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domenica 25 ottobre 2009

Sopra una montagna di immondizia

Lo SpazzaTour della Campania. Ecco dove finiscono i rifiuti.
Rassegna stampa - l'Unità, Eduardo Di Blasi, 25 ottobre 2009.

Gabbiani, ruspe e camion sopra una montagna di immondizia. Provincia di Caserta, località San Tammaro, sito di «Maruzzella 3». Un mezzo compattatore del comune di Bacoli (Na) esce dal «sito di interesse strategico nazionale» di fronte a noi. Siamo su una strada provinciale, affacciati su questa discarica a cielo aperto abitata da uomini e gabbiani. Piove. Saremo a mezzo chilometro in linea d’aria. Sono le tre del pomeriggio. Passa una camionetta con a bordo alcuni militari. Fa un’inversione a «U».
Scende un soldato. Vuole sapere che ci facciamo qui con notes, macchine fotografiche e telecamere. Chiede lumi al proprio comando per sapere se si possa riprendere la montagna di immondizia. «No, non sono all’interno del perimetro... », chiarisce al suo interlocutore. La terminologia militare ha un che di grottesco: stiamo parlando pur sempre della montagna puzzolente sorvolata da gabbiani che abbiamo di fronte. «È tutto ok», sentenzia. Possiamo continuare. Nessuno sequestrerà girato o taccuini alla stampa estera, arrivata, a distanza di due anni dal primo «SpazzaTour», a vedere cosa accade in concreto nella «soluzione» del problema rifiuti in Campania.
Dietro il bluff dell’inaugurazione dell’inceneritore di Acerra che oggi brucia una quantità minima di rifiuti senza fornire un solo megawatt di corrente alla rete elettrica (alla quale non è collegato) e con una raccolta differenziata ancora da inventare in molte province, sono i luoghi come «Maruzzella» ad accogliere la spazzatura campana. Discariche militarizzate che da Savignano (Av), a Chiaiano (Na), da Serre (Sa) a Terzigno (Na), in pieno Parco Nazionale del Vesuvio e in zona evidentemente vulcanica, sono e verranno riempite di spazzatura nelle settimane a venire, in barba a qualsiasi norma ambientale praticata in Europa (Italia compresa).
Eccola la soluzione, «il retro della cartolina» per dirla con Nicola Capone, giovane professore di Storia e membro del Co.re.ri, il Coordinamento regionale dei rifiuti della Campania nato dalla buona pratica dei movimenti ambientalisti e dell’Assise di Palazzo Marigliano. Accompagnati dai ragazzi e dai professori che si sono tassati per pagare il bus che da Roma ci ha condotti qui, i colleghi esteri, capitanati dal segretario Yossi Bar, hanno visto uno scenario inedito. Quello di uno Stato che militarizza le discariche e non controlla i luoghi dove la malavita sversa quotidianamente tonnellate di rifiuti pericolosi. Dopo la visita obbligatoria al «sito di stoccaggio provvisorio» di Taverna del Re, nel giuglianese, dove le «ecoballe» non a norma stazionano «provvisoriamente» dal 2006, nella quantità di sei milioni di tonnellate, eccola la vera emergenza campana.
Sono i rifiuti speciali, quelli che si trovano nelle strade di campagna. Nell’entroterra di Lusciano, i piedi nel fango, i colleghi della stampa estera si avviano in una zona di vecchia cava che costeggia la bretella che porta a Pomigliano d’Arco. In mezzo alle coltivazioni, polveri di amianto, sabbie combuste, i soliti panni che servono a contenere le detonazioni dei liquidi industriali in quella che è ancora la «terra dei fuochi».
Eppure è davanti ai Regi Lagni, i canali costruiti dai Borbone che corrono per le campagne casertane irrigando campi di pere e di pesche, che gli ultimi nodi dello smaltimento campano vengono al pettine. È qui, che, ammassati sugli argini del canale che sfocia nel mare di Castel Volturno, si contano i residui delle lavorazioni provenienti dalla raccolta differenziata.
Massimo De Gregorio, vicepresidente del Comitato emergenza rifiuti di Caserta, spiega alla collega ceca: «Questi sono gli scarti della lavorazioni delle plastiche e dei cartoni. Sono materiali pericolosi. Contengono metalli pesanti». E che ci fanno qui? Aspettano che il livello dell’acqua si alzi. Poi saranno trasportati ad inquinare campagne e coste. A quel punto l’argine si sarà liberato e si potranno portare nuove scorie. Accade così da cinque anni. Anche oggi. Che l’emergenza è «risolta».
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