta il tema della crisi e dell’autunno difficile che potrebbero affrontare tante imprese. «Ci sono migliaia di aziende, che se non saranno sostenute a breve, non ce la faranno. E rischieremo di vedere molti operai e lavoratori che, per farsi sentire e dire le loro difficoltà, faranno come i dipendenti della Innse - ha detto - e di fronte a questa realtà è necessario un intervento incisivo, misure anti-crisi che il governo non ha messo in campo. Anzi noi abbiamo portato in Parlamento una serie di proposte e sono state bocciate tutte». E poi ancora il tema di quella che ha definito «la campagna d’intimidazione» del premier contro la stampa. E ha citato il caso della denuncia dei legali di Berlusconi nei confronti delle domande del quotidiano «La Repubblica». «Su un argomento tanto delicato, che tocca tutta la cittadinanza - ha continuato - potevano organizzare una manifestazione noi del Pd, ma ho preferito che a difendere la libertà di stampa ci vadano tutti, al di là del colore politico. Noi ci saremo e daremo li nostro appoggio, ma l’organizzazione sarà delle singole associazioni che si occupano di questi temi». Poi ha affrontato il discorso di un’opposizione che non deve lasciarsi intimidire, ma che sappia rivendicare con forza i diritti e affondare le proprie radici nella memoria. E ha quindi ha menzionato in particolare i partigiani, e l’importante ricordo del loro contributo per la democrazia in Italia, tanto che alla fine gli stata anche regalata la biografia dell’ex capo partigiano lodigiano, Edgardo Alboni. Inoltre, tra strette di mano e dopo avere salutato i militanti che lavorano per la festa, di fronte a una folta platea ha parlato anche della sua idea di partito: una formazione «aperta», che sia vicina ai suoi elettori e ai militanti, che partecipano alle scelte decisive del Partito democratico, tramite le primarie, oltre ad un partito che sia in grado di captare i cambiamenti della società. «Nello stesso tempo dobbiamo essere capaci di proseguire nel cammino fin qui iniziato, a partire dalla difesa del bipolarismo che è una direzione indicata dagli elettori», ha sostenuto. E poi ha invocato la necessità di andare oltre le tante storie e identità che costituiscono il Pd, per farle convivere in un ricchezza di dibattito: «Non dobbiamo tornare indietro. Abbiamo voluto un grande partito, che insieme vogliamo realizzare, per unire culture e anche provenienze politiche diverse, che sono da valorizzare». Per questo ha citato quanto gli è stato confidato nella sua recente visita a Gallipoli, da un ex dirigente di partito, che ha detto di volerlo sostenere non tanto per la sua provenienza, quanto per il progetto che ha di futuro.

Condividi su Facebook

domenica 30 agosto 2009

Il più devastante disegno autoritario dal dopoguerra

De Magistris: "Si prepara il colpo di Stato d'autunno".
Rassegna stampa - l'Unità.it, Luigi De Magistris.

Credo che il popolo italiano debba essere consapevole che la maggioranza politica - di ispirazione piduista - tenterà di utilizzare le Istituzioni per portare a compimento - nei prossimi mesi - il più devastante disegno autoritario mai concepito dal dopoguerra in poi. Un vero golpe d’autunno. Da un punto di vista istituzionale si cercherà di rafforzare il progetto presidenzialista - di tipo peronista - disegnato su misura dell’attuale Premier. Poteri assoluti al Capo dello Stato eletto dal popolo. Elezioni supportate dalla propaganda di regime costruita attraverso il controllo quasi totale dei mezzi di comunicazione. Il Parlamento - coerentemente ad un assetto autoritario e verticistico del potere - ridotto ad organo di ratifica dei desiderata dell’esecutivo con le opposizioni democratiche messe in condizione di esercitare mera testimonianza. La distruzione dell’autonomia e dell’indipendenza della magistratura attraverso la sottoposizione del pubblico ministero al potere esecutivo con modifiche costituzionali realizzate illegittimamente con legge ordinaria (quale quella che subordina il Pm all’iniziativa della polizia giudiziaria e, quindi, del governo), nonché attraverso la mortificazione del suo ruolo attraverso leggi quale quella che elimina di fatto le intercettazioni (rafforzando quindi la cosiddetta microcriminalità in modo, poi, da invocare poteri straordinari per combatterla).
La revisione della Corte Costituzionale e del Consiglio Superiore della Magistratura – non però nella direzione di liberare tali fondamentali organi dalle influenze partitiche e di poteri che pure sono presenti – ma attraverso il rafforzamento della componente politica e partitocratica. La soppressione della libertà di stampa e del pluralismo dell’informazione formalizzando normativamente la scomparsa dei fatti. La disintegrazione della scuola pubblica, dell’università e della ricerca, in modo da favorire il consolidamento della sub-cultura di regime, quella per intenderci che ha realizzato il mito del «papi», ossia del padrone che dispensa posti e prebende. Il prossimo Presidente della Repubblica – il desiderio dei nuovi peronisti è ovviamente quello che Berlusconi diventi il Capo, il Capo di tutto e di tutti - dovrà avere ampi poteri e con questi anche il comando delle forze armate (dopo aver già ottenuto la gestione della sicurezza attraverso la sua privatizzazione con l’utilizzo delle ronde da lanciare magari a caccia di immigrati e omosessuali) in modo da poter governare anche eventuali conflitti sociali con la forza.
Sul piano economico e del lavoro la maggioranza prepara la repressione al dissenso ed al conflitto sociale causato da un disegno che punta a rafforzare le disuguaglianze attraverso una politica economica che consolida sempre più i poteri forti e squilibra fortemente il Paese come nei regimi (chi ha già tanto deve avere di più, mentre sempre di più saranno quelli che non riescono ad arrivare alla fine del mese), con l’assenza del contrasto all’evasione fiscale e l’approvazione di norme che rafforzano il riciclaggio del denaro sporco. Il furto delle risorse pubbliche che vanno a finire nelle tasche dei soliti comitati d’affari. Il mancato adeguamento dei salari al costo della vita. L’incapacità di favorire l’iniziativa economica privata fondata sulla libera concorrenza supportando, invece, la rapacità dei soliti prenditori. L’assenza di strategia che possa rilanciare il lavoro - pubblico e privato - fondandolo sulla meritocrazia e non sul privilegio e sull’occupazione della cosa pubblica (come, per fare un esempio, nella sanità). Assenza di politiche economiche fondate su sviluppo e lavoro, tutela delle risorse e rispetto della natura e della vita. Il saccheggio, in definitiva, della nostra «Storia».
Un progetto contro il nostro futuro. Il colpo di Stato - apparentemente indolore ed a tratti invisibile - reso possibile dall’istituzionalizzazione delle mafie, dalla loro penetrazione nelle articolazioni economiche e pubbliche del Paese, dal loro controllo del territorio, dalla capacità di neutralizzare la resistenza costituzionale. Un golpe senza armi - ma intriso di violenza morale - con l’utilizzo del diritto illegittimo,della creazione di norme in violazione della Costituzione. L’eversione attraverso l’uso di uno schermo legale. L’uccisione della democrazia dal suo interno. È necessario, quindi, che si realizzino subito le condizioni per una grande mobilitazione civile, sociale e politica che si opponga a questo disegno autoritario che stravolge gli equilibri costituzionali e l’assetto democratico del nostro Paese.
Condividi su Facebook

Armageddon mediatico, trincee in montagna

Da l'Unità.it riprendiamo due commenti apparsi su due dei blog dei giornalisti del giornale: il primo tratto da "Invece" del direttore Concita De Gregorio, il secondo da "Nemici" di Giovanni Maria Bellu, entrambi datati ieri.

La guerra lercia.

Un assaggio della guerra che ci aspetta in autunno. Non sporca, lercia. La battaglia finale di un uomo malato, barricato nel delirio senile di onnipotenza che sta trascinando al collasso della democrazia un paese incapace di reagire: un uomo che ha comprato col denaro, nei decenni, cose e persone, magistrati, politici e giornalisti, che ha visto fiorire la sua impunità e i suoi affari dispensando come oppio l'illusione di un benessere collettivo mai realizzato. Dall'estero guardano all'Italia come un esempio di declino della democrazia, una dittatura plutocratica costruita a colpi di leggi su misura e di cavalli eletti senatori. Vent'anni di incultura televisiva - l'unico pane per milioni - hanno preparato il terreno. Demolita la scuola, la ricerca, il sapere. Distrutte l'etica e le regole. Alimentata la paura. Aggrediti i deboli.
È una povera Italia, un piccolo paese quello che assiste impotente all'assalto finale alle voci del dissenso condotto da un manipolo di body guard del premier armate di ministeri, di aziende e di giornali. L'ultimo assunto ha avuto il mandato di distruggere la reputazione del "nemico". Scovare tra le carte gentilmente messe a disposizione dei servizi segreti, controllati dal premier medesimo, dossier personali che raccontino di figli illegittimi e di amanti, di relazioni omosessuali, come se fosse interessante per qualcuno sapere cosa accade nella vita di un imprenditore, di un direttore di giornale, di un libero cittadino. Come se non ci fosse differenza tra il ruolo di un uomo pubblico, presidente del Consiglio, un uomo che del suo "romanzo popolare" di buon padre di famiglia ha fatto bandiera elettorale gabbando milioni di italiani e chi, finito di svolgere il suo lavoro, va a letto con chi vuole - maggiorenne, sì - in vacanza con chi crede. La battaglia d'autunno sarà questa: indurre gli italiani a pensare che non c'è differenza tra il sultano e i suoi sudditi, tra il caudillo e i suoi oppositori. Non è così: la parte sana di questo paese lo sa benissimo.
Un anno fa arrivavo in questo giornale scrivendo che avrei voluto diventasse "il nostro posto". Non immaginavo sarebbe stata una trincea di montagna. Mentre cresceva, l'Unità è stata oggetto di una campagna denigratoria portata avanti dal presidente del Consiglio e dai suoi alleati, da giornali compiacenti non solo - purtroppo - nel centrodestra. Anziché difendersi e reagire compatto il fronte dell'opposizione si è diviso in guerre fratricide. Mentre si alimentano i veleni e le calunnie su di noi i nostri lettori sono cresciuti, negli ultimi mesi, del 25 per cento, caso unico nel panorama editoriale. I cittadini ci sono: leggono, capiscono. Mentre l'aggressione diventava personale (scritte intimidatorie sotto casa, telefonate notturne, le nostre vite sotto scorta) ci venivano offerte da emissari dei poteri opachi videocassette e carte contenenti "le prove" di gesta erotiche dei nostri aggressori. Materiale schifoso, alcove filmate all'insaputa dei protagonisti. Naturalmente le abbiamo respinte. Il sesso tra adulti, di chi non lo baratti con seggi e presidenze, non ci interessa. Questo è quello che ci aspetta, però. Sappiatelo. Una guerra lercia.

Miserabile "scoop".

Una domanda ha tenuto impegnato il mondo politico e giornalistico per tutta la giornata di ieri: Vittorio Feltri ha eseguito un mandato o è andato oltre? Gli effetti del suo attacco a Dino Boffo, direttore di Avvenire, il quotidiano dei vescovi, farebbero propendere per la seconda ipotesi. La tela che Gianni Letta aveva pazientemente tessuto per settimane è stata lacerata nello spazio di un mattino. Silvio Berlusconi, che ne aveva estremo bisogno, non ha potuto avere la Perdonanza. La sua cena col cardinale Bertone è stata cancellata e, unica nota lieta, i soldi risparmiati sono stati destinati alle vittime del terremoto.
Fino alle 13,20 di ieri - quando una nota della sala stampa vaticana ne ha annunciato l'annullamento - la Cena della Perdonanza era considerata il punto d'arrivo di una trattativa nemmeno tanto segreta tra Berlusconi e le gerarchie vaticane. Queste ultime avrebbero messo definitivamente una pietra sopra le imbarazzanti gesta erotiche del premier che, in cambio, avrebbe dato ampie garanzie sulla conferma alla Camera dell'inutile legge sul testamento biologico approvata dal Senato prima dell'estate.
Il fatto che per suggellare l'accordo fosse stata scelta una ricorrenza piena di significati per la Chiesa aveva suscitato qualche perplessità negli ambienti cattolici. Ma proprio il cardinale Bertone aveva provveduto a edificare un argine invalicabile contro questa o qualunque altra obiezione chiarendo che le affermazioni di singoli uomini di Chiesa non vanno necessariamente attribuite al Papa.
Insomma, tutto sembrava andare per il meglio. E invece, ieri mattina, il quotidiano più vicino al premier, diretto da pochi giorni da un direttore scelto dal premier, tira fuori una notizia apparsa un anno fa su un settimanale di proprietà del premier, la rimpolpa con «informative» di fonte poliziesca oltre che giudiziaria, e accusa il direttore del quotidiano dei vescovi di essere un omosessuale e un molestatore.
Feltri è dunque andato oltre il mandato ricevuto? Non è detto. Nell'editoriale di presentazione del miserabile «scoop» ha tenuto a chiarire di aver pubblicato la notizia con «dispiacere». E di averlo fatto solo per dimostrare cosa può accadere quando la politica «si svilisce scadendo nel gossip». Che è, esattamente, quanto ha detto ieri il presidente del Consiglio.
L'ha fatto (mentre anche nella maggioranza si levavano voci indignate) con una dichiarazione di apparente «dissociazione» dove ha messo sullo stesso piano i suoi guai personali (e cioè la frequentazione di minorenni e le notti con le escort) e la storia raccontata dal Giornale. Trascurando, al pari di Feltri, che la vicenda attribuita al direttore di Avvenire è totalmente diversa. Si è trattato di un contrasto aspro tra persone adulte che si è concluso con un patteggiamento e con una multa. L'unico elemento di «scandalo» è l'attribuita omosessualità.
Negli anni Sessanta un servizio segreto, il Sifar, agiva più o meno allo stesso modo. Solo che, fortunatamente, non disponeva di organi di stampa.
Condividi su Facebook

Berlusconi come le tre scimmiette

Il Giornale all'assalto parla di assalto al Giornale. E nello stile Berlusconi che fa? utilizza naturalmente un sondaggio "usa e getta" e strilla: L’assalto contro «il Giornale» dei moralisti smascherati, e il coro di solidarietà che si è levato da sinistra a destra a favore di Dino Boffo, non hanno convinto gli italiani. È il risultato di un sondaggio lanciato da Sky Tg 24. La domanda rivolta ieri al pubblico è secca: «Il Giornale attacca la vita privata del direttore di Avvenire. I vescovi: «Fatto disgustoso. Con chi stai?». Ebbene, all’ora di cena il risultato è schiacciante: il 65 per cento risponde che sta dalla parte del quotidiano, quasi i due terzi del totale. Solo il 35 per cento si schiera a difesa del direttore moralista. La domanda, va sottolineato, non è rivolta soltanto ai lettori del Giornale, ma a tutti i telespettatori del popolare canale televisivo «all news» di proprietà di mister Rupert Murdoch alias «lo Squalo», magnate dell’editoria internazionale.
Ma intanto Berlusconi che ben conosce la valenza dei sondaggi e annusa l'umore del popolo vero si affretta a smentire alcune ricostruzioni giornalistiche che definisce, nel caso specifico, "falsità": "In questi giorni - sostiene il presidente del Consiglio - non ho mai avuto alcuna conversazione telefonica con il direttore del Giornale né con altri suoi collaboratori". Non c'entro dice insomma e chissà se Feltri, come Leonardo, arriverà a mangiare il panettone. E per fortuna per il Cavaliere che c'è Gheddafi, si può "rifuggiare" in Libia per togliersi di torno.Un lancio di agenzia delle 16:37 diceva "Silvio Berlusconi è atterrato a Tripoli. Il premier parteciperà ai festeggiamenti in occasione del primo anniversario della firma del Trattato di amicizia e cooperazione tra Italia e Libia. Il presidente del Consiglio è stato ricevuto dal primo ministro libico Baghdadi Mahmudi e dal ministro degli esteri Mussa Kussa. Berlusconi avrà un incontro con il leader libico Muammar Gheddafi". Un posto, forse l'unico insomma, dove nascondere la faccia, perché altrove i giornali sono impietosi, come ci dicono queste corrispondenze a Repubblica.it.
Grande evidenza sul principale quotidiano finanziario americano.
"Il primo ministro italiano ha ricevuto uno sgarbo pubblico inusuale".
Affondo del Wall Street Journal: "La Santa Sede umilia Berlusconi".

Federico Rampini.

New York - "Il Vaticano umilia Berlusconi dopo l'attacco del suo giornale". Il titolo è a sei colonne sul Wall Street Journal, un'evidenza insolita per il principale quotidiano finanziario degli Stati Uniti. L'articolo esordisce così: "Il primo ministro italiano Silvio Berlusconi ha ricevuto uno sgarbo pubblico inusuale da parte del Vaticano, dopo che un quotidiano controllato da suo fratello aveva attaccato il direttore di un influente giornale cattolico per le critiche alla vita privata del premier".
Considerato "la Bibbia" dell'establishment capitalistico americano, primo quotidiano economico al mondo per diffusione, The Wall Street Journal è solidamente conservatore. Non aveva ancora dato un tale rilievo alle vicende di Berlusconi. L'articolo osserva che "l'incidente con il Vaticano accade in un momento delicato per il primo ministro". Ricorda che le rivelazioni sulla sua vita privata negli ultimi mesi "hanno fatto sì che le sue relazioni con la Chiesa cattolica sono diventate sempre più tese". Il lungo servizio da Roma conclude: "L'intenzione di Berlusconi di partecipare alla Perdonanza era vista come un gesto nel senso del pentimento. La Santa Sede non ha voluto che fosse strumentalizzata come una benedizione alle sue posizioni politiche e alla sua vita personale".
Lo spazio dedicato a questa vicenda dal Wall Street Journal, che fa parte del gruppo Dow Jones di proprietà di Rupert Murdoch, segnala un salto di visibilità nei mass media americani, finora meno attenti rispetto a quelli inglesi, tedeschi, francesi e spagnoli. Sulla causa per diffamazione contro i giornali, il Wall Street Journal riprende la tesi dell'editoriale di Repubblica sul tentativo del premier di dirottare l'attenzione dalle sue difficoltà personali.

Sì, avete letto bene il padrone del Wall Street Journal è il Rupert Murdoch di Sky TG 24. Tirate voi le conclusioni di peso e di misura.

Il Telegraph sulla denuncia di Berlusconi.
"L'Italia è indignata, avrà ripercussioni".
Enrico Franceschini.

Londra - "Gli italiani arrabbiati dopo che Berlusconi dichiara guerra ai giornali". Questo il titolo con cui il Sunday Telegraph di Londra continua a seguire l'evoluzione della vicenda italiana, dopo la denuncia per diffamazione contro Repubblica e altri giornali europei da parte del presidente del Consiglio e dopo la nuova crisi nella relazioni tra il premier e il Vaticano per l'articolo del Giornale contro il direttore dell'Avvenire. Il caso ha ricevuto e riceve l'attenzione dei maggiori giornali e delle principali reti televisive in gran parte del mondo, non solo in Europa ma anche in America e in Russia, dove i tg hanno dato ampio rilievo agli ultimi sviluppi.
"Silvio Berlusconi dovrà confrontarsi con le ripercussioni" delle sue azioni legali contro i giornali che hanno riportato gli scandali della sua vita privata, scrive il Telegraph, notando che la decisione di chiedere un risarcimento danni per un milione di euro a "Repubblica" ha suscitato "indignazione" in Italia e potrebbe dunque rivelarsi un contraccolpo per il premier. Il quotidiano londinese nota che le associazioni della stampa e i giornalisti italiani hanno condannato l'iniziativa del leader del Pdl contro "Repubblica" e riferisce di denunce analoghe lanciate dall'avvocato Ghedini, a nome di Berlusconi, contro El Pais in Spagna, contro il settimanale Novel Observateur in Francia e la minaccia di cause per diffamazione anche contro giornali britannici, la cui copertura della vicenda è stata giudicata particolarmente "aggressiva" da Ghedini, scrive il Telegraph.
Sempre sul Sunday Telegraph, edizione domenicale del Telegraph, una testata conservatrice, c'è stamane un'intera pagina di inchiesta su un aspetto dello scandalo: l'esistenza di un "open marriage", un matrimonio aperto, ossia in cui ognuno poteva condurre la propria vita privata, tra Berlusconi e la moglie Veronica Lario, secondo quanto emerso dal libro "Tendenza Veronica" di Maria Latella, uscito nei giorni scorsi in una nuova edizione aggiornata in Italia, o perlomeno secondo quanto riportato in merito al libro dalla stampa britannica, che ha interpellato anche l'autrice. "Oh, Silvio, hai violato i patti", s'intitola l'ampio servizio, che cerca di spiegare perché Veronica Lario ha sopportato così a lungo l'infedeltà del coniuge e in quali circostanza possa funzionare il concetto di "coppia aperta".
"Veronica sapeva che il marito conduceva una vita indipendente, ma a un certo punto lui ha violato gli accordi", dice al Telegraph Maria Princeton, una businesswoman che ha avuto a sua volta un "matrimonio aperto" col proprio marito. "Ma con una regola strettamente osservata", precisa, "non fare niente in pubblico che possa umiliare mio marito o i nostri figli". Un libro intitolato "Open marriage", uscito in Inghilterra nel 1972, diventò un best-seller, vendendo un milione e mezzo di copie, scrive il giornale londinese e non mancano esempi recenti, come quello dell'attrice Tilda Swinton, che vive con lo scrittore John Byrne, padre dei suoi due figli, ma l'anno scorso si è presentata a ritirare un premio con il suo "boyfriend", Sandro Kopp. Ma per lo più simili coppie restano insieme per il bene dei figli, commenta sulle colonne del medesimo quotidiano lo psicologo Philip Hodson della British Association of Psychoteraphy: "Quando si apre il vaso di Pandora, ciascuno deve cercare di controllare la propria sventatezza e sforzarsi di capire quello che sta provando il suo partner".
Condividi su Facebook

La nona domanda

Chi ha dato a Feltri la falsa "nota informativa"?
Su Boffo una velina che non viene dal Tribunale.

Rassegna stampa - Repubblica.it, Giuseppe D'Avanzo.

La "nota informativa", agitata dal Giornale di Silvio Berlusconi per avviare un rito di degradazione del direttore dell'Avvenire, Dino Boffo, non è nel fascicolo giudiziario del tribunale di Terni. Non c'è e non c'è mai stata. Come, in quel processo, non c'è alcun riferimento - né esplicito né implicito - alla presunta "omosessualità" di Dino Boffo. L'informazione potrebbe diventare ufficiale già domani, quando il procuratore della Repubblica di Terni, Fausto Cardella, rientrerà in ufficio e verificherà direttamente gli atti.
Bisogna ricordare che il Giornale, deciso a infliggere un castigo al giornalista che ha dato voce alle inquietudini del mondo cattolico per lo stile di vita di Silvio Berlusconi, titola il 28 agosto a tutta pagina: "Il supermoralista condannato per molestie/ Dino Boffo, alla guida del giornale dei vescovi italiani e impegnato nell'accesa campagna stampa contro i peccati del premier, intimidiva la moglie dell'uomo con il quale aveva una relazione". Il lungo articolo, a pagina 3, dà conto di "una nota informativa che accompagna e spiega il rinvio a giudizio del grande moralizzatore disposto dal Gip del tribunale di Terni il 9 agosto del 2004". La "nota" è l'esclusivo perno delle "rivelazioni" del quotidiano del capo del governo. L'"informativa" subito appare tanto bizzarra da essere farlocca. Nessuna ordinanza del giudice per le indagini preliminari è mai "accompagnata" da una "nota informativa". E soprattutto nessuna informativa di polizia giudiziaria ricorda il fatto su cui si indaga come di un evento del passato già concluso in Tribunale.
Scrive il Giornale: "Il Boffo - si legge nell'informativa - è stato a suo tempo querelato da una signora di Terni destinataria di telefonate sconce e offensive e di pedinamenti volti a intimidirla onde lasciasse libero il marito con il quale Boffo, noto omosessuale già attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni, aveva una relazione. Rinviato a giudizio, il Boffo chiedeva il patteggiamento e, in data 7 settembre del 2004, pagava un'ammenda di 516 euro, alternativa ai sei mesi di reclusione. Precedentemente il Boffo aveva tacitato con un notevole risarcimento finanziario la parte offesa che, per questo motivo, aveva ritirato la querela...".
È lo stralcio chiave dell'articolo punitivo. È falso che quella "nota" accompagni l'ordinanza del giudice, come riferisce il Giornale. L'«informativa» riepiloga l'esito del procedimento. Non è stata scritta, quindi, durante le indagini preliminari, ma dopo che tutto l'affare era già stato risolto con il pagamento dell'ammenda. Dunque, non è un atto del fascicolo giudiziario. Per mero scrupolo, lo accerterà anche il procuratore di Terni Cardella che avrà modo di verificare, con i crismi dell'ufficialità, che la nota informativa non è agli atti e che in nessun documento del processo si fa riferimento alla presunta "omosessualità" di Boffo. La "nota informativa", pubblicata dal Giornale del presidente del Consiglio, è dunque soltanto una "velina" che qualcuno manda a qualche altro per informarlo di che cosa è accaduto a Terni, anni addietro, in un "caso" che ha visto coinvolto il direttore dell'Avvenire.
L'evidenza sollecita qualche domanda preliminare: è vero o falso che Dino Boffo sia "un noto omosessuale attenzionato dalla Polizia di Stato per questo genere di frequentazioni"? È vero o falso che la polizia di Stato schedi gli omosessuali?
Sono interrogativi che si pone anche Roberto Maroni, la mattina del 28 agosto. Il ministro chiede al capo della polizia, Antonio Manganelli, di accertare se esista un "fascicolo" che dia conto delle abitudini sessuali di Dino Boffo. Dopo qualche ora, il capo della polizia è in grado di riferire al ministro che "né presso la questura di Terni (luogo dell'inchiesta) né presso la questura di Treviso (luogo di nascita di Boffo) esiste un documento di quel genere" e peraltro, sostiene Manganelli con i suoi collaboratori, "è inutile aggiungere che la polizia non scheda gli omosessuali: tra di noi abbiamo poliziotti diventati poliziotte e poliziotte diventate poliziotti". "Da galantuomo", come dice ora il direttore dell'Avvenire, Maroni può così telefonare a Dino Boffo e assicurargli che mai la polizia di Stato lo ha "attenzionato" né esiste alcun fascicolo nelle questure in cui lo si definisce "noto omosessuale".
Risolte le domande preliminari, bisogna ora affrontare il secondo aspetto della questione: chi è quel qualcuno che redige la "velina"? Per quale motivo o sollecitazione? Chi ne è il destinatario?
C'è un secondo stralcio della cronaca del Giornale che aiuta a orientarsi. Scrive il quotidiano del capo del governo: "Nell'informativa si legge ancora che (...) delle debolezze ricorrenti di cui soffre e ha sofferto il direttore Boffo «sono a conoscenza il cardinale Camillo Ruini, il cardinale Dionigi Tettamanzi e monsignor Giuseppe Betori»". C'è qui come un'impronta. Nessuna polizia giudiziaria, incaricata di accertare se ci siano state o meno molestie in una piccola città di provincia (deve soltanto scrutinare i tabulati telefonici), si dà da fare per accertare chi sia o meno a conoscenza nella gerarchia della Chiesa delle presunte "debolezze" di un indagato. Che c'azzecca? E infatti è una "bufala" che il documento del Giornale sia un atto giudiziario. È una "velina" e dietro la "velina" ci sono i miasmi infetti di un lavoro sporco che vuole offrire al potere strumenti di pressione, di influenza, di coercizione verso l'alto (Ruini, Tettamanzi, Betori) e verso il basso (Boffo). È questo il lavoro sporco peculiare di servizi segreti o burocrazie della sicurezza spregiudicate indirizzate o messe sotto pressione da un'autorità politica spregiudicatissima e violenta. È il cuore di questa storia. Dovrebbe inquietare chiunque. Dovrebbe sollecitare l'allarme dell'opinione pubblica, l'intervento del Parlamento, le indagini del Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica (Copasir), ammesso che questo comitato abbia davvero la volontà, la capacità e soprattutto il coraggio civile, prima che istituzionale, di controllare la correttezza delle mosse dell'intelligence.
Quel che abbiamo sotto gli occhi è il quadro peggiore che Repubblica ha immaginato da mesi. Con la nona delle dieci domande, chiedevamo (e chiediamo) a Silvio Berlusconi: "Lei ha parlato di un «progetto eversivo» che la minaccia. Può garantire di non aver usato né di voler usare intelligence e polizie contro testimoni, magistrati, giornalisti?".
Se si guarda e si comprende quel che capita al direttore dell'Avvenire, è proprio quel che accade: il potere che ci governa raccoglie dalla burocrazia della sicurezza dossier velenosi che possano alimentare campagne di denigrazione degli avversari politici. Stiamo al "caso Boffo". La scena è questa. C'è un giornalista che, rispettando le ragioni del suo mestiere, dà conto - con prudenza e misura - del disagio che nelle parrocchie, nei ceti più popolari del cattolicesimo italiano, provoca la vita disordinata del capo del governo, il suo modello culturale, il suo esempio di vita. È un grave smacco per il presidente del Consiglio che vede compromessa credibilità e affidabilità in un mondo che pretende elettoralmente, indiscutibilmente suo. È un inciampo che può deteriorare anche i buoni rapporti con la Santa Sede o addirittura pregiudicare il sostegno del Vaticano al suo governo. Lo sappiamo, con la fine dell'estate Berlusconi decide di cambiare passo: dal muto imbarazzo all'aggressione brutale di chi dissente. Chiede o fa chiedere (o spontaneamente gli vengono offerte da burocrati genuflessi e ambiziosissimi) "notizie riservate" che, manipolate con perizia, arrangiate e distorte per l'occasione, possono distruggere la reputazione dei non-conformi e intimidire di riflesso i poteri - in questo caso, la gerarchia della Chiesa - con cui Berlusconi deve fare i conti. Quelle notizie vengono poi passate - magari nella forma della "lettera anonima" redatta da collaboratori dei servizi - ai giornali direttamente o indirettamente controllati dal capo del governo. In redazione se ne trucca la cornice, l'attendibilità, la provenienza. Quei dossier taroccati diventano così l'arma di una bastonatura brutale che deve eliminare gli scomodi, spaventare chi dissente, "educare" i perplessi. A chi altro toccherà dopo Dino Boffo? Quanti sono i dossier che il potere che ci governa ha ordinato di raccogliere? E contro chi? E, concluso il lavoro sporco con i giornalisti che hanno rispetto di se stessi, a chi altro toccherà nel mondo della politica, dell'impresa, della cultura, della società?
Condividi su Facebook

Armageddon mediatico, Boffo affonda Feltri

Rassegna stampa - Avvenire.
Il direttore risponde.
Non un’«informativa», ma un’emerita patacca.

Il mitico Feltri sventola il giorno dopo un foglio e dice che lui ha in mano i documenti. E, perdinci, cosa fa un giornalista quando gli arriva in mano un documento? Nell'Italia della sprovvedutezza e dell'ignavia, almeno lui agisce e pubblica, punto e chiuso. Già, ma perché prima che sia troppo tardi, non c'è qualcuno che si prende la briga di informarlo che quella che sventaglia come la provvida sciabola della giustizia è solo una traccia contorta e oscura che qualcuno ha confezionato e fatto girare in attesa che un allocco si presti al gioco?
È sorprendente che proprio il Mourinho dei direttori, il più mediatico dei mediatici, il più elegantone degli eleganti, il principe dei furboni, non si sia peritato di sottoporre previamente a qualche conoscitore di cose giuridico-giudiziarie quel cosiddetto documento - e se si trattasse di una banale lettera anonima, degna di ritornare tra quella spazzatura da cui proviene? - per smascherarne eventuali aporie, incongruenze, o addirittura strafalcioni. Nella congerie di insinuazioni di cui si raccontava sul Giornale di venerdì, non avevo neppure fatto troppo caso a dove si diceva che sarei stato da tempo «già attenzionato dalla Polizia di Stato per le mie frequentazioni» (ora, a scriverla, mi manca il fiato).
Le cose assurde erano talmente tante, che onestamente questa non mi aveva colpito più di altre. Fino a quando non mi ci ha fatto tornare Roberto Maroni allorché, con una telefonata per me assolutamente inattesa, ha voluto manifestarmi la sua solidarietà e il senso di schifo che gli nasceva dalle cose lette. Ma il ministro dell'Interno teneva anche ad assicurarmi di aver ordinato un'immediata verifica nell'apparato di pubblica sicurezza che da lui dipende, e che nulla, assolutamente nulla di nulla era emerso.
È solo un esempio, appunto. Ma si potrebbe spulciare riga per riga di quel fantomatico documento (vera «sòla») e controbattere, e far emergere di quel testo anzitutto l'implausibilità tecnica, poi magari quella sostanziale. Lo faremo, se necessario. Fin d'ora però, a me non interessa polemizzare istericamente con Feltri, per allertare invece l'opinione pubblica su qualche altra porcata che puntualmente verrà fuori, e che magari Feltri stesso ha «prudentemente» tenuto per un eventuale secondo tempo. Poi, si sa, una perla cattiva attira l'altra, come le ciliegie.
Rimane però il mistero iniziale: come avrà mai fatto il primo degli astuti a non porsi una domandina elementare prima di dare il via libera alla danza (infernale): questo testo che ho in mano è realmente un'«informativa» che proviene da un fascicolo giudiziario oppure è una patacca che, con un minimo appiglio, monta una situazione fantasiosa, fantastica, criminale? Perché, collega Feltri, questa domandina facile facile non te la sei posta? Ma se te la fossi fatta, sei proprio sicuro di avere vicino a te le persone e le competenze giuste per compiere i passi a seconda della gamba? Non sei corso troppo precipitosamente a inaugurare la tua nuova stagione al timone di quello che non è più un foglio corsaro ma il quotidiano della famiglia del presidente del Consiglio, che ti paga credo lautamente? Ad un certo punto, nella giornata di venerdì, nel sito del Giornale è comparso il testo di un lettore non certo mio amico (alfo.m., che ha trovato spazio anche sul sito dell'Uaar).
Spulciando i vostri articoli, costui annotava «l'incredibile quantità di strafalcioni ed inesattezze giuridiche», e didatticamente li elencava (riproduciamo questa lettera, riquadrata, qui sotto). Peccato che quel contributo sia prontamente sparito dall'online, avrebbe potuto far aprire gli occhi a quelli ancora ingenui che in buona fede credono a quello che scriviamo, e non sanno invece con quanta leggerezza talora impegniamo le nostre truppe in campagne tanto veementi quanto malaccorte.
Un divertissement, per noi lo scrivere, come per qualche volpone o volpina lo era - non più tardi di giovedì sera - aggirarsi per gli stand dell'ignaro Meeting menando vanto per l'imminente cannoneggiamento del tuo giornale. Non importa se il divertissment ammazza moralmente una persona, l'importante è il sollazzo. Una scuola di giornalismo anche questa. Già, ma attento, tu naturalmente sai più cose di me, e tuttavia potresti non esserti accorto che si sta restringendo l'area dei lettori che a noi credono sempre e comunque. L'area di quelli che scorgono, dentro la nostra sciagurata categoria, gli intemerati cavalieri senza macchia e senza paura. Quando anche costoro si desteranno, per quelli di una certa scuola sarà la fine. Peccato che nel frattempo - temo - avranno definitivamente ammazzato la professione. Per ora sappi che hai pestato una cacca ciclopica. Auguri.

Post scriptum:
1) Ho visto che i tuoi amici (Sgarbi, Capezzone, Renato Farina...) sono preoccupati per un'aggressione ai tuoi danni che vedono profilarsi all'orizzonte: essi hanno la mia stima, li condivido e li ringrazio, dobbiamo infatti riuscire a vivere in modo che non ci siano aggressori proprio perché non ci sono aggrediti, nello spirito di quella Perdonanza cui ci richiama Giuliano Ferrara. Non c'è bisogno infatti del conflitto violento neppure nella contesa più aspra, e da parte mia ti prometto che quanto di fondamentale non farà spontaneamente capolino davanti all'opinione pubblica, emergerà civilmente e pacatamente in un tribunale della Repubblica, cui i miei avvocati già lunedì si presenteranno per la querela.
2) Tu e, molto più modestamente io, siamo ormai direttori di lungo corso. Non so tu, ma io ho passato gran parte dei miei quindici anni da direttore a incontrare persone che volevano fare il giornalista, a verificare i loro percorsi, a ragionare sulle loro ipotesi interpretative. Non tutti i contatti sono finiti bene e, non so a te, ma a me è capitato che qualcuno di essi sia tecnicamente finito male, nel senso che alla fine io abbia ritenuto (indovinando, sbagliando? non lo so) che quel dato giovane collega, magari abile, non fosse tuttavia adeguato ad Avvenire. Ecco, permettimi un suggerimento: cerca in questi giorni di non fare del male al tuo giornale e ai tuoi lettori concedendo la ribalta a chi forse appare molto informato (si spiegherà anche lui in tribunale), ma potrebbe mirare soltanto a saldare qualche vecchio conto.
Grazie.

Qui sotto il testo della lettera a Il Giornale online cui si fa riferimento nel testo.
«Il Giornale» online.
Intervento prima pubblicato e poi cancellato dal sito.
Sul Forum de 'Il Giornale' il 28.08.09 alle ore 13: 13 il lettore alfo. m ha scritto:

«È incredibile la quantità di strafalcioni ed inesattezze giuridiche di questo artico­lo.
a) La molestia ( 660 C. P.) è una contrav­venzione e non è previsto il rinvio a giudi­zio del Gip, semmai la citazione diretta da parte del Pm.
b) La molestia è reato procedibile d’ufficio, quindi è impossibile che sia stata ritirata la querela dalla persona offesa.
c) La molestia è contravvenzione oblazio­nabile, ma forse il giornalista nemmeno sa cosa sia questa procedura.
d) Secondo il giornalista, Boffo avrebbe pa­gato 516 € per il patteggiamento, ossia la cifra massima prevista per la pena pecu­niaria alternativa all’arresto: impossibile! Cosa fa? Patteggia per ricevere il massimo della pena? Da sbellicarsi dalle risate... Per non tacer del fatto che per la scelta del rito si ha diritto ad uno sconto di pena fino ad 1/ 3, per non parlare poi di tutte le atte­nuanti. Complimenti davvero, mi fate mol­to, molto ma molto riflettere! »
L’intervento è stato rimosso poco dopo.
E noi con alfo. m riflettiamo, riflettiamo molto anche tenendo presente chi qui a Brembio di quel foglio si fa campione nei suoi strilli spesso a vanvera.
Condividi su Facebook

Pgt e biogas, altrove fanno discutere

San Rocco al Porto.
Scintille in Consiglio su piano regolatore e avvio dei lavori dell’impianto a biogas.
Rassegna stampa - Il Giorno di oggi.

Via libera del Consiglio comunale all’accordo con il comune di Guardamiglio per la stesura del Piano di Governo del Territorio. Venerdì sera l’assemblea ha votato a favore dell’iniziativa. Contrari gli esponenti di opposizione della lista «Guidesi sindaco», che non hanno contestato il patto in sé, quanto piuttosto alcune scelte effettuate e messe nero su bianco in esso. Ad illustrare in aula l’accordo è stato l’assessore all’urbanistica e ai lavori pubblici Claudio Spelta.
«Unendo le forze con Guardamiglio — ha precisato Spelta — otterremo un risparmio». Guido Guidesi, leader dell’opposizione, ha definito una «scorrettezza» aver pubblicato l’avvio del procedimento in forma associata prima che il Consiglio di San Rocco si esprimesse, e ha espresso perplessità sulla scelta di individuare Guardamiglio, comune più piccolo, come capofila. In aula animi agitati anche per i lavori di realizzazione di un impianto di biogas avviati nella frazione Mezzana Casati e di cui la minoranza ha chiesto informazioni perchè pare che in paese nessuno sapesse nulla.

Lodi. Il nuovo piano regolatore arriverà in Consiglio sotto elezioni.
Urbanistica, l’ultimo nodo aperto.

Guido Bandera.

L’ultima grande scelta prima delle elezioni comunali sarà il nuovo piano urbanistico della città. Una corsa contro il tempo: il piano di governo del territorio, nel programma amministrativo dell’attuale giunta di centrosinistra, deve essere approvato prima della fine del mandato. I tempi stringono e le scelte da compiere sono molte. Si tratta infatti di una svolta nello sviluppo della città, dai tempi dell’ultima variante al piano regolatore, che risale a molti anni fa. Poco prima delle ferie, la Giunta di Lorenzo Guerini ha varato uno dei documenti che compongono il complesso mosaico del piano: la Valutazione ambientale strategica.
In queste 79 pagine, come previsto dalle norme regionali, tutta l’analisi della situazione ambientale della città: rifiuti, inquinamento, traffico, consumo del suolo, ma anche l’uso dell’acqua, dei trasporti pubblici. La fotografia che emerge dalle pagine dello studio, affidato all’architetto Angelo Bugatti, dell’università di Pavia, racconta di problemi vecchi di anni. In primo luogo, un uso intenso dell’automobile. Oltre l’80 per cento dei pendolari di Lodi si muove sulla propria vettura. Poi, emerge una situazione difficile per quanto riguarda le polveri sottili, sempre ampiamente sopra la media prevista come limite dall’unione europea. Come questa situazione può essere modificata però dalle scelte urbanistiche, è difficile dire. Certo, il Comune punta, stando al piano, a un miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici, a un minor consumo delle risorse idriche, a una riduzione del consumo del suolo. In prospettiva, secondo il futuro piano di governo del territorio, Lodi dovrà crescere, ma solo in zone predefinite. Il grande ampliamento dell’edificazione in zona oltre Adda è statato fortemente ridimensionato. L’obiettivo massimo di crescita in abitanti è fissato a quota 55mila. Ma questo se avverrà avverrà solamente nell’arco di diversi anni. Per il resto le linee guida restano quelle già previste. Sviluppo edilizio, in linea di massima, solo nelle zone interne alla tangenziale, moderna «cinta muraria» della città. Anche se a «macchiare» la purezza del progetto ci hanno già pensato i comuni limitrofi che nelle zone di confine hanno già dato vita a una fortissima espansione, soprattutto commerciale. Il documento che la Giunta si appresta a completare e a sottoporre (non si sa ancora quando) all’attenzione del Consiglio comunale dovrà però attraversare le acque tempestose dell’ultimo scorcio di mandato, quello che prelude alla campagna elettorale di marzo.
Condividi su Facebook