Matteo Brunello su Il Cittadino di oggi ci dice della la tragedia del 22 agosto nella ricostruzione degli storici: l’arresto, il pestaggio e l’esecuzione dei cinque partigiani.
Lodi ricorda il sangue dell'agosto '44.
Martiri del Poligono: così la città visse quelle ore di odio e paura.
Rassegna stampa.
«Alle ore 13 dal cancello della caserma di via San Giacomo uscì una corriera colore rosso scuro con a bordo i cinque condannati, i militi del plotone di esecuzione, il parroco della Maddalena don Domenico Saletta. L’automezzo avanzò lentamente, svoltò in via Defendente seguito dagli sguardi angosciati di uomini e donne della città bassa. Poco dopo, sull’assolato spiazzo erboso del Poligono di Tiro, caddero colpiti a morte...». È questa la ricostruzione storica di quel lontano 22 agosto 1944, quando furono fucilati Oreste Garati, Ludovico Guarnieri, Ettore Madè, Franco Moretti e Giancarlo Sabbioni. Sono i martiri del Poligono, un gruppo di partigiani assassinati dai fascisti, dopo l’arresto a cui seguì un vero e proprio pestaggio. L’intera sequenza dei fatti è ripercorsa, in modo dettagliato e con riferimento puntuale alle fonti, nel volume «Guerra e Resistenza nel Lodigiano 1940-45» di Ercole Ongaro (Il Papiro Editrice, 1994).
Tutto si può dire che cominciò con l’azione nei confronti del lodigiano Paolo Baciocchi, considerato uno degli esponenti più dinamici dello squadrismo delle origini. Proprio lui finì nel mirino della brigata partigiana di Garati, altrimenti detto il “Falco rosso”. Attesero Baciocchi vicino alla porta di casa sua, in via Garibaldi, gli spararono due pallottole nel fianco, colpi che risultarono letali. Poi fuggirono e furono inseguiti anche dal commissario prefettizio Sequi, che si beccò anch’egli alcuni colpi di rivoltella. Da quel episodio iniziarono le ricerche dei colpevoli, con diversi rastrellamenti. E la svolta arrivò qualche tempo dopo, quando un informatore aveva avvertito la guardia nazionale repubblicana che nel bosco sulla riva sinistra dell’Adda si nascondeva una banda partigiana. Era il gruppo di Garati e compagni, molti dei quali furono presi e condotti nella caserma di via San Giacomo per gli interrogatori. E qui affiorarono le prime ammissioni. Quindi le guardie del regime si recarono a casa di Garati in via Fissiraga e prelevarono più tardi anche Franco Moretti e Giancarlo Sabbioni, mentre erano seduti a tavola per cena, in via Oldrado da Ponte. Poi venne deciso che il gruppo di coloro che furono ritenuti responsabili doveva venir fucilato. Siamo al 22 agosto 1944 e come spiega Ongaro, nelle «prime ore del mattino in tutta Lodi - in particolare nei quartieri della città bassa (...) - erano andate crescendo inquietudine e angoscia per la sorte degli arrestati, erano infatti circolate le voci sulla violenza degli interrogatori e sulla probabile fucilazione». E infine, aspetto ancor più tremendo, i corpi dei fucilati furono posti dalle stesse mani che li avevano uccisi in casse da morto e «solo al mattino seguente i parenti ottennero di schiodare le bare per vedere le salme e farle oggetto di gesti di estrema pietà e saluto, essendo stati proibiti i funerali: rimasero agghiacciati allo scoprirle tanto martoriate».
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