FATTI E PAROLE

Foglio virtuale quotidiano di Brembio e del suo territorio

http://www.fattieparole.info

Si può leggere l'ultimo numero cliccando sopra, sull'immagine della testata o sul link diretto, oppure cliccando qui.
Ogni nuovo numero esce nelle ore serali, ma dopo le 12.00 puoi già leggerlo mentre viene costruito cliccando qui.

FATTI E PAROLE - ARCHIVIO
www.fattieparole.eu

La parola al lettore

Le tue idee, opinioni, suggerimenti e segnalazioni, i tuoi commenti, le tue proposte: aiutaci ad essere un servizio sempre migliore per il nostro paese.

Puoi collaborare attivamente con noi attraverso questo spazio appositamente predisposto - per accedere clicca qui - o anche puoi scriverci cliccando qui.

mercoledì 9 settembre 2009

«Indegni dell’epoca nostra»

Boffo e la lettera anonima.
E Traiano sentenziò: scritti pessimi e indegni.

Rassegna stampa - Avvenire di oggi, Assuntina Morresi.

Plinio il Giovane era governatore della Bitinia negli anni 111-113 d.C. quando si trovò coinvolto in una serie di processi contro i cristiani. Non se ne era mai occupato prima, ne sapeva poco e si sentiva impreparato: decise quindi di scrivere direttamente al suo imperatore, Traiano, per raccontare quanto stava facendo e per chiedere indicazioni su come comportarsi, visto che «un gran numero di persone di ogni età, classe sociale, donne e uomini, vengono messi sotto accusa e tutto lascia pensare che la cosa continuerà».
Plinio ha molti dubbi – per esempio non sa se si deve perseguire un cristiano in quanto tale, anche in mancanza di precisi atti criminali – e racconta lo svolgimento dei suoi interrogatori: fra l’altro, «è stata fatta pervenire una lista anonima che contiene i nomi di molte persone autorevoli», e di quella si è servito, spiega, precisando di aver torturato due donne per ottenere più informazioni, senza però trovare granché «degno di biasimo se non la cieca e incrollabile natura della loro superstizione».
L’imperatore risponde brevemente, dando alcune indicazioni, per esempio che è sufficiente dichiararsi cristiani per essere condannati, ed approvando l’operato del suo governatore – «ti sei comportato bene, caro Plinio» – tranne che per un punto: «Le denunzie anonime non debbono aver spazio in nessun procedimento giudiziario perché sono pessimi precedenti e indegne dell’epoca nostra». Questo in sintesi un carteggio di duemila anni fa nell’impero romano, ben noto agli studiosi del settore e molto opportunamente messo in circolazione in internet in questi giorni di gogna mediatica a Dino Boffo, direttore galantuomo di Avvenire.
Persino un imperatore pagano, che riteneva di dover condannare i cristiani in quanto tali, anche se non colpevoli di reati specifici, e che non si scomponeva per la tortura sulle donne, considerava le missive anonime «pessime» e soprattutto «indegne», ordinando al suo governatore di non servirsene, senza neppure porsi il problema del loro contenuto. Un rifiuto a prescindere, insomma. Ma duemila anni non sono bastati a far capire il concetto. Una lettera è anonima perché chi scrive non ha il coraggio di sostenerne e difenderne pubblicamente il contenuto, ovviamente accusatorio – mai vista una lettera anonima piena di complimenti. Un atto vile, insomma, perché chi la scrive e la diffonde non vuole prendersi alcuna responsabilità per le conseguenze delle sue azioni, e, solitamente, ne gode tanto più quanto maggiore è il danno alla sua vittima, mentre lui se ne sta tranquillamente a guardare.
Un atto vile perché l’autore scrive qualcosa che non è disposto a dire pubblicamente, guardando in faccia la persona che sta accusando. Un atto vile, perché chi pretende di dire la verità non si può nascondere dietro un anonimato che è già una menzogna. Assurdo, quindi, e soprattutto ancora più vile pretendere dall’accusato di difendersi da una missiva anonima, come continuiamo a leggere e sentire in questi giorni. Il processo mediatico imbastito nei confronti di Dino Boffo non riguarda l’ammenda pagata per molestie: su quello Boffo ha già risposto pubblicamente, dimostrando e denunciando le «dieci falsità» che hanno innervato il feroce attacco del 'Giornale' nei suoi confronti.
A Boffo è stato, e continua ad essere, domandato di chiarire l’autenticità del contenuto di una lettera anonima, quando i giudici competenti hanno già dichiarato che negli atti ufficiali non figurano le accuse contenute nella missiva anonima; e d’altra parte chi continua a chiedere che tutti gli atti relativi all’ammenda per molestie vengano comunque resi pubblici, dimostra non solo di non avere alcuna fiducia in Boffo – risparmiatevi, allora, l’ipocrita attestato di solidarietà – ma anche, paradossalmente, di non fidarsi neppure degli stessi giudici, i quali hanno già spiegato i motivi della riservatezza del fascicolo.
Il vigliacco che si è nascosto dietro l’anonimato, e coloro che di quella missiva si sono serviti, sia per diffonderla, sia per continuare a chiedere a Boffo di renderne conto, dimostrano quindi di non essere affatto interessati a conoscere la verità, ma solo a colpire una persona, per infangarla e distruggerla. «Indegni dell’epoca nostra», avrebbe detto il pagano imperatore Traiano, cestinando il tutto.
Condividi su Facebook

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.