Rassegna stampa - Il Giornale, Vittorio Feltri, 14 settembre 2009.
Dopo la rabbia, le dichiarazioni incendiarie, l'indignazione e le «vendettine» personali, vale la pena esaminare cosa è rimasto sul campo di battaglia.
Una settimana fa circa, il Giornale ha pubblicato un articolo per cercare di capire dove intendesse andare Gianfranco Fini con le sue brusche deviazioni dalla linea della maggioranza, ben note ai lettori. Nei giorni successivi, mentre gli elettori del centrodestra hanno mostrato di condividere le nostre analisi, nel Palazzo si sono registrati disorientamento, sorpresa e fastidio: come mai Feltri ha attaccato il presidente della Camera? L'avrà fatto su commissione del premier, ha detto qualcuno, molti. Poi è arrivata la solidarietà di Berlusconi a Fini, e allora altri hanno chiesto le mie dimissioni. Insomma, la solita storia.
A parte questa premessa utile per inquadrare la vicenda, ecco le conseguenze dell'«incidente».
Primo. Il Signor Dissidente non è stato zitto. Anzi, ha parlato troppo e forse, senza volerlo, ha confermato che il problema c'è e non è marginale. Ha ribadito le critiche al governo e al suo capo, la sua contrarietà alla politica sull'immigrazione, alle posizioni della Lega in proposito, alle leggi sulle questioni etiche; e si è espresso negativamente sull'organizzazione del Pdl in cui il Cavaliere avrebbe assunto - per dirla in modo brutale - il ruolo del dittatore. L'unico punto negato da Fini è stato quello relativo all'ambizione di diventare capo dello Stato; è naturale, se egli avesse confessato di aspirare al Colle, si sarebbe portato la pistola alla tempia.
Secondo. Invece ha optato per un suicidio meno spettacolare e più lento. Dai suoi discorsi a Gubbio e a Chianciano Terme sono emerse due tendenze: a Gubbio Fini ha compiuto due passi verso l'uscita dal partito, di cui non condivide niente; e a Chianciano, pur insistendo nella polemica con Bossi, ne ha compiuto uno indietro, manifestando timore per un eventuale distacco dal Pdl che sarebbe inevitabile qualora non facesse retromarcia. Significa che l'uomo è combattuto. Gli piacciono da matti le coccole della sinistra perché lo illudono di aver ragione, e non vorrebbe rinunciarvi abbandonando il buonismo e il laicismo; ma è consapevole che se non rientra con lo spirito e con le parole negli schemi della coalizione, il giorno dell'addio - volontario o caldeggiato - è prossimo.
Terzo. Se toglie il disturbo, dove va e con chi? Se si trasferisce in area progressista, è accolto bene, come un eroe o almeno un martire, ma dopo dieci minuti i compagni lo sistemano in uno sgabuzzino dicendogli: guarda che qui ce ne sono già tanti che rompono le scatole, mettiti buono e aspetta il tuo turno, se verrà. Non solo, ma dei vecchi camerati di An quanti gli andrebbero appresso? Nessuno. Uno di destra non abbraccia la sinistra in un periodo in cui la sinistra è allo sbando e la destra, viceversa, è al governo e distribuisce incarichi e poltrone. Sarebbe stupido. Finché si tratta di parlare in tivù, una battuta pro Fini si può dire, ma da qui a seguire l'ex capo in un'avventura nel territorio ricco di ex comunisti e povero di consensi ce ne corre.
Quarto. Scartato il Pd e dintorni, quali strade avrebbe a disposizione il presidente della Camera onde garantirsi la continuazione della carriera? Il cosiddetto Grande Centro di cui si discetta da lustri ma di cui non si sono ancora viste le sembianze. Un'alleanza con Casini e democristiani sparsi? Sotto l'aspetto della fattibilità, simile decisione non sarebbe assurda quanto quella orientata a sinistra. Tuttavia Fini, per stringersi in società con Casini senza esserne fagocitato, avrebbe bisogno di un partito suo che ora non ha neppure sulla carta. I calcoli sono presto fatti. I deputati e i senatori pronti ad accodarsi a lui sono circa venticinque, massì, facciamo trenta. Con un plotoncino così di fedelissimi al massimo si contribuisce a formare un centrino, altro che Grande Centro. Non penso che una prospettiva del genere alletti il cofondatore del Pdl.
Quinto. Considerato tutto ciò, c'è un ultimo progetto che però ha il difetto di assomigliare a un sogno. Tagliare le gambe a Berlusconi: non è facile, ma Fini può tentare puntando su qualche aiutante nel centrodestra e nel centro e su molti aiutanti nel centrosinistra. Si tratterebbe, secondo i folli impegnati a realizzare il piano denominato «crepi Sansone con i filistei», di colpire ai fianchi il Cavaliere, sfruttando il suo privato fino allo spasimo, confidando nella bocciatura del Lodo Alfano (la Corte Costituzionale si pronuncerà in ottobre, cioè domani) e nel lavoro instancabile di vari magistrati su diversi fronti, incluso quello della mafia. Se alla sinistra e ai congiurati di destra riuscisse di detronizzare Silvio (sperare non è vietato) si presenterebbe, secondo l'ipotesi dei sognatori, l'opportunità di creare una maggioranza allargata, una specie di solidarietà nazionale rivisitata, e quindi un Governissimo del quale Fini sarebbe il numero uno.
Sesto. Sembra fantapolitica. Ma è importante non trascurare neanche le elaborazioni oniriche di certa gente. D'altronde non è casuale che alcuni giornali, la Repubblica in testa, vagheggino un declino di Berlusconi. E poiché l'ossessione di parecchi è il dopo-Berlusconi, ecco spiegata l'incessante attività dì numerosi vaticinatori. I quali danno per sicuro che il Pdl, se privo dell'attuale leader, si frantumerebbe a causa di lotte intestine per la successione. Di qui l'idea fissa del Governissimo che consentirebbe un rimescolamento delle carte politiche e nuove aggregazioni, rimpasti e similari.
Settimo. Sul futuro non c'è da fare affidamento. E comunque Fini ha l'esigenza immediata di trovare una ricollocazione: o di qua o di là. Non gli è permesso tenere un piede nella maggioranza e uno nell'opposizione. Deve risolversi subito. E ricordi che bocciato un Lodo Alfano se ne approva un altro, modificato, e lo si manda immediatamente in vigore. Ricordi anche che delegare i magistrati a far giustizia politica è un rischio. Specialmente se le inchieste giudiziarie si basano su teoremi. Perché oggi tocca al premier, domani potrebbe toccare al presidente della Camera. È sufficiente - per dire - ripescare un fascicolo del 2000 su faccende a luci rosse riguardanti personaggi di Alleanza nazionale per montare uno scandalo. Meglio non svegliare il can che dorme.
Inoltre, valuti Fini, che se la Lega si scoccia e ritira la sua delegazione, il voto anticipato è inevitabile. Allora per lui, in bilico tra destra e sinistra, sarebbe una spiacevole complicazione.
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