Rassegna stampa - Fiorenzo Facchini, Avvenire, 6 settembre 2009.
Le origini della religione sono fra i temi classici affrontati dall’antropologia, dalla sociologia, dalla psicologia, dalla filosofia, dall’etnologia. Una corrente di pensiero attuale vuole analizzare e spiegare il fenomeno religioso in termini puramente naturalistici e quindi con i metodi delle scienze naturali. Vengono supposti geni specifici o comunque una base genetica.
Su questo argomento l’evoluzionismo darwiniano, nella estensione che ha avuto nel pensiero di molti suoi interpreti, registra posizioni piuttosto diversificate, sebbene Darwin non abbia affrontato direttamente il problema. C’è chi, come Dawkins, propugna l’ateismo come posizione congruente, quasi necessaria, dell’evoluzione: non solo non c’è bisogno di Dio, ma l’idea di Dio nuoce allo sviluppo dell’uomo, anche se lo stesso Dawkins include la religione fra i "memi" (replicatori culturali, non genetici, forse localizzati nel cervello) formatisi e affermatisi nella società.
Vi sono studiosi che ammettendo l’importanza della religione nel successo evolutivo delle società umane e in ordine alla sopravvivenza della specie vogliono spiegarla in termini puramente adattativi. David Sloan Wilson riconosce alla religione un grande valore e considera le religioni come unità adattative caratterizzate dalla selezione di gruppo. Nella visione naturalistica darwiniana, proposta da vari autori, il fatto religioso avrebbe una base biologica e si spiegherebbe con la selezione naturale.
Queste posizioni vedono la religione in funzione della società, quasi rivisitando il noto funzionalismo di sociologi e antropologi culturali, ma appaiono decisamente riduttive. Il fatto religioso è essenzialmente di ordine culturale, si lega alle capacità cognitive dell’uomo, così come il comportamento morale, ma non ha una determinazione biologica. Esso può avere delle conseguenze sul piano sociale con effetti benefici per la specie e quindi assume anche un certo valore adattativo per l’uomo, ma non si capisce perché debba rientrare in un’ottica di selezione darwiniana o puramente naturalistica.
Nelle posizioni ricorrenti sull’interesse della religione in chiave naturalistica non si tiene conto di una distinzione fondamentale, sulla quale Mircea Eliade, grande storico delle religioni, e sulla sua scia Julien Ries, maestro dell’antropologia religiosa, hanno richiamato l’attenzione: la distinzione tra senso religioso e religione, tra l’esperienza del sacro, colto anche nei fenomeni della natura (ierofanie), e la strutturazione del senso religioso nella religione. E’ una semplificazione assai riduttiva quella che vede nella religione una unità adattativa regolata dalla selezione. L’humus della religione non è definibile quantitativamente né con parametri generalizzabili.
Homo religiosus precede la religione strutturata (Ries), si lega alle domande che l’uomo pensante non può non porsi sulla vita e sulla morte, alla esperienza simbolica di qualcosa che lo sovrasta e che percepisce in alcune manifestazioni della natura. «È grazie al simbolismo cosmico che l’uomo ha percepito le ierofanie. Con la volta celeste è necessario tenere conto del simbolismo dell’acqua, dell’albero, della montagna» (Ries). Si potrebbe parlare di religiosità cosmica. Il senso religioso può considerarsi universale. Anche la morte, evento di cui l’uomo ha coscienza, con le domande che pone viene ad assumere un significato sul piano religioso.
Il senso religioso è connaturale all’uomo e si ritrova presso tutti i popoli. Può considerarsi universale, ma non altrettanto può dirsi per le religioni in quanto tali. Esso si lega al simbolismo che è antico quanto l’uomo, ma i documenti in cui il senso religioso può essere colto sono relativamente recenti. Un significato religioso viene riconosciuto alla pratica della inumazione. L’uomo che seppellisce i morti dimostra una particolare coscienza della morte e dell’oltretomba.
La posizione e la cura dell’inumato, il corredo che può accompagnarlo attestano l’idea di una sopravvivenza a cui si attribuisce un significato religioso. Le prime sepolture sono documentate in Israele circa 90.000 anni fa e sono praticate sia dall’uomo ormai moderno che da Neandertaliani. L’attenzione verso i defunti è però molto più antica e può essere riconosciuta in certe pratiche, come la conservazione e il trattamento del cranio umano in luoghi particolari (come le grotte), che sono segnalate in epoche precedenti (pare già con il Sinantropo).
Interpretabili in chiave magico-religiosa, secondo vari autori, tra cui Paolo Graziosi, le manifestazioni più recenti dell’arte parietale del Paleolitico superiore, con rappresentazioni di animali nelle pareti di grotte, forse in relazione alla propiziazione della caccia. Per questo alcune grotte sono viste come "santuari" della preistoria. Ma è stato ipotizzato anche un simbolismo sessuale per alcuni animali più frequentemente rappresentati (Leroi-Gourhan). I simbolismi possono essere anche complementari nella visione unitaria dei bisogni vitali dell’uomo preistorico. L’uomo che affresca le pareti delle grotte nel Paleolitico superiore è lo stesso che seppellisce i morti.
Nel Neolitico e nella protostoria l’esperienza religiosa appare strutturarsi in forme di religione, come suggeriscono il culto della dea madre, particolari riti e luoghi destinati al culto. Secondo Gimbutas le numerose rappresentazioni femminili (anticipate forse dalle "Veneri" aurignaziane) possono essere riferite al culto della dea madre. La città neolitica di Catal Huyuk, in Anatolia, risalente a al VII e VI millennio a.C., racchiude inumazioni nelle case e nei santuari con pitture che richiamano riti funerari. Come non ricordare poi i templi megalitici di Malta in cui vengono individuate aree deputate a particolari rituali?
Nell’arte rupestre che si sviluppa nel Neolitico e nell’età dei metalli colpisce la frequente rappresentazione del disco solare, legata a un simbolismo religioso, e delle figure di oranti. Ciò si osserva sia in regioni europee, come nell’arte camuna, sia nei petroglifi segnalati nell’Asia Centrale (Kazakhstan, Cina) e in California.
C’è chi parla di evoluzione del senso religioso o della religione. Alla luce di quanto è stato esposto sarebbe meglio parlare di sviluppo del senso religioso che non è regolato da leggi biologiche e neppure sociali, perché è legato all’attività cognitiva dell’uomo (Darwin stesso collegava il senso morale alle capacità cognitive dell’uomo) e affonda le sue radici nella condizione umana. Esso rientra nei fenomeni culturali, con aspetti personali e sociali, destinati ad avere effetti benefici sulla società nella misura in cui interpretano le istanze più vere dell’uomo e della società.
Sul dato culturale si innestano le religioni, per nulla riducibili a unità adattative né regolate dalla selezione, sebbene possano essere anche legate a etnie (ebraismo) o culture particolari (islamismo). Rinchiudere le origini della religione nella gabbia del naturalismo, quasi che siano regolate dalla genetica e dalla selezione naturale, è una operazione puramente ideologica, di tipo riduzionistico, non solo senza basi scientifiche, ma contraddetta da tanti documenti sul senso religioso dell’uomo preistorico e dalla esperienza individuale caratterizzata dalla libertà della persona nelle sue scelte religiose.
È una deriva del darwinismo totalizzante che vede ogni manifestazione culturale in chiave adattativa sotto il controllo della selezione. Il successo di una idea religiosa sul piano sociale si lega alla rispondenza ai bisogni dell’uomo e della società e rientra nella dinamica culturale.
Se per tanto tempo la religione ha rappresentato la cornice unitaria in cui si sono espressi bisogni individuali e sociali, nella società moderna è venuta affermandosi una distinzione e separazione delle due sfere che tendono a configurarsi in modo autonomo.
La religione ha acquistato la capacità di permeare culture diverse. Le religioni sono trasversali alle culture: esse si innestano sul senso religioso che è universale.
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