Rassegna stampa - La Padania, Umberto Bossi, 14 settembre 2009.
Siamo venuti a Venezia anche quest'anno, però vi devo dire che sarà l`ultima volta: il prossimo anno si ritornerà a fare la catena lungo il Po. È un monito che significa che i nostri popoli - piemontese, veneto, lombardo... - compatti vogliono la libertà. E che non moriranno mai fino a quando ci sarà la volontà di ottenere i loro diritti di libertà.
Gli anni scorsi sembrano che siano passati inutilmente, ma non è così: siamo qui per ricordare, ad esempio, che lo Stato, da centralista, è diventato federalista. Qualcuno ha pensato: diamogli pure i nostri voti, facciamo contenti Bossi e la Lega e così li teniamo tranquilli, ma in realtà non è così. Non si erano accorti che il Federalismo implica anche il principio secondo cui i salari devono essere rapportati al costo della vita. Abbiamo visto che la stessa Banca Centrale ha dichiarato che esiste una differenza tra Nord e Sud: nel Settentrione la vita costa in media il 17 per cento in più. Non lo abbiamo detto noi: ci siamo limitati a registrare i dati che altri hanno diffuso.
I Paesi federalisti, così poco conosciuti dagli altri partiti italiani, prevedono che ci sia un rapporto proporzionale fra il salario e il costo della vita. In America un operaio di Detroit prende un salario diverso da un operaio di Chicago: adesso tocca a noi, perché il Federalismo è anche a vantaggio degli operai, che hanno tutto il diritto di arrivare alla fine del mese per mantenere la propria famiglia e i propri figli.
Sono idee e progetti che avevamo già da molti anni e finalmente ci siamo arrivati, grazie al nostro sindacato: Rosi è stata molto importante per la Lega, è riuscita a organizzare un sindacato che ha tanta valenza politica da sembrare un partito.
Mi ricordo quando c`era da litigare in Consiglio federale della Lega, perché nessuno aveva la lungimiranza di capire quanto un sindacato nostro sarebbe stato necessario per entrare nelle fabbriche e parlare con i lavoratori. Ma io mi sono impuntato e mi sono messo in gioco personalmente e ho appoggiato Rosi: se a loro non stava bene potevano cambiare il Segretario federale, perché volevo assolutamente che ci fosse un sindacato che portasse avanti le idee della Lega. Perché quando si arriverà al Federalismo ci servirà un sindacato che è cresciuto nelle fabbriche fra i lavoratori, perché allora bisognerà mettere in rapporto il salario con il costo della vita. E adesso ci siamo arrivati. Quest'estate ci è servita per lanciare e rendere pubblico ciò che volevamo. Brava, Rosi! E un bravo anche a Maroni: è stato fondamentale perché ha fermato l'arrivo di milioni di immigrati sbandati che giungevano in maniera confusa a casa nostra, senza documenti e passaporto.
Molti non arrivavano neppure: sprofondavano nell'oscurità dei mari nel tentativo disperato di arrivare da noi. Occorrevano persone forti che avessero il coraggio di affrontare quello che stava avvenendo: Maroni lo ha fatto.
Una volta, in Consiglio dei ministri, Berlusconi è venuto fuori con la proposta di mettere in galera quelli che fanno le scritte sui muri. Io gli ho fatto notare che allora avrebbe fatto finire in prigione almeno due membri del Governo: io e il ministro dell'Interno. Ai bei tempi io andavo a scrivere sui muri e Maroni mi accompagnava con la macchina. Per cui ho detto a Berlusconi che una legge che mandasse in galera chi fa scritte sui muri non passerebbe mai. Poi bisogna vedere quali muri: quei brutti muri grigi, come per esempio quelli sulle autostrade, con qualche scritta si abbelliscono, diventano la voce del popolo.
Sulle alleanze voglio fare alcuni appunti: da soli sicuramente si va più veloci e si arriva prima, ma insieme, uniti, si va più lontano. Soprattutto quando gli alleati sono come la Lega e il Popolo della Libertà. Due giganti uno sulle spalle dell'altro vedono molto più lontano.
È chiaro che noi abbiamo un progetto più complesso: non basterà il Federalismo. Noi vogliamo cambiamenti epocali, completi. La Lega rappresenta la Padania e i suoi popoli, che mai vennero sconfitti, tutt'al più hanno litigato fra di loro. Se Venezia e Milano avessero fatto un accordo secoli fa non sarebbe arrivato neppure Napoleone. La Padania è una terra ambita da tutti: ha le montagne che la difendono dai venti freddi che arrivano dal Nord, è una terra fertilissima, bellissima.
Castelli ci ha ricordato che il Po riceve anche acque dall'Appennino Tosco-emiliano: ecco perché anche i toscani si rivolgono a noi e vengono qui.
Gli uomini della Lega, come appunto l'ingegner Castelli che sta progettando le dighe sul Po per mantenere alto il livello delle acque e renderlo navigabile, sono gente brava, non sono arrivati lì per caso. Hanno una dote: credono in quello che fanno, lottano, non si vendono. La Lega c'è ora e ci sarà sempre, fino a quando la Padania non sarà realizzata, fino a quando non ci saranno i diritti alla libertà. Noi veniamo a Venezia perché sappiamo che un giorno la Padania sarà uno Stato libero, indipendente e sovrano: su questo non abbiamo il minimo dubbio. Siamo amici di tutti, ma abbiamo il diritto alla nostra libertà. Abbiamo sempre aperto il nostro portafoglio e aiutato tutti, però abbiamo la necessità che i nostri diritti vengano rispettati: primo fra tutti la nostra libertà. Non è possibile, ad esempio, che nelle scuole non ci sia un solo insegnante nostro, che nei tribunali non ci sia un giudice che sia dei nostri. O Roma e il suo Parlamento si sveglia e fa leggi dettate dalla giustizia e dal buon senso, oppure sarà il popolo a ristabilire le cose.
Abbiamo qui il regista Martinelli, che presenta il suo film sul Barbarossa e ha in progetto quello su Marco d'Aviano. Non dico che il cinema possa essere la nostra arma più importante: questo lo diceva a suo tempo Mussolini e poi è stato applicato dalla sinistra. Però è sicuramente un bene che noi possiamo utilizzare, attraverso una nostra cinematografia, possiamo avere la possibilità di ricordare la nostra storia. Foscolo diceva che davanti alle tombe dei grandi la gente, i popoli crescono: bene lo diciamo anche noi. Ricordando la nostra storia, noi sappiamo che la gente crescerà in coraggio, decisione e volontà. Siamo tutti cresciuti: oggi non c'è più niente che ci spaventa, neppure il carcere. Perché sappiamo che ci sono milioni di uomini, di donne, di ragazzi che crescono e pensano a noi. Siamo davvero tutti per uno e uno per tutti. Poi ovviamente c'è chi non accetta questa realtà e ci fa la guerra in tutti i modi, ma tempo verrà che chi ha fatto la guerra in maniera discriminata, stolta, contro un grande popolo alla fine pagherà. Perché alla fine i grandi popoli uniti vincono, attraverso le vie della giustizia ma anche in battaglia.
Nel film su Marco d'Aviano vedremo come la cavalleria padana sconfisse quella turca che era arrivata alle porte di Vienna. L'11 di settembre, data ora fatidica per le Torri Gemelle dì New York, del 1683, la cavalleria turca era davanti a Vienna, ormai una città morta, e sarebbe stata invasa l'Europa e ora saremmo solo una delle tante comunità musulmane. Ma arrivò là cavalleria padana, ragazzi di Cremona, delle province emiliane del Nord, del Veneto, che rovesciarono in un'epica battaglia la cavalleria turca e la misero in fuga, con i nostri ragazzi sempre dietro a incalzarli, verso la Serbia, che poi a sua volta si ribellò e cacciò gli invasori. Io andai una volta in Serbia a portare aiuti umanitari, farmaci, soprattutto antibiotici, quando il Paese e i suoi ospedali erano ridotti male dopo i bombardamenti americani. Portammo due camion di farmaci in Serbia e io salii in Parlamento, e i deputati serbi mi applaudirono gridando "viva la Padania". Dapprima mi stupii che conoscessero questo nome: non mi ricordavo del fatto che fu la cavalleria padana assieme ai Serbi a dare una spinta al turco mettendolo in fuga, un enorme esercito sconfitto. Noi perdemmo solo tempo quando Milano e Venezia cominciarono a combattersi fra loro. Aprimmo la strada ai vari Napoleoni, agli invasori che non sarebbero mai entrati se i veneti, i lombardi, i piemontesi fossero stati uniti. Napoleone non avrebbe tagliato la coda ai leoni veneti, perché sarebbe stato sbaragliato prima dai piemontesi e dai fratelli lombardi, brava gente, disposta ad aprire il cuore e ìl portafoglio. Ma non rompeteci i coglioni, perché allora dimostriamo il nostro valore anche in battaglia. La nostra gente non si spaventa: se la battaglia è giusta, una battaglia per la libertà, non abbiamo nessuna paura. Neppure di finire in prigione, perché sappiamo che fuori ci sono milioni di persone che pensano a noi. Mi ricordo che quando mi ammalai nelle chiese c`era un sacco di gente che andava a pregare per me, non si erano mai viste nelle chiese tante candele accese come allora. "Sei molto amato dalla gente", mi dicevano.
Noi non abbiamo fatto la Lega solo per vincere qualche elezione, ma per molto di più: per la libertà della Padania. Noi non andremo in pensione fino a quando non avremo ottenuto il diritto alla libertà della nostra gente. Tutto avverrà ovviamente nel momento più opportuno, ma la volontà è quella di raggiungere la libertà. Più il Parlamento si rifiuta di dare quel diritto alla libertà, più la gente logicamente si ribella e pretende il cambiamento a tutti i costi. Non andremo in pensione, io, Maroni, Castelli... fino a che non avremo ottenuto la nostra libertà, fratelli padani. E libertà sarà.
Abbiamo imparato a diventare un popolo ed è stato necessario del tempo, perché prima non ne avevamo la coscienza. Adesso sì: abbiamo preso coscienza di dover restare uniti, di essere un popolo che si vuole bene. Questa è stata la cosa principale che si è fatta in questi anni: oggi sappiamo che solo l'unità ci garantisce il raggiungimento della libertà. Non c'è nessun altro partito oltre alla Lega capace di unire così i suoi militanti, oggi a Venezia, il prossimo anno sul Po. La nostra gente si muove, lo sente come un dovere e come un piacere di stare uniti. Questa è una grande conquista, perché fino a quando la gente non si sente unita e non si vuole bene non si può fare niente.
Ma ora per la prima volta posso dire che finalmente siamo un popolo, un grande popolo, che conquisterà la sua libertà.
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