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lunedì 31 agosto 2009

Sulla libertà bisogna vigilare ogni giorno

Riportiamo la lettera di Andrea Ferrari, assessore alla Cultura del Comune di Lodi, che Il Cittadino di oggi pubblica nelle pagine di "Lettere & Opinioni.
Martiri. Costruire una memoria collettiva.
Rassegna stampa.

Sono passati 65 anni dal drammatico episodio dei Martiri del Poligono che ci troviamo ancora una volta qui a commemorare. Un arco temporale breve da un punto di vista della analisi e della lettura storica di quello specifico periodo ma sufficientemente lungo per rischiare di non essere più collocato e compreso dalle nuove generazioni che non hanno, fortunatamente, vissuto quei drammatici anni. Credo sia allora importante tentare di ricordare il contesto entro cui avviene l’episodio dei Martiri e anche il clima che si respira in chi tenta di liberarsi, anche nel Lodigiano, del regime fascista.
Nel Lodigiano la fine del governo Mussolini viene festeggiata con feste popolari; molti agricoltori concedono ai propri dipendenti la possibilità di partecipare alle dimostrazioni di piazza e nelle fabbriche si formano le prime Commissioni interne. Con la nascita della Repubblica Sociale Italiana circa il 70% dei soldati sceglie di non tornare nelle caserme e di non farsi catturare; in questo la popolazione delle città e della campagna contribuisce in modo fondamentale: persone delle più diverse estrazioni sociali e politiche rinunciano al denaro promesso a chi collaborava alla cattura, rischiando il carcere e la deportazione.
Anche nella nostra città la repressione mostra il suo volto; tra i primi ad essere arrestati il curato di S. Bernardo don Davide Perniceni e l’agricoltore Panti Boselli di Lodi Vecchio, mentre tra coloro che vennero deportati vi sono Ettore Archinti, Edoardo Mazzi e Isa Folli. In questo clima, in cui il fascismo repubblichino continua a compiere deportazioni e uccisioni, si inserisce l’episodio drammatico di Oreste Garati, detto “Falco Rosso”, e del suo gruppo.
Il duplice attentato del 10 luglio al gerarca Paolo Baciocchi e al Commissario Prefettizio Gino Sequi convince i fascisti a compiere un rastrellamento nella zona tra Spino d’Adda, Villa Pompeiana e Galgagnano. Alla cascina Cagnola, il 26 luglio, vengono fucilati barbaramente l’agricoltore Celestino Sfondrini (a cui vengono concessi 5 minuti per salutare i propri familiari) e tre contadini, Michele Vergani e Giuseppe e Artemio Massari. Nello stesso giorno a Villa Pompeiana vengono fucilati anche sette giovani renitenti. Questo rastrellamento, il più duro e cruento di tutto il Lodigiano, non riesce comunque a individuare gli attentatori di Baciocchi e Sequi.
Il 21-22 agosto viene arrestato il gruppo di Falco Rosso e alle 13 del giorno successivo, senza nessuna sentenza di tribunale, senza nessun processo e senza che si sapesse chi lo decise, vengono fucilati, dopo aver subito terribili torture, Oreste Garati, Franco Moretti (16 anni), Ettore Maddè (19 anni), Lodovico Guarnieri (21 anni) e Giancarlo Sabbioni (17 anni). Ai genitori e parenti viene concesso di aprire le bare e riconoscere quel che resta dei propri cari solo il mattino dopo. Un particolare questo che, proprio per la sua inumanità, rimane nella memoria collettiva lodigiana come uno dei momenti in cui il regime mostra la sua faccia più feroce e vendicativa.
Il Poligono fu ancora triste teatro nei mesi successivi di altre fucilazioni di giovani partigiani: persero la vita Frigoli di Livraga (19 anni), De Avvocatis di Napoli (20 anni), Zaninelli di San Martino (23 anni), Biancardi di Livraga (27 anni).
Credo che solo comprendendo questo contesto sia possibile, per un giovane, capire oggi le scelte coraggiose, di persone che cresciute nelle organizzazioni fasciste, scelgono di mettere in gioco la propria vita facendo una scelta che potremmo definire di vero e proprio impegno civile. È questo tratto essenziale, questa scelta “ribelle” (nel segno di una ribellione morale e, appunto, civile) il primo e più originario carattere della Resistenza: l’elemento che la qualifica sul piano dei principi e che divide come un abisso chi lotta per la libertà e chi vuole soffocarla.
Penso che da un punto di vista culturale si sia più volte tentato di far passare l’idea che la popolazione “civile” si ponesse in una posizione neutrale tra fascisti e partigiani, eludendo in modo consapevole il fatto, innegabile, che i repubblichini erano stati fino all’ultimo collaborazionisti e complici dell’occupazione nazista, e che la Resistenza sia stata una vera lotta popolare, poiché diffusa in ampi strati della popolazione, con forte trasversalità di condizione sociale, formazione culturale e posizione politica. È probabile che il tentativo di ribaltare la lettura di questi dati miri innanzitutto ad “isolare” la Resistenza, presentandola come fenomeno relativo ad una ristretta fazione non effettivamente rappresentativa del sentire comune e prevalente degli italiani, minando così alla base il valore “universale” delle leggi costituzionali della lotta antifascista.
Si deve invece rifiutare l’uso politico e strumentale della storia, che comporta fatalmente l’alterazione e la manipolazione di verità fondamentali, ormai date ed acquisite sulla base di rigorosi riscontri. Un revisionismo serio e costruttivo dovrebbe al contrario favorire approfondimenti e rinnovate interpretazioni storiche condotti in modo oggettivo e con spirito di verità, che contribuiscano a migliorare la conoscenza e la consapevolezza del nostro passato, con riflessioni puntuali sulle condizioni della quotidianità, l’ambiente culturale, le dinamiche sociali e i numerosi fattori di convivenza civile che possono stare all’origine dei fenomeni storici.
La memoria della Resistenza non deve essere rivolta esclusivamente al passato ma è necessario che diventi uno strumento che aiuti ad essere consapevoli del presente e a proiettare la nostra società ed il nostro modello di convivenza democratica verso il futuro. Gli elementi e i valori che hanno ispirato la Resistenza devono perciò diventare elementi essenziali nella formazione delle giovani generazioni.
In questo senso, ricordare l’eccidio del Poligono deve essere inteso non tanto come un mero momento rievocativo e commemorativo, ma come un punto di partenza per costruire una memoria collettiva (in primo luogo a partire dalle scuole) di quei valori e di quei sentimenti che hanno spinto tante persone, giovani e mature, uomini e donne a credere in valori e ideali nuovi e condivisi: proprio quei valori e cui è stata improntata la nostra Carta Costituzionale, frutto di quella stagione di riscatto della libertà e della democrazia.
Mi capita a volte di cercare di immaginare il volto dei giovani che consumarono il loro sacrificio al Poligono e pensare in questo modo al volto della libertà, il volto dell’impegno (sino ad accettare estreme conseguenze) di chi ha contribuito a rendere oggi l’Italia una nazione democratica e libera. E la Libertà è un bene prezioso, perché, come diceva Piero Calamandrei «la libertà è come l’aria: ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso d’asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso d’angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso d’angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare».
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